Candidato governatore della Lombardia per il "centro-sinistra"
Filippo Penati, dalla destra PCI al fascio-leghismo di "sinistra"

Filippo Penati nasce a Monza il 30 dicembre 1952 da una famiglia proletaria. Il padre era operaio alla Garelli, la madre era emigrata al Nord dalla Sicilia.

Gli anni Ottanta
La tessera del Pci Filippo Penati la prende a 22 anni, "ma all'inizio non facevo vita di partito". Sarà, ma nel giro di pochi anni si aprono per lui le porte del Consiglio comunale di Sesto San Giovanni. Nel 1980 viene eletto consigliere comunale e subito dopo nominato assessore. Prima al Bilancio, poi all'Urbanistica. In quegli anni un libro su tutti lo illumina. Se pensate a Marx, siete fuori strada: "Alla fine degli anni Ottanta lessi avidamente il libro di Giulio Tremonti, Le cento tasse degli italiani, e feci mia la sua lezione. Le mille lire di tasse versate da un milanese non devono necessariamente passare per Roma per tornare ai milanesi". Sembra di sentire parlare Bossi invece è proprio lui, Filippo Penati.
Sempre negli anni Ottanta c'è un'altra "lezione" che lo ha incantato: "la lezione della conferenza di Rimini del Psi sui meriti e i bisogni (1982). Il Pci non intuì l'importanza di talune istanze craxiane". Un esempio? "Non è possibile che un postino milanese guadagni la stessa cosa di un postino meridionale. La vita al Nord costa più che al Sud". Meno tasse per il ceto medio e le imprese, federalismo fiscale, gabbie salariali: già negli anni Ottanta Filippo Penati ha fatto sue le esigenze della destra borghese.

Gli anni Novanta
Naturale, quindi, che con la fine dell'inganno revisionista rappresentato dal Pci e la sua definitiva trasformazione in partito neoliberale con la fondazione del Pds, un arcirevisionista e anticomunista come Penati finisse in prima fila. Prima di allora era un non conosciutissimo assessore della giunta uscente, insegnante di educazione tecnica in aspettativa, iscritto dal '75 al Pci, presidente di un circolo cooperativo e titolare di una filiale della Unipol. Perciò, eccolo nel 1994 ambire e ottenere la carica di neopodestà di Sesto San Giovanni.
Sono anni durissimi per gli operai di Sesto: la Falck chiude i battenti (1996). Penati lo troviamo sulle barricate, ovviamente quelle sbagliate. Mentre i padroni cominciano l'opera di deindustrializzazione e delocalizzazione selvaggia, fonda un nuovo partito trasversale dei sindaci "contro l'immigrazione clandestina, per la sicurezza e per l'integrazione", promosso dal sindaco neofascista di Milano, Gabriele Albertini. Con quella proposta i sindaci, sia di "centro-destra" che di "centro-sinistra", richiedevano al governo Prodi (1997) un'immediata approvazione della legge sull'immigrazione con l'istituzione del reato penale di immigrazione clandestina, con espulsione immediata dal territorio nazionale e l'elevazione a reato penale della mancanza di documenti. Razzismo e xenofobia allo stato puro e Penati è in prima linea.
Nel 1998 arriva la conferma a sindaco di Sesto, e stavolta anche con il sostegno di un bel pezzo di imprenditoria sestese, costruttori soprattutto, la stessa che quattro anni prima stava anima e corpo con Forza Italia. Sempre nel 1998, poi, con Alberto Falck fonda l'associazione "Comunicare Sesto" per creare nell'area dell'ex ferriera di Sesto l'agenzia europea per il "terzo settore" e il volontariato.
A furia di guardare a destra Penati finisce per prendere a modello le ordinanze del vice sindaco fascista di Milano Riccardo De Corato. Ed ecco fioccare anche a Sesto le multe ai clienti delle prostitute. Non pago, nel 2000 arriva la proposta di riaprire a Sesto le famigerate "case chiuse" del ventennio mussoliniano.
Nel 2001 Sesto San Giovanni diventa uno dei primi comuni d'Italia a iniziare le sedute del Consiglio comunale suonando l'inno di Mameli. Lo decide lo stesso Penati, facendo sua l'ubriacatura patriottarda del capo dello Stato Ciampi a sostegno del nuovo ruolo interventista e imperialista dell'Italia. Chiude l'esperienza di neopodestà di Sesto beccandosi l'apostrofo di "fascista" da un consigliere in quota Verdi Democratici.
Nell'ottica federalista del nascente regime neofascista, arriva a proporre con l'allora neopodestà di Milano, Gabriele Albertini, presidente del Consiglio delle autonomie locali, niente meno che una "seconda camera regionale" neocorporativa con presenti lobby e poteri forti.
Al tempo stesso dialoga con Formigoni e Lega Nord, sostenitori di un referendum regionale anti-costituzionale sulla devolution, e li invita a "sostenere con altrettanta convinzione il disegno di legge per la riforma federale dello Stato ora in discussione in Parlamento".

