Misfatti e crimini di Casa Savoia    Marx sulla storia di Casa Savoia
La prima proposta per l'abrogazione della XIII disposizione della Costituzione fu presentata nel 1979 dal partito fascista MSI-DN

IL PARLAMENTO NERO VOTA PER IL RIENTRO DEI SAVOIA
Governo neofascista e Ulivo cancellano i residui antifascisti e antimonarchici della Costituzione
Con 235 voti a favore, 19 contrari e 15 astenuti, ben oltre la maggioranza assoluta richiesta, il Senato del regime neofascista ha approvato il 5 febbraio la legge che cancella il veto costituzionale al rientro dei Savoia in Italia. La legge approvata dal senato nero abroga infatti il primo e il secondo comma della XIII disposizione della Costituzione repubblicana, che vietano l'esercizio dei diritti politici ai membri e ai discendenti di Casa Savoia e vietano altresì l'ingresso e il soggiorno in Italia ai discendenti maschi del casato.
Un ennesimo strappo alla Costituzione antifascista, già abbondantemente fatta a brandelli e stravolta per adattarla alla seconda repubblica neofascista, presidenzialista e federalista, attuato oltretutto con un espediente giuridico che alcuni costituzionalisti non hanno esitato a definire una vera e propria scelleratezza istituzionale, in quanto stabilendo l'"esaurimento degli effetti'' della disposizione costituzionale apre la strada all'abrogazione di altre norme analoghe, come la XII che vieta la riorganizzazione del disciolto partito fascista. Per non parlare del terzo comma della XIII stessa, quello che avoca allo Stato i beni di Casa Savoia e che per ora è stato lasciato in vigore, ma che in base allo stesso precedente giuridico potrà essere facilmente impugnato dagli eredi per rientrare in possesso delle loro ex ricchezze.
Trattandosi di una modifica costituzionale in base all'articolo 138 occorreranno altre tre approvazioni: quella della Camera, a cui il ddl è già stato inviato, e a distanza di almeno tre mesi una seconda volta al Senato e alla Camera. Per non essere sottoposta a referendum occorre che al secondo passaggio sia approvata con maggioranza di almeno due terzi (420 alla Camera e 215 al Senato). Ed è questa la situazione che si profila, vista la maggioranza plebiscitaria formatasi già con la prima deliberazione.
A favore della proposta presentata dalla maggioranza, infatti, ha votato quasi compatto anche l'Ulivo. In campo governativo si è astenuta solo la Lega, ma per far sentire che esiste, non certo per difendere la Costituzione. Sull'altro versante hanno votato contro il PRC, il PdCI, la maggioranza dei Verdi e sei senatori DS tra cui, pur ammettendo di essere stato "incerto fino all'ultimo'' per scrupoli "umanitari'', il vicepresidente del gruppo Cesare Salvi.

UNA DICHIARAZIONE DI COMODO
Il voto dei senatori diessini era determinante per l'approvazione del ddl costituzionale, e lo sarà a maggior ragione alla seconda votazione, quando la maggioranza dei due terzi sarà indispensabile per evitare il referendum. Gli eredi Savoia ne erano ben consapevoli, tant'è vero che con un'abile mossa tattica - la dichiarazione di "fedeltà alla repubblica'' - hanno fornito ai rinnegati della Quercia la foglia di fico necessaria per poter giustificare il loro vergognoso salto della quaglia dalla posizione dell'astensione (che per quanto opportunista al Senato avrebbe contato come un voto contrario) al voto direttamente a favore.
All'immediata vigilia del voto, infatti, Vittorio Emanuele aveva fatto appello all'"opposizione'' affinché votasse a favore della legge attraverso una lettera pubblica in cui tra l'altro dichiarava: "Mio figlio ed io con la presente diamo formale assicurazione circa la nostra fedeltà alla Costituzione Repubblicana e al nostro presidente della Repubblica''. Tanto è bastato ai rinnegati diessini per sbandierare che finalmente gli eredi Savoia avevano "giurato'' fedeltà alla Repubblica e rinunciato a ogni pretesa di restaurazione monarchica, e che quindi non c'era più ragione di opporsi al loro rientro in Italia e al riottenimento di tutti i diritti politici. Il senatore Brutti è stato addirittura tra i primi a telefonare ai Savoia per congratularsi con loro.
In realtà Vittorio Emanuele e suo figlio Emanuele Filiberto non hanno fatto nessun "giuramento'', ma si sono limitati, con parole assai contorte ed ambigue, ad esprimere una "formale assicurazione circa qualcosa''. In ogni caso vale il vecchio detto popolare: fatta la grazia gabbato lo santo. Potendo circolare liberamente in Italia e godere pienamente dei diritti politici, cosa potrà impedire agli eredi Savoia di organizzare e capeggiare i nostalgici della monarchia e tramare contro la Repubblica? La storia insegna che perfino i "giuramenti'' e i patti firmati solennemente e con tutti i crismi sono trattati come carta straccia quando conviene ai potenti, figuriamoci le dichiarazioni generiche dettate dalla convenienza del momento.
I rinnegati DS si sono perciò assunti una responsabilità gravissima di fronte al Paese e alla storia, cancellando la discriminante antimonarchica dopo aver già contribuito in modo determinante a cancellare quella antifascista. Del resto fu proprio il governo di "centro-sinistra'' Prodi, nel '97, a presentare per primo un disegno di legge per la cancellazione della XIII disposizione, approvato anche allora al Senato, che si arenò poi alla Camera. Che spetti ai rinnegati del comunismo l'ignominia storica di aver consentito all'abbattimento di quest'ultimo retaggio della Resistenza è dimostrato anche dal ringraziamento pubblico rivolto loro da Vittorio Emanuele appena saputo del voto.

