L'occupazione fascista della Slovenia

Il 6 aprile 1941 le forze armate tedesche e italiane oltrepassarono i confini della Jugoslavia. L'Italia fascista partecipò all'attacco con sette divisioni, due corazzate e cinque di fanteria, impadronendosi con rapidità della costa dalmata, occupando l'11 aprile Lubiana, Ragusa l'attuale Dubrovnik (17 aprile) e il Montenegro (18 aprile). Al termine delle operazioni militari nazifasciste la Jugolavia fu smembrata: all'Italia andarono la fascia meridionale della Slovenia con la costa dalmata; anche il Montenegro divenne un protettorato italiano.
``Mettiamoci bene in testa che questa gente (gli jugoslavi, ndr) non ci amerà mai. Quindi nessuno scrupolo''. Procedere ``con l'annientamento di uomini e cose''. Con queste parole Mussolini dettava la linea ai capi militari fascisti. In 29 mesi di occupazione della Slovenia secondo una statistica incompleta e riguardante la sola provincia di Lubiana furono uccise 12 mila persone (7 mila nei lager), 40 mila furono deportate, 10 mila le case distrutte. Arbe, Gonars, Cairo Montenotte, Pothum, Sdrussina, alcune delle località del martirio del paese slavo occupato dalle truppe fasciste.
Esecuzioni sommarie, massacri indiscriminati, rastrellamenti selvaggi, torture, rappresaglie contro civili inermi, razzie, devastazioni, campi di concentramento e deportazione: questo il volto dell'occupazione fascista. ``I crimini commessi dai soldati italiani non sono da meno, in ogni senso, di quelli commessi dai tedeschi'' affermerà il 14 maggio 1945 il delegato del governo di Belgrado presso la Commissione per i crimini di guerra delle Nazioni Unite.
L'escalation del terrore fascista in Slovenia non conobbe né limiti né soste, come si evince dai documenti redatti dai capi militari italiani.
Il 1° marzo 1942 Superloda (Comando superiore armate Slovenia e Damazia) inviò a tutti i comandi sottoposti la famigerata circolare 3 C. Estensori ne furono il comandante dell'XI Corpo d'armata, generale Mario Robotti, e l'alto commissario per la provincia di Lubiana, Emilio Grazioli. In essa si legge: ``Internare a titolo protettivo, precauzionale e repressivo, individui, famiglie, categorie di individui delle città e delle campagne e, se occorre, intere popolazioni di villaggi e zone rurali''; ``fermare ostaggi, tratti ordinatamente dalla parte sospetta della popolazione e, se giudicato opportuno, anche del suo complesso, compresi i ceti più elevati''; ostaggi, che ``possono essere chiamati a rispondere, con la loro vita, di aggressioni proditorie a militari o funzionari italiani''; ``considerare corresponsabili dei sabotaggi, in genere, gli abitanti di case prossime al luogo in cui essi vengono compiuti''. ``Si sappia bene - conclude la circolare 3 C. - che eccessi di reazione, compiuti in buona fede, non verranno perseguiti. Perseguiti invece, inesorabilmente, saranno coloro che dimostreranno timidezza e ignavia''.
Il 3 agosto dello stesso anno, a margine del marconigramma 13069/op., nel quale il comandante della divisione Granatieri di Sardegna, generale Taddeo Orlando, comunicava al comando dell'XI Armata l'avvenuto inoltro di ``37 uomini validi senza specifiche imputazioni per l'internamento e 3 briganti comunisti feriti'', il generale Robotti annotava stizzoso: ``Perché non li hanno fucilati? Fargli questo appunto (e fuciliamoli noi)''. ``Si ammazza troppo poco'', sottolineava ancora l'8 agosto il generale Robotti dopo aver ricevuto il fonogramma 5566 inviatogli dal comandante della divisione Cacciatori delle Alpi, Vittorio Ruggero: ``Mi pare che su 73 sospetti non trovare il modo di dare nemmeno un esempio, è un po' troppo''.
Il 30 luglio 1942 il comando raggruppamento camicie nere d'assalto ``Montagna'' chiedeva rinforzi, poi accordati, per poter effettuare ``lo sgombero totale della popolazione appartenente ai paesi di Breg, Pako e Goricica''.
Il 17 gennaio 1943 toccava al XIV battaglione redigere il seguente messaggio, a firma del maggiore comandante Ettore Giovannini e indirizzato al comando dell'XI Corpo d'armata: ``Le nostre truppe hanno agito con particolare severità contro Loz compiendo la distruzione, quasi completa, delle abitazioni, la confisca del bestiame, la fucilazione di molti giovani e l'internamento di un elevato numero di civili''.
Nella provincia di Lubiana i servizi di polizia, diretti dal tenente colonnello Giuseppe Agueci e dalla Regia questura, dalla quale dipendeva una divisione speciale di polizia, comandata dal maggiore Giulio Fiammeri, praticavano la tortura. Non pochi testimoni racconteranno le sevizie patite: corrente elettrica, distensione forzata (letto di Procuste), ustioni al corpo con carboni ardenti e bastonature. Per le donne pratiche vergognose e persino stupro. In un appunto, sigillato a mano da Agueci su carta intestata del comando dell'XI Corpo d'armata, si legge: ``Gli sloveni dovrebbero essere ammazzati tutti come cani e senza alcuna pietà''.
Spesso, da parte delle forze di occupazione italiane non vennero rispettate neppure le cosiddette ``convenzioni umanitarie''. Il documento l 8279/2/947 del 4 settembre 1942, a firma del capo di Stato Maggiore del IX Corpo d'armata, colonnello Annibale Gallo, recitava: ``Avvertire ancora i medici che le cure prestate ai ribelli comporta la pena di morte''. Ancora più criminale il fonogramma P.P.59 del 12 luglio 1943, indirizzato dal colonnello Sordi del comando 24° reggimento fanteria al comando divisione Isonzo: ``Prego disponete intervento aereo 144-CM-9 su Sapoota (KI-CK) dove è stato segnalato un ospedale b.c. (briganti comunisti, ndr)''.