Da 3 a 10 mila euro al mese le pensioni dei parlamentari
187 milioni all'anno rubati al popolo per pagare gli scandalosi privilegi pensionistici
Gianni (PRC): 56 anni, 200 mila euro di stipendio e 6.600 euro di pensione. Veltroni (DS): 51 anni, 9mila euro di pensione in aggiunta allo stipendio di sindaco di Roma. Negri (ex leader di "potere operaio"), 3.108 euro
Mentre il governo di "centro-sinistra" del democristiano Prodi si appresta a dare il colpo di grazia alle pensioni dei lavoratori e alla previdenza pubblica, gli ex parlamentari continuano a riscuotere pensioni da nababbo che vanno da un minimo di 3 mila fino a 10 mila euro lordi al mese e a godere di tutta una serie di privilegi che riguardano la possibilità di riscuotere il vitalizio (così si chiama la pensione dei parlamentari) dopo appena 5 anni di mandato, a 50 anni di età, godendo peraltro della cumulabilità con qualsiasi altro reddito o pensione.
Secondo una recente inchiesta pubblicata da "L'Espresso" sono ben 3.302 gli ex parlamentari a cui lo Stato, coi soldi rapinati al popolo, garantisce pensioni e privilegi che gridano vendetta al cospetto di quei milioni di operai, lavoratori, cassintegrati, precari, pensionati e famiglie povere costrette a sudare sette camicie per riuscire a sbarcare il lunario.
Ogni anno la Camera spende oltre 127 milioni di euro per pagare gli assegni dei 2.005 ex deputati. Mentre al Senato i 1.297 pensionati d'oro ci costano quasi 60 milioni di euro all'anno.
Tra i casi più scandalosi va citato quello del neopodestà di Roma, il DS Walter Veltroni: ex vicepresidente del Consiglio, 51 anni, consigliere comunale dal 1976, deputato dall'87, che con soli 23 anni di contributi versati riscuote dal 2005 un vitalizio mensile di 9 mila euro lordi (che si aggiungono allo stipendio del Campidoglio, di circa 5.500 euro netti) ed è tra i più giovani pensionati del parlamento.
Altro caso eclatante è quello di Toni Negri, ex leader di Potere operaio: nel 1983 Pannella per farlo uscire di galera lo fece eleggere in parlamento nelle liste radicali; dopo poche settimane, temendo di finire di nuovo in cella, si diede alla latitanza in Francia senza mai più farsi vedere a Montecitorio. Ciononostante, oggi riscuote 3 mila 108 euro di pensione parlamentare senza avere mai preso parte ai "lavori" parlamentari.

Il cumulo privilegiato
Ma non è tutto. Il vitalizio di deputati e senatori è anche cumulabile con tutti i redditi: scandaloso è ad esempio il caso di quel drappello di parlamentari eletti nello scorso aprile che, nominati viceministri o sottosegretari nel secondo governo Prodi, sono stati poi costretti a dimettersi nell'ambito della spartizione delle poltrone in seno alla maggioranza. Se fossero restati deputati o senatori non avrebbero potuto riscuotere il vitalizio; come ex, invece, nonostante incassino (198 e 192 mila euro l'anno rispettivamente) possono tranquillamente intascare anche la pensione. In tutto sono 2 viceministri e 18 sottosegretari.
Fra essi spicca Alfonso Gianni, sottosegretario (Prc) allo Sviluppo economico, che a 56 anni riscuote quasi 200 mila euro di stipendio all'anno e una pensione di 6 mila 600 euro lordi al mese.
E poi ancora: Roberto Pinza e Enrico Micheli, Giampaolo D'Andrea e Famiano Crucianelli, Nando Dalla Chiesa, Elena Montecchi e Luigi Manconi. Con una anomalia ulteriore: i casi di coloro che a queste due voci sommano anche la pensione maturata come giornalisti (Ugo Intini) o magistrati (Alberto Maritati).
Il vitalizio è cumulabile anche allo stipendio da lavoro dipendente di chi è tornato al suo lavoro o è stato nominato a un'altra carica come amministratore locale.
Il caso più scandaloso è senza dubbio quello di Giuseppe Gambale, il baby-parlamentare-pensionato più giovane d'Italia. Con quattro legislature alle spalle e 20 anni di contributi versati, Gambale ha lasciato Montecitorio ad aprile 2006 e a soli 42 anni riscuote un vitalizio di 8.455 euro lordi al mese. Non basta: esponente della Margherita a Napoli, è stato arruolato dal sindaco Rosa Russo Iervolino come assessore alla Scuola e legalità. Incarico retribuito con 4 mila euro mensili che lui somma alla pensione parlamentare alla faccia di tutti i napoletani che spesso non riescono a mettere insieme il pranzo con la cena.
Il solo privilegio del cumulo pensionistico nel corso degli ultimi 36 anni è costato al popolo italiano oltre 5 miliardi di euro (circa 10 mila miliardi di lire). Infatti, in base a un'interpretazione a dir poco losca dell'articolo 31 dello Statuto dei lavoratori (legge n.300 del 20 maggio 1970) il secondo trattamento pensionistico, cumulabile al 100% con la pensione di Montecitorio o Palazzo Madama, scatta per tutti quei parlamentari che, prima di essere eletti, avevano già aperta a loro nome una posizione previdenziale.
Così, magistrati, baroni universitari e della sanità, militari, ambasciatori, banchieri, giornalisti ecc..., una volta conquistato il seggio in parlamento possono non solo conservare il posto di lavoro mettendosi in aspettativa, ma hanno "diritto" anche all'accredito dei contributi figurativi per la loro futura seconda pensione. Contributi che addirittura fino al 1998 erano totalmente a carico dei rispettivi enti previdenziali: Inpdap, Inps o Inpgi a seconda dei casi. Un privilegio che non è stato certo cancellato nemmeno dall'entrata in vigore della legge n.488 del 1999 perché, in virtù di questa legge oggi, a un parlamentare che vuole mantenere i suoi contributi gli basta pagare appena il 9% della quota contributiva come lavoratore subordinato; mentre il resto della quota, pari al 22 o al 31% a seconda dei casi, continua a essere versata dai rispettivi enti previdenziali.
Tra i beneficiari di questo iniquo trattamento spiccano ad esempio il caporione fascista Gianfranco Fini e i suoi camerati, Storace, Gasparri e Urso, gli ex democristiani Follini e Mastella, il portavoce del neoduce Bonaiuti e il forzista Taiani ma anche il rinnegato Massimo D'Alema e Veltroni; tutti giornalisti professionisti in aspettativa che a fine carriera potranno godersi una vecchiaia dorata grazie anche alla doppia pensione.

