In visita di Stato a Gerusalemme
Obama accredita le tesi sioniste su Israele
Il capofila dell'imperialismo americano: "Avete diritto di difendervi, fieri di essere vostri alleati"
La rabbia dei palestinesi

"Gli Usa sono orgogliosi di essere a fianco di Israele in qualità di suo più forte alleato e più grande amico", sono le parole con le quali Barack Obama ha dato significativamente inizio il 20 marzo alla sua prima visita ufficiale in Israele, ricevuto dal premier israeliano, Benjamin Netanyahu, e dal presidente, Simon Peres. Nel corso del suo primo mandato presidenziale Obama era passato nella regione ma si era fermato al Cairo saltando Tel Aviv. L'obiettivo di allora era quello di far finta di tendere la mano al mondo islamico e non poteva perciò comprendere anche la tappa israeliana. Adesso ha recuperato e con gli interessi. La visita ufficiale si è svolta a Gerusalemme e anche questo ha un valore simbolico dato che solo per i sionisti questa è la capitale israeliana.
Preludio per quella parte del discorso di Obama che ha accreditato le tesi sioniste su Israele. Israele "è la patria storica del popolo ebraico", ha detto Obama "già 3mila anni fa" il popolo ebraico viveva qui. E la nascita dello stato d'Israele, 65 anni anni fa, rappresenta "una rinascita e una redenzione senza precedenti nella storia". A completamento del panegirico retorico pro sionista Obama aveva inserito nel corso della visita l'omaggio alla tomba di Theodor Herzl, il teorico del sionismo, vissuto nella seconda metà dell'ottocento. E il 21 marzo, all'incontro con gli studenti all'Università di Gerusalemme, ha chiosato : "voi siete la generazione che può realizzare il sogno sionista".
Inequivocabile il riconoscimento da parte del capofila dell'imperialismo americano della versione che i leader sionisti fondatori dello Stato di Israele spacciano come unica storia di questa terra. Una versione contestata dal Coordinamento dei Comitati popolari palestinesi contro la colonizzazione che in risposta alle affermazioni di Obama hanno denunciato come ci sia "un impegno sistematico degli Stati Uniti e di altri paesi occidentali volto a riconoscere solo la narrazione storica israeliana. Eppure questi paesi sanno che è contro la storia. È uno stravolgimento politico e culturale che vuole negare i legittimi diritti dei palestinesi anche solo su di una piccola parte della loro terra" da parte di una "amministrazione americana complice del colonialismo e dell'occupazione"
Al boia sionista Netanyahu ha ribadito che "lo scopo principale della mia visita è far sapere agli israeliani che hanno un alleato negli Usa", e che "la loro sicurezza è molto importante per noi". Secondo Obama "le necessità di Israele alla sicurezza sono realmente uniche. E la sicurezza di Israele non è negoziabile. Israele deve essere in grado di difendersi da solo, di fronte ad ogni minaccia". Come se ci fosse stato bisogno di dare carta bianca al regime di Tel Aviv per "difendersi" attaccando i paesi vicini, non ultimo la Siria. Nessuna condanna da Obama, che ha anzi ribadito che "l'impegno degli Stati Uniti al fianco di Israele è più forte che mai rispetto al passato e la nostra alleanza non è mai stata più forte". A sigillo di tale alleanza il presidente americano confermava che la Casa Bianca avrebbe continuato a finanziare il sistema di difesa missilistico israeliano Iron Dome. E non è forse l'equivalente di un via libera all'attacco all'Iran, minacciato continuamente da Tel Aviv, ribadire davanti a Netanyahu che "l'Iran non deve acquisire l'arma nucleare. Gli Usa continueranno a consultarsi a stretto contatto con Israele sulle azioni da intraprendere. Tutte le opzioni rimarranno sul tavolo", compresa quella militare. Netanyahu lo ha ringraziato per l'appoggio incondizionato a Israele.
Nel secondo giorno della visita ufficiale, il 21 marzo, Obama si è ritagliato alcune ore per recarsi a Ramallah e incontrare il presidente dell'Autorità nazionale palestinese (Anp) Abu Mazen e il premier fantoccio Salam Fayyad; gli Usa non riconoscono il governo legittimamente eletto e presieduto da Hamas. Scontato che confermasse la soluzione senza via di uscita dei "due Stati", da raggiungere tramite negoziati. Come se quelli che durano da decenni avessero portato al rispetto di almeno uno dei diritti dei palestinesi. Un miraggio che nei fatti Obama ha confessato affermando che lo Stato palestinese deve essere "indipendente, in grado di sostenersi, dotato di contiguità territoriale, accanto allo Stato di Israele''. Uno stato dotato di contiguità territoriale o è un solo Stato, la soluzione corretta, o diventa una farsa a meno che la Casa Bianca non pensi a un mini Stato palestinese in Cisgiordania o a Gaza.
Riguardo allo sviluppo delle colonie sioniste in Cisgiordania, denunciato da Abbas, ha minimizzato sostenendo che la politica degli insediamenti israeliani non è "costruttiva né appropriata per la pace". Si è guardato bene dal chiederne il blocco immediato e nel corso dei suoi due mandati il numero dei coloni è cresciuto del 10%. Ha finito concludendo che "Israele ha nel presidente palestinese Mahmoud Abbas e nel premier Salam Fayyad dei veri partner per la pace. È giunto il momento per il mondo arabo di fare passi avanti verso la normalizzazione delle relazioni con Israele". Che è la cosa che gli interessa di più.
Persino l'Olp di Abbas, che pure accetta la soluzione dei due Stati, ha contestato Obama: "Non abbiamo bisogno di altri 20 anni di negoziati. Occorre invece una chiara volontà politica per realizzare le risoluzioni dell'Onu e quanto stabilito dal diritto internazionale. Occorre mettere fine a decenni di impunità israeliana, i negoziati non possono continuare a fungere da camuffamento della colonizzazione e della segregazione ma devono essere una via pacifica per mettere fine a decenni di occupazione".
Obama come se non peggio di Bush denunciavano i manifestanti palestinesi che in piazza a Ramallah contestavano la visita del presidente americano. La folla gridava slogan come "Obama, smetti di appoggiare i crimini di guerra israeliani", "Usa-Israele-Gb, il triangolo del terrorismo". La polizia palestinese, addestrata coi soldi americani, bloccava la strada che conduce al complesso della Muqata, sede dell'incontro, impedendo ai manifestanti di avvicinarsi. Nei giorni precedenti altre proteste si erano svolte a Gaza, a Ramallah e in altre località della Cisgiordania dove i manifestanti calpestavano poster con l'immagine del presidente americano e gridavano slogan contro il No pronunciato lo scorso novembre da Obama all'adesione della Palestina alle Nazioni unite come Stato osservatore.

27 marzo 2013