Uno o due stati in Palestina?
Se ne discute anche tra gli ebrei


Il 9 luglio il presidente del consiglio Romano Prodi in visita in Israele col collega sionista Ehud Olmert ha parlato della necessità della pace tra Israele e Palestina tra l'altro come garanzia per "Israele ad esistere come stato ebraico". E ha spiegato che il processo di pace deve portare ad un accordo "per due Stati sovrani, contigui ed indipendenti per i due popoli che si affacciano in queste terre". La conferma dell'appoggio imperialista del governo italiano alla politica dei sionisti di Tel Aviv.
Pochi giorni prima dieci ministri degli Esteri dei paesi mediterranei della Ue riuniti il 6 luglio in Slovenia avevano inviato una lettera aperta al nuovo mediatore del Quartetto per il Medio Oriente, Tony Blair, nella quale affermavano che la "road map" è fallita e un nuovo piano "per la pace in Medio Oriente" doveva ripartire con negoziati per "far diventare realtà, la visione di due Stati, israeliano e palestinese, che vivono l'uno accanto all'altro in pace e in sicurezza". Ovviamente per i ministri degli Esteri europei la questione della sicurezza riguarda soprattutto Israele e patrocinavano la costituzione "di una forza internazionale robusta del tipo Nato o Onu capitolo VII. Questa avrebbe ogni legittimità ad assicurare l'ordine nei territori e a imporre il rispetto di un necessario cessate il fuoco". Un gendarme internazionale a vigilare nei territori occupati palestinesi per conto dei sionisti al pari del contingente Onu nel sud del Libano.
Governo italiano e Unione europea ripropongono la soluzione "due stati, due popoli", il progetto che prevede la creazione di uno Stato palestinese sovrano in Cisgiordania e Gaza, su appena il 22% del territorio storico della Palestina, accanto allo Stato di Israele. Una soluzione che avalla nei fatti il progetto sionista di annettere tutta Gerusalemme Est e gran parte della Cisgiordania, lasciando ai palestinesi il controllo, parziale, dei loro principali centri abitati. Un sistema di apartheid, reso ancora più evidente dalla costruzione del "muro di separazione". Lo Stato di Palestina sarebbe a sovranità limitata e controllato da Israele. Dopo la cacciata dei dirigenti corrotti da Al Fatah e la presa del controllo di Gaza da parte di Hamas sono spuntate persino ipotesi di una Cisgiordania indipendente sotto l'autorità del presidente amico Abu Mazen e con la striscia di Gaza sigillata e totalmente dipendente dagli aiuti umanitari.
Le proposte per una soluzione della questione palestinese avanzate dall'imperialismo e riportate negli accordi di Oslo del 1993, o le varianti riportate in tutti i piani successivi compresa la "road map" si sono dimostrate funzionali agli interessi imperialisti dei sionisti israeliani e una negazione dei diritti dei palestinesi. L'ipotesi dei "due popoli, due stati" non è altro che la continuazione di questa politica. Mentre si fa spazio una diversa ipotesi per una soluzione che prevede un solo Stato in Palestina, discussa e sostenuta anche tra i progressisti ebrei.

