Insoddisfacente relazione del presidente della Commissione antimafia
Sulle stragi del '92-93 Pisanu non chiarisce il rapporto mafia-politica
Nemmeno un'allusione a Forza Italia e Berlusconi

Il 30 giugno, contemporaneamente alla sentenza del processo di appello a Dell'Utri, sentenza che confermando la condanna per mafia al sodale di Berlusconi solo fino al 1992 e assolvendolo per il periodo successivo nega implicitamente la connessione tra le stragi del '92-93 e la nascita di Forza Italia, è uscita la relazione del presidente della Commissione parlamentare antimafia, Giuseppe Pisanu, incentrata per l'appunto sui "grandi delitti e le stragi di mafia del 1992-93".
Le conclusioni dei due atti, quello giudiziario della sentenza Dell'Utri e quello politico della relazione Pisanu, sono stati messi in contrapposizione tra di loro dalle dichiarazioni di esponenti politici della "sinistra" borghese e dalla stampa ad essa vicina, quasi che la relazione ribadisse quello che la sentenza aveva invece negato, e cioè che quelle stragi mafiose ebbero effettivamente dei mandanti politici e obbedivano a un disegno più vasto di quello della sola Cosa Nostra. Ma non è così. In realtà costoro derivano questa consolatoria visione da una sola frase della relazione, quella che al termine di una lunga e pedissequa elencazione di fatti, dal fallito attentato dell'Addaura al giudice Falcone del 1989 fino all'arresto dei fratelli Graviano nel 1994, si limita a trarre la seguente conclusione: "È dunque ragionevole ipotizzare che nella stagione dei grandi delitti e delle stragi si sia verificata una convergenza di interessi tra Cosa nostra, altre organizzazioni criminali, logge massoniche segrete, pezzi deviati delle istituzioni, mondo degli affari e della politica".
Tutto qui? Sostanzialmente sì. In tutta la relazione non c'è un solo tentativo di dare un nome e cognome a queste generiche "entità" politiche di cui si ammette la collusione con la mafia né del disegno politico-criminale che le avrebbe mosse, tantomeno si fa alcun cenno a Forza Italia e Berlusconi. Certo, la relazione del senatore del PDL Pisanu non è paragonabile alle dichiarazioni trionfanti di altri esponenti del suo partito che hanno salutato la sentenza Dell'Utri come la pietra tombale sulle inchieste delle procure di Palermo, Caltanissetta e Firenze sulle stragi del '92-93, i loro mandanti politici e le trattative segrete che vi furono tra boss mafiosi e pezzi dello Stato. Non poteva negare l'evidenza di una verità che sta emergendo da tanti fatti e testimonianze convergenti, e che recentemente lo stesso procuratore nazionale antimafia Grasso ha ribadito in una sua clamorosa dichiarazione: le stragi dovevano permettere a una "entità esterna di proporsi come soluzione per poter riprendere in pugno l'intera situazione economica, politica, sociale, che veniva dalle macerie di Tangentopoli".