Gli anni zero
Nell'estate del 2001, sorprendendo tutti, in vista del congresso dei Ds, "per completare la transizione del partito verso una forza autenticamente riformista e del socialismo europeo", esce dalla minuscola ala liberal-ulivista (Morando) e, per puntare alla segreteria milanese, si schiera opportunisticamente con la mozione Fassino. In questa ottica si oppone a Milano a qualsiasi intesa con il "correntone" (la "sinistra" interna ai Ds): Fassino e Bersani lo appoggiano a spada tratta, individuano in lui il cavallo vincente che "con il suo profilo riformista e la sua esperienza amministrativa" (Fassino) può "far tornare la sinistra a vincere a Milano". A metà dicembre Penati diventa così il nuovo segretario della federazione milanese dei Ds. Il suo programma? "Riunificare la grande tradizione riformista milanese. Ma occorre guardare anche agli elettori laicosocialisti di Forza Italia". Il primo atto del nuovo corso Fassino-Penati è una convention sul "futuro del Nord". La "questione settentrionale" scalza la "questione meridionale".
A febbraio 2002 la commemorazione di Elio Quercioli, vicesindaco Pci delle giunte Tognoli (Psi), diviene per Penati motore del riavvicinamento alla tradizione craxiana del Psi milanese. Segue puntuale pochi giorni dopo, in occasione dei 10 anni dallo scoppio di tangentopoli, la critica di Penati alla "sinistra troppo giustizialista di quei giorni". "Il rischio - dichiara - è che si consideri la data del 17 febbraio come un nuovo 25 Aprile. E il pool di Milano come un nuovo Cln". Per Penati una presa di distanza da Mani pulite non è sufficiente. È necessario sferrare un colpo alla magistratura ripercorrendo la strada della Bicamerale golpista dell'asse D'Alema-Berlusconi: "La politica deve trovare il coraggio di superare le spinte corporative presenti nella magistratura".
Penati arriva a lanciare un "Manifesto dei riformisti" dove parla di capitalismo molecolare, imprenditorialità diffusa e nuove figure professionali. Rifiuta il referendum sull'estensione dell'articolo 18. L'interlocutrice privilegiata diventa la "società civile", o meglio i vertici dell'Assolombarda, la Compagnia delle opere, la Sea, la Fiera e il Politecnico. Le richieste dei girotondi che invitano Penati a "non scimmiottare la destra" restano inascoltate.
A lui poco importa la voce della piazza, da dalemiano doc ormai è tutto preso a tessere la sua tela con i centri di potere nevralgici della borghesia milanese, con lo scopo di conquistare Palazzo Isimbardi, la poltrona di presidente della Provincia di Milano.
In campagna elettorale passa "dal noi comunista all'io" (liberale) e apre canali di dialogo con l'imprenditoria e gli artigiani. Per liberarsi dell'immagine del "grigio funzionario di partito", poi arriva la svolta modaiola: abiti Armani e salotti. Ormai borghese dalla cima dei capelli alle suole delle scarpe, dopo tanto tessere, il 27 giugno 2004 diventa presidente della Provincia di Milano anche con i voti della cosiddetta "sinistra radicale" che gli ha sempre retto il sacco.

Presidente della provincia al servizio dei padroni
Il primo atto di Penati in qualità di neopresidente della Provincia di Milano è, da novello baciapile, la richiesta di una visita in arcivescovado per incontrare il cardinale Dionigi Tettamanzi. Le prime delibere approvate sono quelle ereditate dalla giunta uscente della Colli (Forza Italia) che implicavano la militarizzazione della polizia locale in chiave anti-extracomunitari. La nuova alleata diventa la Compagnia delle Opere (CdO), braccio economico di Comunione e Liberazione. "Quello che si muove nella CdO - sostiene Penati - impone al centrosinistra una capacità nuova di stabilire alleanze sociali prima che politiche. C'è un rapporto da costruire anche con loro", proprio nel momento in cui i ciellini cavalcano la legge Biagi e la "riforma" Moratti sulla scuola.
Cerca un asse anche con la Lega Nord indicando un leghista alla guida dell'Unione delle Province Lombarde (Upl): "Calderoli sulla 'Padania' dice che il federalismo fiscale va affrontato in tempi brevissimi. Sono d'accordo. Per fare a meno di andare a bussare alla porta del Governo per i finanziamenti, come è successo per le metropolitane, dobbiamo evitare che ogni euro versato dai milanesi passi da Roma per tornare a Milano. Questo dovrebbe essere il primo impegno dell'Upl".
A questo punto manca solo un avvicinamento a Formigoni. E infatti di lì a poco arriva anche l'abbocco con il governatore lombardo catto-neofascista. "Oggi, con le elezioni alle spalle - sollecita Penati - ci sono le condizioni per iniziare un percorso comune". Ci sono da costruire le autostrade del Nord, come quotidianamente richiesto dai padroni di Assolombarda. Penati, che a un anno dalla vittoria alle elezioni comincia a non presentarsi più di tanto alle sedute di giunta, ai suoi alleati fa sapere tramite i giornali di essersi candidato alla presidenza della Pedemontana, la società dell'autostrada Bergamo-Varese. Le autostrade diventano il suo pallino: con lui la provincia acquisisce la maggioranza assoluta delle azioni Serravalle, pagandole tre volte il loro valore e arricchendo il socio privato Marcellino Gavio. L'operazione è ancora più vergognosa perché in quei giorni Penati sosteneva di non avere i soldi neppure per sistemare le scuole della Provincia. Il risultato è che Serravalle si stabilizza come azienda e può finalmente, dice Penati alla stampa, "esercitare un ruolo strategico nell'ammodernamento delle infrastrutture di tutta le regione" e, in chiave secessionista, "costruire un polo lombardo della gestione delle autostrade".
Quando nasce quel mostriciattolo liberale del PD, Penati non solo sollecita la creazione di un partito federale e federato ("il PD del Nord"), ma addirittura dichiara che "per non nascere già morto il Partito democratico deve avere il coraggio di abbandonare la sinistra antagonista e allearsi anche con Forza Italia". Di lì a poco Formigoni nomina il presidente della Provincia Filippo Penati commissario ad acta sui rifiuti spianando la strada alla costruzione del secondo inceneritore di Milano, a sud del capoluogo lombardo.

