I PALESTINESI RIFIUTANO IL "PIANO DI PACE'' DI CLINTON
Israele l'ha accettato

Il presidente del parlamento palestinese Ahmed Korei comunicava l'8 gennaio il rifiuto palestinese del "piano di pace'' di Clinton sostenendo che "non possiamo accettare le idee del presidente americano perché non tengono conto delle nostre riserve al piano che non garantisce al nostro popolo i suoi diritti legittimi''; in particolare il rappresentante dell'Autorità nazionale palestinese denunciava l'impossibilità della nascita di uno Stato palestinese frantumato da colonie e corridoi stradali controllati dagli israeliani. Poco prima il viceministro della Difesa israeliano Eprahim Sneh aveva invece comunicato l'accettazione da parte del governo Barak del piano di Clinton quale "base sufficiente per proseguire la trattativa''.
Al momento in cui scriviamo l'ambasciatore americano Dennis Ross è in viaggio per il Medio Oriente con una nuova bozza di piano da presentare a Barak e Arafat che sembra rappresentare l'ultimo tentativo di Clinton di arrivare ad una soluzione concordata tra le due parti prima di lasciare il 20 gennaio la Casa Bianca al suo successore Bush. Ma è anche in programma a Tunisi una riunione dei ministri degli Esteri di otto paesi arabi con un rappresentante dell'Olp per fare il punto sulla rivolta palestinese nei territori occupati. Il segretario generale della Lega araba annunciava che "la riunione si prefigge di dare il sostegno necessario all'Intifada palestinese''.
L'ultimo incontro tra Arafat e Clinton a Washington si era chiuso il 3 gennaio senza alcuna dichiarazione ufficiale. Un portavoce della Casa Bianca affermava che il leader palestinese aveva espresso a Clinton un sì condizionato al suo piano, ovvero una accettazione in linea di principio ma con una serie di riserve. Il progetto americano prevede l'annessione diretta a Israele di quasi il 10% dei territori occupati, comprese le zone non arabe di Gerusalemme e la gran parte degli insediamenti dei coloni; nega ai profughi palestinesi il diritto al ritorno nelle loro terre in Israele da dove furono cacciati a partire dal 1948; assegna alle forze militari sioniste il controllo per almeno altri 3 anni della frontiera con la Giordania e il controllo a tempo indeterminato delle principali strade della Cisgiordania compresa quella che da Gerusalemme conduce al Mar Morto. Ai palestinesi toccherebbe quindi il controllo di solo una parte dei territori e per di più senza contiguità territoriale: le strade di comunicazione che restano sotto sovranità israeliana spezzano in almeno tre parti quello che dovrebbe essero lo Stato palestinese. Tale ipotesi era stata ritenuta inaccettabile dai palestinesi; le pressioni dell'imperialismo americano su Arafat avevano portato a una richiesta di chiarimenti del leader palestinese che era volato a Washington per un colloquio diretto col presidente americano.
Il 4 gennaio si teneva al Cairo una riunione ristretta del Consiglio della Lega Araba che si chiudeva con una dichiarazione di appoggio alle riserve avanzate da Arafat verso il piano Clinton e dove si sottolineava in particolare che doveva essere rispettato il diritto dei profughi palestinesi al ritorno alle loro terre in Israele e la certezza della totale sovranità palestinese su Gerusalemme est e la Spianata delle Moschee.
Il 7 gennaio si svolgeva sempre al Cairo un vertice tra i responsabili dei servizi di sicurezza israeliani e palestinesi sotto le regia del capo della Cia George Tenet. Il vertice si chiudeva con un nulla di fatto perché i rappresentanti sionisti appoggiati dagli Usa chiedevano la fine delle proteste palestinesi per concedere in cambio la riapertura dell'aeroporto di Gaza, la fine dei blocchi attorno alle città palestinesi e l'apertura delle frontiere terrestri con Giordania ed Egitto. Nel contempo i carri armati sionisti entravano in azione a Ramallah in Cisgiordania e presso l'insediamento di coloni di Netzarim a Gaza; violenti scontri a fuoco fra palestinesi e soldati israeliani si svolgevano alla periferia di Tulkarem.
Il fallimento del vertice dei responsabili dei servizi al Cairo era la premessa del rigetto da parte palestinese dell'intero piano di Clinton.
Contro il "piano di pace'' americano si era nuovamente espresso il leader di Al Fatah Marwan Barghuti che dalla sede dell'organizzazione a Ramallah ribadiva: "da Oslo in poi abbiamo firmato sei accordi e nessuno è stato attuato da Israele. Da quando sono iniziate le trattative gli insediamenti dei coloni sono aumentati del 50% e altre migliaia di ettari di terra ci sono state confiscate. Le risoluzioni Onu per il ritiro israeliano dai territori occupati dopo il 1967, per il ritorno dei profughi, sui confini non sono state minimamente prese in considerazione; la terra rimastaci dopo il '67 verrà ulteriormente ridotta, vogliono mantenere l'occupazione delle terre attorno ai confini e ridurci in quattro cantoni separati''. Gli israeliani, prosegue Barghuti "è chiaro che vogliono la nostra terra senza il nostro popolo e non si sognano di far tornare i rifugiati. Nel mondo ci sono cinque milioni di profughi palestinesi senza patria e senza diritto''. "Nonostante 370 martiri, 17 mila feriti di cui 3 mila disabili per sempre solo dal 28 settembre, l'Intifada non si fermerà prima della completa fine dell'occupazione'', conclude Barghuti ripetendo che "la guerra di liberazione'' del popolo palestinese continuerà con "la mobilitazione di massa, con gli scioperi, le pietre, la disobbedienza e, finché Israele continua a sparare, con le armi''.