La decisione dell'Onu nel 1947
In un recente convegno a Tel Aviv lo storico israeliano Ilan Pappe, professore emerito presso il dipartimento di scienze politiche dell'Università di Haifa, ha ricordato che dopo la seconda guerra mondiale "uno stato unitario avrebbe dovuto sostituire il protettorato palestinese, come auspicato da parte di alcuni membri dell'Onu. Tuttavia questi membri dovettero ritirare il proprio sostegno a questa soluzione di fronte alla forte pressione degli Stati Uniti e della lobby sionista" e che con la risoluzione adottata dall'Assemblea generale dell'Onu il 29 novembre del 1947 si dava il via alla spartizione della Palestina che portava alla nascita dello stato di Israele. Quando "Ariel Sharon e George Bush si sono dichiarati favorevoli e fedeli alla soluzione con due stati - ha sostenuto - questa è diventata un cinico mezzo che ha permesso ad Israele di conservare il proprio regime di discriminazione all'interno dei confini del 1967, l'occupazione in Cisgiordania e la ghettizzazione della Striscia di Gaza. (...) Chiunque impedisca il dibattito sui possibili modelli politici alternativi autorizza Israele a farsi scudo della soluzione con due stati per continuare a commettere crimini in Palestina. Inoltre, non solo nei territori non ci sono più neanche le pietre per costruire questo stato dopo sei anni di distruzione delle infrastrutture da parte di Israele ma se anche si applicasse una partizione sensata i palestinesi non otterrebbero più che un misero 29% della propria terra natìa". Quando per la mappa relativa alla decisione dell'Onu nel 1947 i palestinesi "avrebbero diritto ad almeno metà della propria terra originaria".
In un precedente convegno aveva affermato che "il problema, nella sua reale essenza, è Israele come Stato Sionista. È impossibile cambiare queste essenza fintanto che lo Stato esiste. Nessun cambiamento è possibile dall'interno, perché in Israele non c'è differenza reale tra Destra e Sinistra. Entrambe sono complici in una politica il cui vero scopo è la pulizia etnica, l'espulsione dei palestinesi non solo dai territori occupati, ma anche dallo stesso Israele. Di conseguenza, chi anela ad una soluzione giusta deve mirare alla creazione di un solo Stato, al quale i rifugiati del 1948 e del 1967 saranno invitati a ritornare. Sarà uno Stato unico ed egualitario, come è oggi il Sud Africa. Non ha senso cercare di cambiare Israele dall'interno. La salvezza verrà dall'esterno: un boicottaggio di Israele su scala mondiale, che costringerà lo Stato a cedere e convincerà l'opinione pubblica israeliana che non c'è altra via oltre la Soluzione-Uno-Stato".

"Palestina-israele, un paese uno stato"
Ilan Pappe con altri accademici e attivisti americani, sudafricani, israeliani e palestinesi ha partecipato ai primi di luglio al corso "Palestina/Israele, un paese uno stato" organizzato dall'Universidad Nómada di Madrid che ha rilanciato la soluzione di uno stato democratico come unica e urgente via d'uscita dallo stallo negoziale che la questione palestinese vive da anni.
Una delle relatrici, Leila Farsakh, docente di Scienza politica all'Università del Massachusetts (Boston) ha sostenuto che "dobbiamo ripartire con la resistenza all'occupazione e al colonialismo, formulando una nuova strategia che si basi sul concetto di cittadinanza, non più ancorata all'idea di partizione della Palestina storica. Quaranta anni di lotta, dall'occupazione dei Territori nel 1967, meritano forse uno stato che non sarebbe altro che un insieme di bantustan in territorio israeliano, senza continuità territoriale?". E indicato le ipotesi di stato binazionale o stato unico: "nello stato binazionale i gruppi, nel nostro caso israeliani e arabi, mantengono una serie di istituzioni, ad esempio il sistema educativo, separate. Separate e garantite dalla costituzione. Per stato unico s'intende invece uno stato laico e democratico in cui, per legge, non viene protetta alcuna identità particolare. Riconoscere che lo stato non è omogeneo, ma mettere al centro del discorso il cittadino, non le etnie. Tra chi, come noi, considera ormai impossibile la partizione della Palestina, ci sono ancora divergenze su quale di questi due modelli, o loro variazioni, sarebbe più opportuno adottare".
Fra i partecipanti del corso di Madrid Ali Abunimah, palestinese-americano e autore del libro "One country", che ha ricordato come "lo stato unico è una vecchia proposta dell'Organizzazione per la liberazione della Palestina ma anche di alcuni membri del movimento sionista prima della nascita d'Israele, come il filosofo Martin Buber e l'ex presidente dell'università ebraica Judah Magnes. La novità oggi sta nella necessità di rimetterla al centro dell'agenda politica. La realtà che si è creata sul terreno rende impossibile uno stato palestinese funzionante. Allo stesso tempo l'idea di uno stato etnico è insostenibile: a 60 anni dalla nascita d'Israele, lo Stato ebraico ha fallito sia nell'ottenere legittimazione da parte della sua popolazione - mi riferisco ai palestinesi che occupa e quelli all'interno dei confini statali, che insieme rappresentano circa la metà degli abitanti e diventeranno rapidamente la maggioranza - sia nel fermare la resistenza palestinese. Inoltre moralmente è inaccettabile che in uno stato i diritti di cittadinanza dipendano dall'etnia o dalla religione".

