Affluenza record alle urne. Ma le disertano il 42% dell'elettorato
Il nuovo Hitler rieletto presidente Usa. Battuto il Prodi Americano
D'Alema e Fassino si spostano sulle posizioni di Bush mentre Ciampi e Prodi scavalcano Berlusconi nell'elogiarlo. Tra i finanziatori del nuovo eletto la Fiat di Montezemolo
Bush: "aiuteremo le democrazie emergenti dell'Iraq e dell'Afghanista. I nostri soldati potranno tornare a casa con onore". Kerry: "Uniamoci per vincere in Iraq"
Nel pomeriggio del 3 novembre il candidato democratico John Kerry telefonava al rivale Bush e si congratulava per la sua rielezione alla presidenza. La mossa dello sconfitto, consueta nelle elezioni americane, chiudeva anzitempo la possibile contesa sui risultati in tre stati, Ohio, Iowa e New Mexico dove era in corso la verifica del voto, e sanciva la vittoria di Bush. Il nuovo Hitler ha conquistato la maggioranza dei 538 grandi elettori, 286, che il 13 dicembre voteranno formalmente il nuovo presidente; scontato il risultato dello scrutinio e della proclamazione del vincitore che si terrà al Senato il 6 gennaio per cui il prossimo 20 gennaio si insedierà per il secondo mandato quadriennale. Battuto il Prodi americano che si è fermato a 252 grandi elettori.
Il meccanismo elettorale americano per le presidenziali prevede che ciascuno stato elegga un numero di grandi elettori, stabilito in proporzione al numero degli abitanti; si va da un numero minimo di 3 per quelli più piccoli ai 55 della California. Il candidato che si aggiudica il 50% più uno dei voti di uno stato conquista tutti i grandi elettori del collegio. Il meccanismo non è proporzionale tanto che nelle presidenziali del 2000 Bush si conquistò la maggioranza dei grandi elettori e la vittoria grazie al successo con poche centinaia di voti nell'elezione truffa della Florida pur avendo ottenuto meno consensi in assoluto dell'avversario democratico Gore.
Nelle elezioni del 2 novembre non è successo e Bush ha conquistato anche la maggioranza dei voti assoluti con 58,6 milioni di preferenze, 8 milioni in più del 2000, pari al 51% dei voti espressi; Kerry si è fermato a 55 milioni di preferenze, contro i quasi 60 di Gore nel 2000, pari al 48%. Poco meno dell'1% ha raccolto il terzo candidato, Ralph Nader.
Il meccanismo elettorale americano spiega anche perché i candidati spendano fiumi di denaro soprattutto negli stati considerati incerti per comprare una manciata di voti che possono risultare determinanti. In questa tornata elettorale Bush avrebbe speso 256 milioni di dollari, Kerry pochi di meno, quasi 250 milioni. Altrettanti li hanno spesi le organizzazioni fiancheggiatrici non sottoposte ai controlli previsti dalla legge. Cifre da record raccolte come contributi individuali o di società che spesso sovvenzionano entrambi gli schieramenti per cadere in piedi. Nelle liste dei finanziatori di Bush anche la Fiat di Montezemolo. Soldi spesi in sondaggi, spot elettorali e per portare gli elettori alle urne che hanno prodotto tra l'altro una affluenza record di circa il 58% degli iscritti alle liste elettorali. La diserzione delle urne ha toccato comunque il 42%.
Il numero dei votanti è cresciuto di oltre una decina di milioni rispetto ai 105 milioni delle presidenziali del 2000 ma nonostante ciò Bush è stato rieletto da una minoranza degli americani. Negli Usa gli aventi diritto al voto sono soltanto quelli che si iscrivono nelle liste elettorali, l'iscrizione non è automatica. è invece automatica l'esclusione per chi incorre anche in piccoli reati; un meccanismo che riduce gli aventi diritto a poco più di 200 milioni di americani. Fatti due conti risulta che Bush resta alla Casa Bianca con nemmeno il 30% di consensi dei soli iscritti alle liste elettorali; tutt'altro che la maggioranza del popolo americano.
Sull'onda del successo nella corsa presidenziale i repubblicani hanno anche rafforzato la maggioranza che detenevano alla Camera e al Senato. La Camera completamente rinnovata conta 232 deputati repubblicani, 202 democratici e 1 indipendente; il terzo dei seggi rinnovati al Senato ha portato i repubblicani a 55 senatori contro i 44 democratici e 1 indipendente.
