Su proposta degli Usa
L'Onu manda truppe in Somalia in appoggio del governo provvisorio
Il presidente dell'Eritrea Afewerki: "Quel testo è una barzelletta"
Le Corti islamiche: "è un'invasione, respingeremo l'aggressione"
Il 6 dicembre il Consiglio di Sicurezza ha votato all'unanimità la risoluzione 1725, presentata dagli Usa, che autorizza l'invio di un contingente di "pace" formato da truppe di paesi africani in Somalia a difesa del governo federale transitorio (Tfg) del presidente Abdullahi Yusuf Ahmed. Formalmente le truppe dovrebbero soltanto "monitorare e mantenere la sicurezza a Baidoa" per sei mesi ma il contingente Onu è autorizzato ad agire sotto il Capitolo VII della Carta delle Nazioni unite e può usare la forza.
Il contingente dovrebbe essere fornito dall'Igad, l'organizzazione regionale dei paesi dell'Africa orientale e del Corno d'Africa, sarà costituito da 8 mila uomini e secondo il guineano Francois Fall, l'inviato speciale dell' Onu per la Somalia, "le truppe saranno dispiegate in 30 giorni". Al momento solo l' Algeria ha dichiarato la disponibilità a mandare un proprio contingente che comunque ha già pronto il finanziamento messo nel piatto dagli Usa.
Il documento dell'Onu afferma che la legittimità a rappresentare la Somalia spetta solo al governo transitorio. Quanto alle Corti, il cui governo è evidentemente ritenuto illegittimo, il consiglio chiede di "cessare ogni ulteriore espansione militare e allontanare i membri con un'agenda estremista o con legami con il terrorismo internazionale". Senza argomentazioni il documento Onu accusa che alcuni elementi delle Corti sarebbero "legati al terrorismo internazionale" mentre non dice una parola sulle truppe etiopiche già presenti in Somalia.
Il governo federale di transizione del presidente Abdullahi Yussuf, trincerato a Baidoa sotto la protezione delle truppe etiopiche, ha approvato la decisione.
"L'invio di truppe Onu in Somalia deciso dal Consiglio di Sicurezza dell'Onu è equiparabile a un attacco contro il nostro Paese" ha invece dichiarato lo sceicco Ahmad Sherif, leader delle Corti islamiche, "si tratta di una decisione presa dagli Stati Uniti che intendono in questo modo colpirci. Le Corti non accettano la presenza di truppe straniere nel proprio Paese". Il ministro degli esteri delle Corti islamiche, Ibrahim Adow, dichiarava che "consideriamo il dispiegamento di forze straniere in Somalia come un'invasione e il popolo somalo è pronto a difendersi contro quest'aggressione".
"La spiegazione della crisi va cercata nella presenza di militari etiopici in Somalia - affermava Addow - l'Etiopia deve ritirarsi, e mettere fine ai suoi progetti di divide et impera sulla Somalia. Siccome Addis Abeba sa che non potrà mai controllare militarmente il nostro Paese, da anni porta avanti il suo progetto di frammentare la Somalia in tanti piccoli staterelli, sull'esempio del Somaliland", l'autoproclamata repubblica secessionista nell'estremo nord, legata economicamente e politicamente al governo etiopico.
"Il governo provvisorio - dichiara il ministro - non è la soluzione al problema. È una struttura totalmente controllata dall'Etiopia. Sono traditori che vogliono vendere la Somalia al nemico, per il proprio interesse personale. In cambio, offrono un governo-marionetta, nelle mani del primo ministro etiope Meles Zenawi. Noi prendiamo atto dell'esistenza del governo di Baidoa. Al momento è un dato di fatto. Stiamo discutendo con le parti moderate del parlamento provvisorio, rappresentate dal portavoce del Parlamento. Ma sia chiaro, se si troverà un accordo per un governo di coalizione, loro saranno minoritari. Se invece saremo attaccati, risponderemo con la guerra santa, a difesa del Paese e della sua unità".
Il responsabile militare delle Corti islamiche, Sheikh Yusuf Indaadde, denunciava che "in questo momento, all'interno del territorio somalo, ci sono tra i 25mila e i 65mila soldati etiopici. Le poche centinaia di istruttori militari che Addis Abeba dichiara di avere inviato a Baidoa per addestrare la nuova polizia del governo federale di transizione sono una fandonia". Una presenza militare ignorata dall'Onu.
La risoluzione dell'Onu è "una barzelletta", denunciava il presidente eritreo Isaias Afewerki che si trovava in visita privata in Italia. "La decisione presa dall'Onu non ha alcun fondamento politico e porterà solo a un nuovo conflitto e a una maggiore confusione nell'area, oltre ad avere serie ripercussioni sulla stabilità di tutta la regione del Corno d'Africa" dichiarava Afewerki. "Non c'è alcuna base, legale o politica - per parlare di intervento, soprattutto dal momento che lo stato somalo si sta ricostituendo sotto la guida delle Corti islamiche", aggiungeva Afewerki che contestava la legittimità delle istituzioni transitorie federali "che non sono un governo ma solo un compromesso raggiunto anni fa per cercare di rimettere in moto il paese". E quindi non c'era alcun "bisogno di proteggere un governo, e da chi dovrebbe essere protetto? Questa formulazione della risoluzione dimostra che le istituzioni somale non sono sentite dalla popolazione come proprie". Il presidente eritreo accusava inoltre gli Stati uniti di "voler portar avanti in Somalia una politica di divide et impera" e rimproverava alla comunità internazionale di essersi appiattita sulle posizioni di Washington e di Addis Abeba.
Posizioni approvate anche dal governo italiano che da ex potenza coloniale cercava comunque di smarcarsi per ritagliarsi un ruolo di "mediatore". L'inviato speciale del governo, Mario Raffaelli, prima dell'approvazione della risoluzione dell'Onu sosteneva che le "Corti sono aperte al dialogo se trovano una controparte disponibile. Lo prova l'accordo raggiunto con la delegazione del Parlamento di Baidoa guidata dal portavoce, Sharif Hasan Sheikh Aden. In questo caso, hanno dimostrato di essere pronti a fare delle concessioni. Il problema ora è il governo di Baidoa, che insiste a non riconoscere questa trattativa". Una trattativa che dovrebbe ripartire a metà dicembre a Khartoum ma intanto sono ripresi gli scontri fra i soldati delle Corti e quelli governativi presso Baidoa.

13 dicembre 2006