Mazzata del governo sulle donne del pubblico impiego: in pensione a 65 anni dal 2012
La riduzione delle "finestre" ritarderà la pensione di 12 mesi. Il blocco delle retribuzioni ridurrà L'assegno pensionistico. Peggiorate le (vere) pensioni d'invalidità. Molti lavoratori in "mobilità" rischiano il passaggio alla pensione
Nella stangata governativa è nascosta una nuova controriforma pensionistica

Alla vigilia del varo della stangata economica di 24 miliardi di euro, il maestro della menzogna e dell'inganno, il neoduce Berlusconi, aveva detto: "Le pensioni sono tutelate e garantite. Non abbiamo fatto nessun intervento sull'entità delle pensioni. Chiediamo solo a chi si accinge ad andare in pensione di rimanere qualche mese in più". Prima di lui i ministri dell'Economia e del Welfare, Tremonti e Sacconi, si erano spesi con dichiarazioni tranquillizzanti: non toccheremo le pensioni. E invece, zitti zitti, alla chetichella, le pensioni le hanno toccate eccome, anzi le hanno colpite pesantemente. Mettendo insieme i provvedimenti previsti nella stangata governativa, provvedimenti che, attenzione!, non sono provvisori ma permanenti e strutturali, ne viene fuori una nuova ed ennesima controriforma pensionistica che, a regime, ruba alle lavoratrici e ai lavoratori in vista della pensione, 5-6 miliardi di euro. Il tutto senza consultazione e trattativa con i sindacati. Un fatto senza precedenti!

In pensione a 65 anni in un colpo solo
Tra le misure assunte dal governo in materia previdenziale la più grave ed odiosa è senz'altro quella che riguarda l'innalzamento accelerato dell'età pensionabile da 61 a 65 anni alle donne del pubblico impiego; misura inserita dal consiglio dei ministri il 9 giugno con un emendamento alla manovra già varata a fine maggio e ora in discussione in parlamento. In parole povere, dal 2012 le lavoratrici della pubblica amministrazione dovranno rimandare la pensione di ben 5 anni. Un innalzamento dell'età pensionabile così elevato e senza alcuna gradualità in Italia non si era mai visto. Secondo i dati resi noti dal governo (che vanno perciò verificati) le donne coinvolte dall'aumento dell'età pensionabile sarebbero 25 mila. Mentre il "risparmio" ammonterebbe a 1.450 milioni di euro: 50 milioni nel 2012; 150 nel 2013; 250 nel 2014; 350 nel 2015: 300 nel 2016; 200 mln nel 2017; 100 nel 2018 e 50 nel 2019.
Va ricordato che l'innalzamento dell'età pensionabile da 60 a 65 anni alle donne del pubblico impiego il governo lo aveva già deciso nel 2009 però con una gradualità fino al 2018. Ebbene questa gradualità è stata cancellata con un tratto di penna. Oggi come allora si giustifica dietro le disposizioni dell'Unione europea, sanzioni minacciate dai tecnocrati borghesi di Bruxelles. Ma si tratta di giustificazioni strumentali, false nella sostanza, perché la norma europea di parificare i trattamenti pensionistici tra uomo e donna poteva essere risolta, e ancora può essere risolta, in modo differente, in modo flessibile. Ad esempio parificando l'età pensionabile per ambo i sessi a 60 anni e inserendo un elemento di volontarietà e d'incentivazione nel proseguire la vita lavorativa fino a 65 anni, come sostiene la Cgil. Una cosa fattibile questa visto che altri paesi, vedi la Francia l'hanno adottata.
In ogni caso appare odioso e intollerabile che l'unica parità che si vuole perseguire, in campo lavorativo, tra uomo e donna, sia di tipo peggiorativo per quest'ultima. Quando è noto che le donne hanno più difficoltà a entrare nel "mercato del lavoro", i loro salari sono inferiori del 20-30% e quindi anche le loro pensioni di conseguenza sono più basse, sono più numerose nei lavori precari, spesso sono costrette a lasciare il lavoro dopo la nascita di un figlio o per accudire i familiari. C'è poi da rilevare il differente trattamento pensionistico per le lavoratrici del pubblico impiego che andranno in pensione a 65 anni e le lavoratrici dei settori privati che potranno lasciare il lavoro a 60 anni. Un differente trattamento considerato, per esempio dal segretario della Cgil Epifani, incostituzionale. A meno che, a breve, il governo miri ad alzare l'età pensionabile anche a tutte le lavoratrici di tutti i settori.