Al Fatah per un solo stato
Come ha ricordato Ali Abunimah la creazione di uno stato in Palestina era stata la proposta iniziale dell'Olp di Arafat. Nel 1969 Al Fatah, l'organizzazione di Yasser Arafat che non accettava la presenza ebraica in Palestina, rilanciò la proposta della costituzione di uno stato democratico in Palestina. Questo stato avrebbe dovuto mettere fine alle ingiustizie causate dalla creazione d'Israele e dall'espulsione di 750.000 palestinesi dai loro villaggi, applicando il diritto al ritorno. Benché invitasse a distruggere le strutture dello stato d'Israele, considerato come un'entità coloniale, Fatah difendeva la nozione d'uno stato unico per tutti i suoi cittadini, musulmani, cristiani ed ebrei. Negli anni successivi sotto la pressione dei paesi imperialisti e dei sionisti Arafat accettò la spartizione della Palestina, imposta ai consigli nazionali dell'Olp nel 1974 e in modo esplicito nel 1988, con la proclamazione dell'indipendenza palestinese e l'accettazione del piano di spartizione delle Nazioni unite. Anche se al momento lo stato palestinese indipendente era previsto solo sul 22% del territorio d'origine.

Gli accordi di Oslo
La capitolazione di Arafat fu sancita dagli accordi di Oslo del 1993. Ufficialmente chiamati "Dichiarazione di principi sui progetti di auto-governo interinali" o "Dichiarazione di Principi (DOP)", furono firmati a Washington il 13 settembre del 1993 da Arafat e dal sionista Shimon Peres. In sintesi chiedevano il ritiro delle forze israeliane da parti della striscia di Gaza e dalla Cisgiordania e affermavano il diritto palestinese all'autogoverno in tali aree attraverso la creazione dell'Autorità nazionale palestinese (Anp). Il governo palestinese ad interim sarebbe durato per un periodo di cinque anni durante i quali sarebbe stato negoziato un accordo permanente, a partire al più tardi dal maggio 1996.
Assieme ai principi, le due parti firmarono lettere di mutuo riconoscimento: il governo israeliano riconobbe l'OLP come legittimo rappresentante del popolo palestinese mentre l'OLP riconosceva il diritto a esistere dello stato di Israele e rinunciava alla violenza e al desiderio della distruzione di Israele. Gli accordi furono approvati da Al Fatah mentre Hamas, la Jihad e il Fronte popolare per la liberazione della Palestina li bocciarono.