Ammissioni generiche e analisi di comodo
Ma fatta salva l'ammissione di un generico rapporto tra mafia e politica, il che equivale alla famosa scoperta dell'acqua calda, il resto della relazione Pisanu è solo aria fritta, se non un furbesco tentativo di mettere il coperchio a tutta una serie di interrogativi in maniera solo meno rozza e sbrigativa rispetto a quanto tentano di fare governo e maggioranza. Stando sempre ben attenta a non fare nomi e a negare nei fatti quei collegamenti col mondo della politica borghese appena accennati a parole.
Per esempio, quando parla dell'assassinio di Salvo Lima del 12 marzo 1992, che precedette di poco le stragi di Capaci (Falcone) e di via D'Amelio (Borsellino), la relazione dice che "Lima fu 'punito' come principale rappresentante siciliano del gruppo politico che non aveva saputo assicurare le necessarie tutele al 'maxiprocesso'". Quale gruppo politico? E chi ne tirava le fila? Nessun accenno alla DC e ad Andreotti da parte dell'ex DC Pisanu.
Quando parla dell'attentato a Borsellino, vicenda che ha fatto venire a galla le complicità tra pezzi dello Stato e mafia, dice che "le prime indagini su via D'Amelio avrebbero subìto rilevanti forzature anche ad opera di funzionari della Polizia di Stato legati ai Servizi Segreti". E riconosce anche che "le dichiarazioni di Spatuzza e la parallela ritrattazione di Scarantino (il personaggio che si autoaccusò falsamente della strage per depistare le indagini su pressione degli inquirenti di allora, ndr) hanno sconvolto l'iniziale ricostruzione della scena". Ma allora, se Spatuzza è testimone attendibile per la strage di via D'Amelio, lo è oppure no anche per quanto riguarda le rivelazioni sui rapporti tra Dell'Utri e i fratelli Graviano e le stragi del '93 che dovevano preparare la discesa in campo di Berlusconi? La relazione sorvola accortamente su questo punto cruciale come su tutti gli altri fatti collegati.
Tra l'altro, a proposito dell'assassinio di Borsellino, stranamente e senza alcun motivo apparente Pisanu fa il nome di un agente dei servizi segreti che compare sulla scena del delitto, Lorenzo Narracci, già collaboratore di Contrada e tuttora in servizio all'AISI (Agenzia Informazioni e Sicurezza Interna), "a quanto pare indagato a Caltanissetta", rivelando un atto coperto da segreto istruttorio e bruciando così una pista che i magistrati nisseni stavano seguendo pazientemente.
Ma ci sono tanti altri punti in cui la relazione, invece di chiarire cerca di confondere le acque e invece di sostenere le inchieste della magistratura cerca subdolamente di delegittimarle. Di Spatuzza abbiamo già detto. E le rivelazioni di Massimo Ciancimino sulla trattativa mafia-Stato? "Testimone piuttosto discusso", lo liquida Pisanu, e la trattativa tra il generale Mori e l'ex sindaco di Palermo Vito Ciancimino per lui "forse fu la deviazione di un'audace attività investigativa", come a negare implicitamente che rappresentasse invece un vero e proprio scambio Stato-mafia.
Quanto agli attentati e alle stragi del '93 a Milano, Firenze e Roma, essi avevano come obiettivo l'abrogazione o l'attenuazione del regime carcerario duro del 41bis, niente di più. Ottenuto questo (nel novembre 1993 il ministro di Grazia e Giustizia non proroga il 41bis a 140 detenuti nel carcere dell'Ucciardone, sottolinea la relazione), cessa anche, secondo la ricostruzione di comodo di Pisanu, la strategia stragista. I fratelli Graviano vengono arrestati (gennaio 1994) e ai vertici di Cosa Nostra sale il "moderato" Bernardo Provenzano.

Conclusioni reticenti, lacunose e insoddisfacenti
"Uccisi o minacciati di morte o abbandonati i suoi tradizionali referenti - è la sintesi storico-politica finale di Pisanu di tutto il periodo stragista - Cosa Nostra faticava a orientarsi e a costruire nuove alleanze in un contesto politico che, dopo la caduta del muro di Berlino, si stava ormai disgregando sotto i colpi di tangentopoli e quelli delle stesse stragi. Tanto è vero che cercò una soluzione, costruendosi un proprio partito regionale, 'Sicilia Libera', che avrebbe poi cercato di spendere sulla scena politica nazionale, ancora confusa e incerta".
E allora? Quale fu il nuovo referente politico della mafia, dopo la disgregazione della DC e il fugace tentativo di Sicilia Libera, e alla nascita del quale rispondeva la strategia stragista? Pisanu non solo non lo dice, ma nega sostanzialmente che quella sanguinosa stagione abbia a che vedere o abbia anche soltanto influito sul successivo scenario politico: "Perciò è probabile - prosegue infatti la sua sintesi - che all'indomani dell'arresto dei fratelli Graviano e della sconfitta (?) dell'ala stragista, Cosa Nostra si sia adeguata al nuovo ordine di Bernardo Provenzano e si sia messa alla finestra, in attesa di quel che sarebbe successo dopo le dimissioni del Governo Ciampi (13 gennaio 1994), lo scioglimento delle Camere e le elezioni anticipate".
Nessun accenno, neanche a livello di semplice ipotesi, alla nascita in questo frattempo di Forza Italia e alla discesa in campo di Berlusconi, come se tra le stragi, la loro improvvisa cessazione e l'ascesa della nuova "entità" politica non ci fosse alcuna relazione di sorta. Semplicemente a suo dire la mafia si mette alla finestra a guardare e "da allora ad oggi bloccato il braccio militare, Cosa Nostra ha certamente curato le sue relazioni, i suoi affari, il suo potere".
Anzi da allora ad oggi Cosa Nostra "ha perduto quasi tutti i suoi maggiori esponenti", e "ha forse rinunziato all'idea di confrontarsi da pari a pari con lo Stato", anche se "non ha certo rinunziato alla politica", conclude barcamenandosi nel vuoto Pisanu.
Stando così le cose non si vede proprio quali motivi abbia la "sinistra" borghese per salutare la relazione di Pisanu come una "svolta" nella storia della Commissione antimafia, suscettibile di aprire chissà quali nuovi scenari investigativi per fare finalmente luce sulle collusioni tra mafia e politica. Se ci sono voluti 18 anni dalle grandi stragi golpiste per arrivare a questa relazione del tutto generica, lacunosa e insoddisfacente, stiamo freschi! E il nuovo Mussolini può continuare a dormire sonni tranquilli.

14 luglio 2010