La riduzione delle "finestre"
L'altra misura pesante in materia di previdenza contenuta nella manovra governativa consiste nella riduzione drastica delle "finestre", da 4 a 1 sola, per andare in pensione, una volta maturati i requisiti, sia di quella di anzianità che per quella di vecchiaia. Tale restrizione ritarda di ben 12 mesi il pensionamento per i lavoratori dipendenti e di 18 mesi per i lavoratori autonomi. Attualmente l'attesa era 6 mesi per i primi e 9 mesi per i secondi. Si tratta di una misura non temporanea da far decadere magari una volta passata la crisi, ma permanente dalla quale passa, in modo surrettizio, un ulteriore aumento dell'età pensionabile: per le donne del pubblico impiego che potranno andare in pensione non a 65 ma a 66 anni; per le donne dei settori privati che potranno lasciare il lavoro non a 60 ma a 61 anni, non dopo 40 ma dopo 41 anni di lavoro; per i lavoratori uomini pubblici e privati che vedranno allungare la loro vita lavorativa fino a 66 anni. Il taglio alla spesa pensionistica che ne deriva è quasi di 3 miliardi di euro.

Gli effetti sulle pensioni del congelamento degli stipendi
Da denunciare inoltre un effetto negativo indiretto sulle pensioni dei pubblici dipendenti. Concerne il congelamento degli stipendi, compreso il salario accessorio, che avrà effetti deleteri sul versante previdenziale. L'impossibilità per i pensionandi di raggiungere la fascia retributiva superiore o di avere l'incremento determinato dal rinnovo del contratto integrativo, produrrà un danno che può arrivare, per le retribuzioni più alte ad una riduzione di oltre il 20% della pensione. Per il comparto scuola, per esempio, si va da una media di 50 euro al mese per le fasce più basse ad oltre 100 euro al mese in meno per quelle più alte.

Cosa rischiano i lavoratori in mobilità
Molti lavoratori in mobilità (a dicembre 2009 se ne contavano 129.337) a seguito del rinvio di 12 mesi per andare in pensione, una volta terminato il periodo di cassa integrazione straordinaria, rischiano di rimanere senza sostegno salariale e senza poter passare direttamente alla pensione, come avevano ipotizzato in sede di accordo sindacale di ristrutturazione dell'azienda dove erano occupati. È vero che il governo ha previsto che da questo provvedimento siano esclusi i lavoratori in mobilità o mobilità lunga ai sensi di accordi stipulati entro il 30 aprile 2010, ma fino a un massimo di 10 mila unità che rappresenta solo il 7% degli interessati. E gli altri? "Questo decreto - si legge in una nota della Fiom - colpisce e annulla l'esito di centinaia di accordi sindacali con cui abbiamo cercato di gestire le crisi aziendali e produttive senza soluzioni traumatiche, evitando il licenziamento. Oggi il governo decide di scaricare sui più deboli un prezzo intollerabile".

Colpiti i disabili
La manovra del governo inoltre colpisce in modo infame le pensioni dei disabili. Il furbetto parla di tagliare le pensioni dei "falsi invalidi". In realtà interviene sulla normativa per averne diritto, peggiorandola. La misura approvata infatti prevede che dal 1 giugno 2010 il grado di invalidità per avere diritto all'assegno mensile di assistenza, passi dal 74 all'85%. Ad oggi tale assegno è riconosciuto agli invalidi civili parziali (dal 74 al 99%) di età compresa fra i 18 ed i 65 anni, i quali risultino inoccupati, il suo importo non va oltre i 256,67 euro mensili.
Tagliare, decurtare, peggiorare i trattamenti pensionistici, è questo che il governo del neoduce ha fatto e continua a fare, checché se ne dica. Non si dimentichi, a questo proposito, che il governo era già intervenuto sul tema nel gennaio di quest'anno, modificando i coefficienti per calcolare l'assegno pensionistico maturato, col risultato di peggiorare le pensioni future, cioè quelle dei giovani di oggi. Già, le pensioni delle nuove generazioni che nella migliore delle ipotesi saranno da fame. Proprio su queste sarebbe stato necessario intervenire subito con misure robuste per renderle almeno dignitose. Niente, non c'è niente.
Risponderemo con lo sciopero generale del 25 giugno, ha detto il segretario della Cgil Epifani. Va bene, purché subito dopo ce ne sia uno di 8 ore per tutte le categorie. Va bene, purché quello sciopero sia solo un punto di partenza di una lotta ampia e forte che deve proseguire fino a disarcionare questo governo iperliberista, filopadronale, liberticida, neofascista!

16 giugno 2010