Il calcolo privilegiato
Sull'onda di Tangentopoli, nel luglio del 1997 il primo governo Prodi approvò un nuovo regolamento di calcolo della pensione di deputati e senatori spacciandola per una riforma moralizzatrice. Esso alle prime righe sancisce pomposamente che "gli onorevoli il cui mandato parlamentare sia iniziato successivamente alla XIII legislatura del 1996 conseguono il diritto alla pensione al raggiungimento dei 65 anni e devono risultare versati almeno cinque anni di contributi pari cioè a un'intera legislatura". Ma basta leggere i paragrafi successivi per scoprire che si tratta di un inganno, perché, è scritto ancora nel regolamento, l'età minima per il vitalizio scende di un anno per ogni ulteriore anno di mandato oltre i cinque. Sino a raggiungere il traguardo dei 60 anni. Ma non è finita. Una gran parte dei deputati risulta eletta prima del 1996. Per loro resta valida la normativa in vigore prima della riforma. E cosa stabilisce questa normativa? Che si ha diritto al vitalizio all'età di 60 anni, riducibili a 50 utilizzando tutti gli anni di mandato accumulati oltre i cinque minimi richiesti. Risultato: con oltre tre legislature, per esempio 20 anni di contributi, si può andare in pensione addirittura sotto i 50 anni.
Di eguale ingannevole fattura si rivela il regolamento che fissa i vitalizi dei senatori. Anche per loro la norma stabilisce in prima istanza che hanno diritto alla pensione solo a 65 anni e a condizione di aver svolto un mandato di cinque anni. Ma ciò non vale per tutti ma solo per gli eletti a partire dalla XIV legislatura del 2001. Per chi invece si è seduto sullo scranno di Palazzo Madama prima del 2001 continua a beneficiare dei vecchi privilegi e riscuote il vitalizio a 60 anni con una legislatura, a 55 con due e addirittura a 50 anni dopo tre mandati. Ma Prodi ha nascosto tra le righe anche un contentino per gli eletti del 2001 che, in caso di un secondo mandato elettivo non necessariamente continuativo, potranno anch'essi riscuotere la pensione a 60 anni.

Altri privilegi
A differenza di un operaio che oggi può andare in pensione solo se ha maturato 35 anni di contributi e 57 anni di età, che diventeranno 60 a partire dal 2008 se lo scalone di Maroni non sarà modificato dal governo in carica, deputati e senatori sempre grazie al regolamento Prodi acquisiscono il diritto al vitalizio anche in caso di interruzione anticipata della legislatura versando le quote contributive mancanti (attualmente 1.006 euro mensili) per la parte mancante fino al raggiungimento dei fatidici cinque anni di mandato. In altre parole sono sufficienti 2 anni e sei mesi di effettivo incarico per maturare il diritto alla pensione. Basta pagare contributi volontari per i due anni e mezzo mancanti. E senza nemmeno affannarsi con i versamenti, perché agli "onorevoli" parlamentari è infatti permesso di saldare il conto anche a fine mandato e in 60 comode rate magari coi soldi dell'assegno di reinserimento (la buonuscita) che vale l'80% dell'indennità mensile lorda moltiplicato per gli anni di mandato e tutto esentasse.
A partire dal 1996, controriforma Dini, ai lavoratori è stato tolto il metodo di calcolo retributivo della pensione imponendogli il più svantaggioso calcolo contributivo. Ma ciò non vale per deputati e senatori, il cui vitalizio viene calcolato sulla base dell'ultima indennità lorda riscossa che attualmente ammonta a 12 mila 434 euro e degli anni di contribuzione. A ciascun anno è legata una percentuale: per cinque anni di mandato si ha diritto al 25 per cento dell'indennità (pari a 3 mila 108,5 euro lordi); per 10 al 38 per cento (pari a 4 mila 725 euro); per 20 al 68 per cento (8 mila 455 euro); fino ad arrivare all'80 per cento dell'indennità per i 30 anni e oltre (9 mila 947 euro). Inoltre, grazie alla cosiddetta "clausola d'oro" il vitalizio si rivaluta automaticamente essendo legato all'importo dell'indennità del parlamentare ancora in servizio.
Prendiamo ad esempio il caso di un deputato cessato dal mandato nell'aprile 2006 ed eletto per la prima volta nel '94. Il suo mandato effettivo è di 12 anni perché la XII legislatura è durata solo 2 anni dal '94 al '96. In totale, fra contributi volontari per riscattare i 3 anni mancanti (circa 36 mila euro) e quelli regolarmente pagati durante il mandato (circa 128 mila euro), il "nostro" deputato avrà versato circa 164 mila euro per 15 anni di contribuzione. In cambio riceve una pensione di 6 mila 590 euro lordi.

21 febbraio 2007