La posizione di Hamas
Hamas non riconosce Israele e questa posizione assieme alla decisione di praticare la resistenza armata all'occupazione ha fatto sì che i paesi imperialisti abbiano inserito l'organizzazione islamica palestinese nell'elenco dei gruppi definiti terroristi.
In occasione delle elezioni per il parlamento palestinese del 2006, poi vinte a larga maggioranza, Hamas aveva deciso di partecipare perché voleva contribuire alla "formazione di uno stato indipendente, con capitale Gerusalemme". Dopo la vittoria elettorale, il portavoce di Hamas a Gaza Moshir Al Masri aveva sottolineato che "il movimento Hamas crede alle soluzioni per tappe ma non alle soluzioni basate sulle concessioni. È questo che aveva affermato lo sceicco Yassin, fondatore e dirigente di Hamas, più di quindici anni fa quando aveva detto che 'noi possiamo accettare la creazione di uno stato in Cisgiordania, nella striscia di Gaza e a Gerusalemme Est, con il ritorno dei profughi e la liberazione di tutti i prigionieri. Allora potremo firmare una tregua di lunga durata, per dieci anni se occorre, o anche di più'".
Quanto al riconoscimento di Israele Al Masri ribadiva che "per quanto riguarda il rifiuto dell'esistenza d'Israele e il rifiuto della permanenza degli ebrei in Palestina, permetteteci di distinguere tra gli ebrei in quanto tali, cioè in quanto seguaci di una religione, che noi rispettiamo e con cui abbiamo condiviso una storia onorevole attraverso la storia islamica, e l'attuale occupazione sul nostro territorio. Il problema infatti non è un problema con gli ebrei. Noi porgiamo il benvenuto agli ebrei che vogliono vivere con noi; questo è un atteggiamento permanente che constatiamo lungo tutta la storia dell'Islam, già compresa l'epoca del nostro Profeta, Maometto. No, il problema è che c'è un'occupazione che grava sul nostro territorio. (...)
Ci sono accuse contro il movimento di Hamas, secondo cui questo movimento cercherebbe di 'gettare gli ebrei al mare'. Queste sono affermazioni false e infondate. Noi rispettiamo il giudaismo come religione e gli ebrei come esseri umani. Invece, noi non rispettiamo un'occupazione che ci caccia dalle nostre terre e che pratica contro di noi ogni forma di aggressione, adoperando le armi più atroci, utilizzate contro il nostro popolo palestinese".

La "Road Map"
Quando il processo di pace imperialista definito negli accordi di Oslo era già finito nella pattumiera, il "Quartetto" formato da Stati Uniti, Unione europea, Russia e Nazioni Unite presentò nell'aprile 2003 un progetto di pace, la cosiddetta "Road Map".
Ufficialmente approvata da entrambe le leadership palestinese e israeliana, la "Road Map" si articolava in tre fasi: la prima prevedeva la fine delle azioni "terroristiche" palestinesi e delle rappresaglie israeliane; la seconda il ritiro delle forze israeliane dai territori occupati dall'inizio della seconda intifada nel settembre 2002; la terza prevedeva infine la proclamazione, entro il 2005, di uno stato palestinese entro confini definitivi.
Il professore Mahmoud Musa, profugo da Haifa alla Cisgiordania e direttore accademico del Canadian Center for comparative cultural research, scaduti i termini previsti dalla "Road Map" per la creazione di uno stato paelstinese denunciava alla fine del 2005 che "c'è stato un numero infinito di piani, Madrid, Oslo I, Oslo II, Wye River, Camp David, il Piano Tenet, il Documento Mitchell, gli Accordi di Sharm El-Sheikh, l'Iniziativa di Ginevra, la Road Map. Sono stati tutti tentativi di separare gli ebrei e i palestinesi, mentre essi sono già uniti e mescolati e le loro risorse naturali e le loro rispettive economie non possono essere separate". Hanno prodotto tra l'altro "l'Autorità Palestinese che è un'autorità senza uno Stato, che fa di tutto per perpetuare la fantasia di uno Stato privato del suo territorio. Ha l'appoggio degli Stati Uniti e dei loro alleati. Inoltre, è tarlata dalla corruzione". Ai sostenitori della politica dell'Autorità Palestinese indicava che "è nel difendere uno Stato unico democratico che si estenda su tutta la superfiche della Palestina storica che il movimento di solidarietà internazionale contribuirà agli interessi di tutti i popoli di questa regione del mondo, del Medio Oriente, e alla causa della pace nel mondo, in generale".
Insomma uno Stato, due popoli.

11 luglio 2007