Incassata la telefonata di resa dell'avversario Bush ha festeggiato la vittoria confermando la politica interna e estera della sua amministrazione: tagli alle spese sociali, riforma fiscale a favore dei ricchi e l'impegno nella guerra al terrorismo. "In Iraq e Afghanistan terremo fede ai nostri impegni di costruire una democrazia e poi le truppe torneranno a casa con onore" ha affermato il 3 novembre. In contemporanea a Kabul il fantoccio degli Usa Karzai veniva ufficialmente proclamato presidente dell'Afghanistan, vincitore delle elezioni farsa del 9 ottobre. Pochi giorni dopo partiva l'attacco americano alla città di Falluja, roccaforte della Resistenza irachena che non si piega all'occupazione e all'esportazione della "democrazia" imperialista. Nello stesso momento Kerry parlando ai suoi sostenitori a Boston dichiarava che era necessario "gettare un ponte tra noi e i nostri avversari per ritrovare l'unità di cui gli Stati Uniti hanno bisogno. (...) Faremo del nostro meglio per vincere le sfide che gli Stati Uniti devono affrontare, dall'economia alla guerra al terrorismo, al successo in Iraq. Ma faremo del nostro meglio anche per ripristinare la reputazione dell'America nel mondo. Per ricordare a tutti che l'America non è solo grande è anche buona". E ha salutato i sostenitori con "God bless America", Dio benedica l'America, la formula ripetuta ossessivamente da Bush. Una conferma che tra Bush e Kerry le differenze sono minime e che quindi il candidato democratico non rappresentava affatto una alternativa sostanziale al collega imperialista repubblicano. D'altra parte come non ricordare che Kerry ha votato al Senato a favore della guerra imperialista all'Iraq come in precedenza a quelle in Afghanistan, Kosovo e Somalia.
Sulla vittoria elettorale di Kerry puntava tra l'altro la "sinistra" borghese italiana che a urne chiuse ha reso un vomitevole omaggio al vincitore. A partire da D'Alema e Fassino che si sono spostati sulle posizioni di Bush. Non sorprende il presidente dei Ds che ha commentato il risultato del voto americano con un "per essere credibile la sinistra si deve misurare con l'uso legittimo della forza perché altrimenti lasciamo alla destra la possibilità di cavalcare la paura"; D'Alema si è già cimentato con l'uso della forza imperialista nei Balcani quando era presidente del consiglio. Per Fassino occorre che la Ue "aiuti" gli Usa a uscire dall'isolamento in cui si sono chiusi in particolare con l'attacco all'Iraq; lo chiedeva Kerry e per Fassino vale lo stesso, dare una mano alla politica imperialista di Bush.
Scontata la soddisfazione di Berlusconi che a caldo ha utilizzato la vittoria di Bush per tirare acqua al suo mulino, "vince perché taglia le tasse" ai ricchi. è incredibilmente scavalcato negli elogi da Ciampi e Prodi. Il presidente della Repubblica si è congratulato "vivamente" con Bush per la fiducia confermatagli "dal popolo americano" e ha sottolineato che "l'Italia è stata al fianco degli Stati Uniti nel dolore, nella lotta al nemico comune, nella determinazione di operare insieme per la sicurezza delle nostre nazioni e per la stabilità dell'ordine internazionale". Un elogio imperialista a tutto tondo. Come quello di Prodi che ha affermato: "gli auguro ed auguro al mondo intero che il suo secondo mandato veda quella stabilizzazione politica e quella garanzia di sicurezza collettiva nella pace per la quale siamo tutti impegnati al massimo delle nostre forze. L'Europa continuerà a lavorare per rafforzare i suoi legami di amicizia e cooperazione con gli Stati Uniti, legami mai messi in discussione, che sono alla base del mantenimento della pace nel mondo in un contesto di principi e valori condivisi in modo multilaterale". A Prodi basta che l'imperialismo Usa non vada avanti da solo, in modo unilaterale.
Per Kerry ha fatto il tifo anche Bertinotti ma a verdetto emesso ecco la consueta giravolta: ha affermato che non era lui il suo candidato ideale bensì Howard Dean, eliminato nelle primarie del partito democratico.

10 novembre 2004