Sotto il ricatto di "portare la baracca altrove"
Saranno i lavoratori a pagare il nuovo piano industriale di Elkann e Marchionne
Lo stabilimento di Termini Imerese sarà chiuso. Più flessibilità e più produttività. Lavoro anche di sabato e domenica. Revisione completa degli attuali accordi sindacali
Il piano va respinto e modificato profondamente per tutelare gli interessi dei lavoratori

È un prezzo pesantissimo e inaccettabile, il prezzo richiesto da Sergio Marchionne, amministratore delegato della Fiat, a sindacati e lavoratori. Inaccettabile per le dimensioni dei sacrifici richiesti: chiusura dello stabilimento di Termini Imerese con conseguente perdita di 2 mila posti di lavoro tra diretti e indiretti, totale flessibilità nell'uso della forza lavoro in termini di orari, di turnazioni (sabati e domeniche compresi) e mobilità dentro e tra gli stabilimenti, ridiscussione di tutti gli accordi sindacali per ottenere consistenti riduzioni del "costo del lavoro", attraverso per esempio il taglio delle pause, lunghi periodi di cassa integrazione per tutto il periodo occorrente al rilancio industriale dell'auto. Inaccettabile per come questi sacrifici, queste rinunce, questo arretramento nei diritti sindacali sono stati chiesti, ossia senza discussione, senza trattativa vera, in tempi rapidissimi altrimenti, ha minacciato Marchionne, mettiamo in atto il piano B, "portiamo la baracca altrove", che può essere in Serbia o Russia, in Brasile o in Argentina, in Messico o in India dove le paghe sono da fame, i diritti sindacali quasi inesistenti, i governi più che compiacenti.
Ma andiamo per ordine. In pochi giorni si sono susseguiti diversi avvenimenti che hanno portato e porteranno notevoli cambiamenti nel colosso torinese del Lingotto. Il 20 aprile improvvisamente (si fa per dire) Luca Cordero di Montezemolo si è dimesso da presidente della Fiat, carica che ricopriva dal 2004, forse per avere le mani libere in politica. Ha lasciato il posto a John Elkann, nipote di Gianni Agnelli, attuale vice-presidente del gruppo e, da almeno 10 anni, ben inserito nei vertici Fiat e della finanziaria della famiglia. Il giorno dopo, il 21 aprile, Marchionne con accanto Elkann, presidente di fresca nomina, davanti a una affollata platea di analisti finanziari, esponenti del mondo imprenditoriale e delle banche, operatori dei media ha illustrato il nuovo piano quinquennale strategico 2010-2014 chiamato furbescamente "Fabbrica Italia". Un piano che ha teso a stupire e in una certa misura ha stupito, un piano apparentemente molto ambizioso la cui realizzazione non è affatto scontata e il cui esito dipende da molti fattori, alcuni dei quali del tutto imprevedibili, un piano, lo abbiamo detto, che poggia in buona parte sulla fatica, il sudore, il supersfruttamento delle lavoratrici e dei lavoratori, ma anche su (ennesimi) sostegni statali. Nei giorni successivi il duo Marchionne-Elkann ha illustrato il piano ai sindacati e al ministro per le attività produttive, Claudio Scajola.

Lo scorporo del settore auto
Il nuovo piano industriale prevede anzitutto la divisione del gruppo in due società da attuarsi nei prossimi sei mesi. In una, che assumerà il nome di Fiat Auto, confluirà il comparto auto: Fiat Group-Chrysler (che comprende anche i marchi Lancia e Alfa Romeo), Maserati, Ferrari, più la componentistica, Magneti Marelli, Teksid e una parte della Powertrain che produce motori, più il quotidiano "La Stampa"; nell'altra che si chiamerà Fiat Industrial ci saranno le produzioni di veicoli pesanti (camion, trattori, movimento terra) Cnh, Iveco, l'altra parte di Powertrain. Della prima società sarà presidente Elkann, della seconda Marchionne che però conserva anche la carica di amministratore delegato del comparto auto. Ambedue saranno messe in Borsa.
Ma sono le cifre sparate nel piano quinquennale che impressionano. 34 nuovi modelli e 17 restyling, di cui rispettivamente 10 e 6 in Italia; 30 miliardi di euro di investimenti, di cui 20 nel nostro Paese; 3,8 milioni di vetture Fiat complessive, 1,4 milioni in Italia (un milione per l'esportazione) contro le attuali 650 mila, ma prima della crisi erano 900 mila. A ciò si aggiungono altre 2,2 milioni di vetture Chrysler per un totale di sei milioni di auto prodotte e vendute. Il tutto dovrebbe produrre, nel 2014, un fatturato astronomico e un profitto di 104 miliardi di euro. Per quanto riguarda gli stabilimenti italiani la produzione auto dovrebbe crescere: Mirafiori (Torino) da 120 a 250 mila; Cassino (Frosinone) da 180 a 300 mila; Melfi (Potenza) da 100 a 400 mila; Sevel Val di Sangro (Chieti) da 120 a 250 mila; Pomigliano d'Arco (Napoli) da 270 a 450 mila. Ipotesi queste tutte da verificare nella pratica. Già nel 2009 era stata programmata dal vertice Fiat la vendita di 600 mila vetture dei marchi Lancia e Alfa Romeo, non andando oltre le 200 mila unità.