PUNTO DI RIFERIMENTO PER LA REAZIONE
Non è affatto vero che ormai i Savoia non rappresentano più un pericolo per lo Stato repubblicano. Essi restano comunque un punto di riferimento per i monarchici nostalgici, ma anche per i fascisti (basti pensare che il MSI-DN fu il primo a chiedere, già nel '79, l'abrogazione del divieto costituzionale al loro rientro in Italia), per il Vaticano e per tutte le forze reazionarie e restauratrici che rigurgitano come non mai ora che il neoduce Berlusconi ha preso la testa del regime neofascista.
In un Paese in cui l'unità dello Stato è andata a gambe all'aria col federalismo e crescono le spinte secessionistiche un movimento monarchico può rappresentare un'ulteriore mina vagante il cui ruolo può apparire marginale oggi come oggi, ma in condizioni mutate potrebbe avere effetti assai più rilevanti: per esempio cavalcando demagogicamente il risentimento crescente delle masse del Meridione. Come mai - viene da chiederselo - Vittorio Emanuele insiste tanto nel voler tornare a Napoli e di lì cominciare un suo giro "elettorale'' per tutta l'Italia?
Altrettanto falsa e da respingere è la tesi "umanitaria'' che gli eredi di Casa Savoia non sono responsabili per i misfatti commessi dai loro padri e nonni. Intanto ci sarebbe da riempire un intero dossier con i misfatti anche solo dell'attuale rampollo del casato, Vittorio Emanuele. Forse che i rinnegati diessini hanno già "dimenticato'' il suo passato di affiliato alla P2 e intimo di Licio Gelli (che lo chiamava "Vittorio Emanuele IV''), di trafficante internazionale di armi (accertato) e di droga (sospetto), di processato e scandalosamente assolto per l'uccisione a fucilate di un ragazzo tedesco in Corsica? Ma anche a prescindere da ciò la XIII disposizione non tratta di colpe e delitti individuali e circoscritti, commessi da cittadini qualsiasi. Si riferisce a responsabilità storiche incancellabili di un'intera famiglia di sovrani commesse nell'arco di molti decenni (vedi scheda pubblicata a parte), che hanno arrecato lutti e rovine immensi a un'intero popolo. E poiché i figli e i nipoti ne rivendicano l'appartenenza e la discendenza a tutti gli effetti, ne devono portare sulle spalle anche le conseguenze storiche, politiche e giuridiche che ne derivano. è evidente che con la XIII disposizione finale non si intendeva punire i singoli discendenti di Casa Savoia in quanto individui, bensì mettere al riparo la Repubblica da future rivendicazioni dei Savoia in quanto "casato'', finché esisterà come tale.
A tutt'oggi queste sacrosante motivazioni non sono affatto decadute, come sostengono in coro la destra e la "sinistra'' del regime neofascista. Tant'è vero che, per esempio, Emanuele Filiberto ha già annunciato che chiederà di far rientrare le salme dei nonni e dei bisnonni in Italia per farle tumulare nel Pantheon. Si sa inoltre che sua zia Maria Gabriella ha già avviato un'istanza legale per rientrare in possesso degli ex gioielli confiscati dallo Stato nel '46, sostenendo accortamente che si tratta non di gioielli della Corona ma di gioielli di famiglia. E altrettanto accortamente Vittorio Emanuele ha dichiarato che si tratta di un'iniziativa "personale'' della sorella. Per non incorrere appunto nell'accusa che i Savoia agiscano come "casato'', dando così ragione a chi considera ancora validissime le ragioni della XIII disposizione finale della Costituzione.

13 febbraio 2002