Il Pakistan sott'acqua
Più di 10 milioni senza casa. Naufragano il governo e gli aiuti internazionali

Le piogge monsoniche che hanno colpito la provincia del Baluchistan e provocato le prime inondazioni lo scorso 22 luglio sono state il prologo della più grande catastrofe che ha colpito il Pakistan, il sesto stato più popoloso del mondo con 170 milioni di abitanti, che si è trovato a fine agosto per un terzo sotto l'acqua.
Le devastanti alluvioni causate dall'Indo nella sua corsa verso il mare e dai suoi affluenti hanno lasciato almeno 10 milioni di persone senza casa, secondo una stima dell'Onu; circa sei milioni rischiano di morire di fame. Parte del paese rischia di restare sommerso dall'acqua anche con la fine delle piogge monsoniche e l'acqua stagnante aumenterà il pericolo di epidemie di malaria, diarrea e colera. Altri problemi deriveranno dalla distruzione dei raccolti di grano, riso, canna da zucchero e mais e dalla devastazione di buona parte delle terre coltivabili e non solo quelle di pianura dato che anche nelle regioni montuose del Khyber Pakhtunkhwa, le più fertili dell'intero paese, i danni sono stati così ingenti che probabilmente tutta la produzione agricola di quest'anno e del prossimo è perduta.
Secondo stime di ong italiane che lavorano in Pakistan, le persone colpite dalle gravi inondazioni sono oltre 20 milioni, 1.750 i morti accertati e quasi due milioni le case distrutte.
A fronte della catastrofe è emersa chiara la responsabilità del governo di Islamabad nella mancata organizzazione di una minima azione di soccorso verso le popolazioni colpite, a cominciare dal presidente Ali Zardari che solo il 15 agosto rientrava con tutta calma da un tour in Europa e dopo una ulteriore sosta nel castello privato di famiglia prometteva di inviare aiuti alle zone colpite.
L'Onu lanciava un appello per raccogliere almeno 460 milioni di dollari, ritenuti necessari per affrontare i primi 90 giorni di emergenza, ma ai primi di settembre solo una parte degli aiuti promessi sono arrivati con una "strana" distribuzione: il settore della sicurezza è stato coperto con quasi il doppio dei fondi richiesti, quello della logistica è stato coperto al 90% ma quelli fondamentali delle necessità alimentari e della sanità hanno ricevuto fondi solo, rispettivamente, pari al 60% e al 27% del fabbisogno.
Sarà un caso ma durante l'emergenza alluvione il governo e i soldati americani hanno continuato a colpire le milizie islamiche accusate di sostenere i talebani. Tra l'altro gli Usa hanno impiegato nel soccorso alle popolazioni colpite dall'alluvione un ventina di elicotteri, un numero ridicolo considerando le necessità degli interventi e del fatto che nell'area è stazionato il più grande assembramento militare Usa fuori dai confini americani. Senza contare che, secondo una denuncia di un parlamentare, nella città di Jacobabad, una città del nord che confina con il Baluchistan, gli aiuti non sono potuti arrivare perché l'unica pista di atterraggio è sotto il controllo dei soldati americani che vi hanno installato una base di appoggio.
A fronte dei risicati aiuti arrivati l'Alto commissario per i rifugiati dell'Onu (Unhcr) in un comunicato diffuso ai primi di settembre denunciava "il rischio che non sia stata ancora messa a fuoco, da parte della comunità mondiale, la reale portata di quest'emergenza". Mentre un responsabile delle ong italiane che lavorano nel paese denunciava che "dopo più di un mese dall'inizio delle alluvioni monsoniche, il Pakistan resta intrappolato in una tragedia umanitaria dalle proporzioni bibliche. Nonostante la gravissima situazione, l'emergenza che sta colpendo il Paese sembra essere stata completamente dimenticata, al massimo se ne torna a parlare solo grazie ad una foto di bambini ricoperti di mosche con i loro biberon vuoti, pubblicata dal Guardian e ripresa da altri quotidiani".

8 settembre 2010