I sacrifici e le rinunce chieste ai lavoratori
Da notare che il duo Marchionne-Elkann questo raddoppio della produzione lo vogliono realizzare non con più ma con meno personale. Dall'insieme degli attuali addetti vanno infatti sottratti i 1.100 operai e impiegati di Termini Imerese che a breve, saranno licenziati, e circa 1.000 prepensionamenti previsti negli stabilimenti di Cassino e Pomigliano. Lo vogliono realizzare quindi attraverso un maggior utilizzo degli impianti e soprattutto un aumento intenso dello sfruttamento dei lavoratori. In questo ambito c'è la richiesta, anzi la pretesa, di portare a 18 le turnazioni settimanali, con l'utilizzo sistematico delle notti e dei sabati, di ridurre il tempo delle due attuali pause da 20 a 15 minuti, di disporre della libertà di spostare i lavoratori da un reparto all'altro, da uno stabilimento all'altro. Su questo i vertici Fiat non sentono discussioni: si deve fare così altrimenti sono guai. Questo l'ultimatum di Marchionne: "Il mondo è cambiato - ha detto - ci sono mille occasioni per investire e produrre. Le fabbriche in Italia devono accettare il cambiamento; è un'occasione unica, dipende dai sindacati, dai lavoratori, prendere o lasciare. Se il nostro progetto - ha aggiunto - non sarà accolto abbiamo già pronto il piano B e vi assicuro che non è un piano bello". Ancora: "Chiediamo ai sindacati italiani di rendersi conto della grande opportunità che offriamo e del fatto che è necessario avere una forza lavoro più flessibile per arrivare alla saturazione degli impianti". O così o "prendiamo la baracca produttiva e la impiantiamo altrove".
Un ricatto esplicitato in modo concreto e diretto nei confronti dello stabilimento di Pomigliano d'Arco dove c'è in ballo la promessa di 700 milioni di euro di investimento. "Se non troviamo l'accordo - ha minacciato il dirigente Fiat - sono disposto a non investire". "A Pomigliano bisogna chiudere un accordo, e se non si chiude l'investimento non parte".

Le reazioni di governo e sindacati
Parole pesanti, ricatti odiosi per mettere sull'attenti tutti. Scontato l'appoggio del governo al quale il vertice Fiat ha chiesto, sia pure indirettamente, di riconfermare gli incentivi per l'acquisto di auto. Il ministro Scajola si è sperticato in lodi sul piano Marchionne perché "conferma l'interesse della Fiat in Italia", perché prevede "investimenti negli stabilimenti italiani", perché essa "si conferma una grande azienda italiana ... uno dei più grandi gruppi del mondo". Tra i sindacati i primi scattare sull'attenti, non c'erano dubbi, sono stati Cisl e Uil. Bonanni segretario della Cisl si è detto pronto all'accordo per dare all'azienda la flessibilità che chiede. "Non c'è contrasto - ha detto - sull'obiettivo del rilancio della produzione: in un momento di crisi è chiaro che si collabora". Dello stesso tenore l'approccio della Uil.
In punta di piedi la dichiarazione di Epifani, segretario della Cgil. "Siamo pronti a trattare con Marchionne - ha affermato - ma non sotto minaccia perché la Cgil non ha mai detto di no all'aumento dei turni di lavoro se serve a difendere l'occupazione". Il piano Fiat piace, dato che "siamo di fronte a una svolta potenziale" perciò "il sindacato deve saper raccogliere questa sfida". Meno incantata e più critica l'analisi di Gianni Rinaldini. Pur riconoscendo elementi di novità nel piano industriale presentato, il segretario della Fiom ha dichiarato "incomprensibile e inaccettabile la scelta di chiudere lo stabilimento di Termini Imerese". Comunque "nulla è stato specificato sull'insieme della filiera produttiva dell'auto e sulle conseguenti ricadute occupazionali che dovranno essere oggetto di uno specifico incontro". La Fiom è disponibile alla trattativa, ha aggiunto Rinaldini, ma "il consenso delle lavoratrici e dei lavoratori interessati agli accordi è vincolante rispetto ai nostri comportamenti".
Giusto, la parola deve passare ai lavoratori interessati a partire da quelli di Termini Imerese che certo non possono essere lasciati in mezzo alla strada e non si può accettare la chiusura dello stabilimento. Tutto deve essere discusso con loro e nulla deve essere fatto sulla loro pelle. A noi appare chiaro che, così come è stato presentato, il piano Marchionne va respinto e va modificato profondamente perché in esso si salvaguarda solo gli interessi padronali e non quelli dei lavoratori.
Altro che lasciare o prendere!

28 aprile 2010