Penati e le masse popolari
Tutt'altra musica quando si parla di masse popolari. Dall'invito alla chiusura della scuola araba di via Quaranta a Milano ("Bisogna essere sicuri che la scuola araba promuove democrazia, partecipazione civile"), alla caccia ai rom ("i rom portano un'impennata di reati. Non sono mica i Gipsy Kings", "chiudere i flussi", "tolleranza zero") che gli vale la tessera di sostenitore del Carroccio numero 41508 consegnata dagli stessi fascio-leghisti, fino a paragonare la criminalità straniera alla mafia del Sud. Arriva a mettere a disposizione soldi pubblici sia per finanziare pullman che riportino i rom alle frontiere sia per attivare le ronde del gerarca degli Interni Roberto Maroni. Come se non bastasse chiede poliziotti dappertutto, sui tram e le metro.
Penati ha fatto suo l'orrendo razzismo e la xenofobia della terza repubblica neofascista, capitalista, presidenzialista, federalista e interventista. Ha fatto suo anche il malaffare borghese: vedi tutta la serie di micro-scandali, che vanno dai 500.000 euro per l'ufficio stampa e la "promozione della comunicazione istituzionale" e altri 237.000 euro per "spese diverse e funzionali per gli uffici della direzione centrale presidenza, ufficio del segretario e ufficio stampa" e un altro milione e mezzo per dirigenti esterni. Costi identici all'amministrazione di Ombretta Colli.
La criminalizzazione dei rom, poi, è la criminalizzazione dei poveri: "coloro che non sono in grado di sostentarsi" sono ritenuti sospetti e potenziali criminali. Il proletariato non lo interessa affatto. Infatti quando scoppia la crisi si preoccupa per i manager: "i primi a essere colpiti sono proprio i dirigenti perché hanno meno tutele ed è più facile licenziarli". "Milano e la Lombardia possono ripartire solo da quelle spinte che arrivano dal ceto medio, dal popolo delle partite Iva e dai dirigenti d'azienda": sono queste le forze che Penati vuole aggregare anche in vista delle elezioni regionali. La falce e martello, di conseguenza, "è un simbolo che appartiene a una storia passata, che fa parte anche della mia storia politica, ma che oggi non ha più alcuna ragione di esistere. Sul comunismo la penso come Giuliano Ferrara. Sono fiero di esserlo stato e sono fiero di non esserlo più".
Per i lavoratori milanesi e lombardi rilancia puntualmente le "gabbie salariali" richieste dai padroni e respinte dalla Cgil, proprio come un Bossi qualsiasi.
Il proletariato, però, ha imparato a conoscerlo e giustamente gli ha impedito di riconfermarsi presidente alle ultime elezioni provinciali. Ci auguriamo che non gli consentirà di diventare governatore della regione Lombardia. L'astensionismo del popolo lombardo deve punirlo di nuovo. Fino all'anno scorso Penati si vantava di non avere mai perso un'elezione e di "essere portatore sano di fattore C". Il credito concesso dalle masse sembra però esaurito. Penati ormai si è meritato il bollino di fascio-leghista. Oggi, braccio destro di Bersani, è un esponente di punta del PD nazionale, gamba "sinistra" del regime neofascista, e per continuare a galleggiare nelle istituzioni borghesi non potrà fare altro che continuare a servire in modo sempre più smascherato l'agguerrita borghesia del Nord. Egli non merita alcun credito.

3 marzo 2010