Celebrando separatamente gli 80 anni del PCI
PRC E PdCI SI DISPUTANO LE COMUNI RADICI REVISIONISTE E TROTZKISTE
Bertinotti vomita veleno su Stalin e riabilita Bordiga.
Cossutta rivendica in toto la storia del partito revisionista
Il 21 gennaio scorso il presidente del PdCI, Cossutta, e il segretario del PRC, Bertinotti, hanno celebrato separatamente, il primo al teatro Brancaccio di Roma e il secondo al cinema Quattro Mori di Livorno, l'80° anniversario della fondazione del PCI (allora chiamatosi PCd'I), avvenuta il 21 gennaio 1921 a Livorno con una scissione nel Partito Socialista.
In questa occasione i due falsi comunisti hanno rivendicato entrambi, ciascuno a modo suo, la discendenza diretta dal PCI, e si sono disputati le comuni radici revisioniste e trotzkiste, come dimostrano le parole d'ordine praticamente identiche nel concetto ("La storia continua'' e "La storia del futuro'') che compaiono sulle rispettive riviste, "la Rinascita della sinistra'' e "Antagonismi'' . Anche se Cossutta lo ha fatto da dirigente di un partito governativo, con un'interpretazione tutta istituzionale, nazionale e d'"ordine'' della storia del PCI, rivendicando in toto la parabola dei revisionisti e rinnegati del comunismo, da Gramsci fino all'attuale partecipazione al governo borghese di "centro sinistra'', di cui il PdCI vanta di essere un sostenitore fedele. Mentre Bertinotti lo ha fatto, con un'operazione diversa nella forma ma identica nella sostanza, da capo di un partito di "opposizione'', cogliendo cioé l'occasione per lanciare, con "un'operazione davvero ambiziosa - sono le sue parole - un ulteriore e coraggioso passo in avanti nel processo della rifondazione di un moderno partito comunista di massa''.
Al Brancaccio, con tanto di inno di Mameli in aperura della manifestazione, Cossutta ha esaltato in blocco "la storia'' del PCI che "continua'' nel PdCI, e soprattutto Gramsci, che considera il padre spirituale intoccabile della "sinistra'', cercando cioè di presentare se stesso e il PdCI come gli eredi naturali di quella storia. Naturalmente si è guardato bene dall'accennare anche soltanto di sfuggita al suo passato di capo della corrente filosovietica all'interno del PCI, che a suo tempo si oppose, al limite della scissione, a tutti quei passaggi che hanno segnato il completo trasferimento del PCI nel campo dell'imperialismo occidentale e del sostegno al capitalismo italiano ed europeo, come il famigerato "strappo'' di Berlinguer quando dichiarò esaurita la "forza propulsiva'' della Rivoluzione d'Ottobre e accettò di rifugiarsi sotto l'"ombrello'' della Nato.
Non solo Cossutta ha cancellato con un colpo di spugna il suo passato di scissionista al soldo del Kgb per impedire lo sganciamento del PCI da Mosca e la sua definitiva trasformazione da partito revisionista in partito socialdemocratico e liberale, ma ora fa propria l'intera storia del PCI, compresi tutti gli "strappi'' che l'hanno portato, tradimento dopo tradimento, prima come PDS e ora come DS, fino ad amministrare gli affari della borghesia dall'alto degli scranni di governo e a gettare il nostro paese in una guerra imperialista per la prima volta dai tempi di Mussolini. Al punto che ora Cossutta cerca di riscrivere la propria biografia per riciclarsi come un personaggio assolutamente affidabile dal punto di vista patriottico e delle istituzioni borghesi; un uomo che anche di fronte ai dirigenti del Cremlino ha sempre messo avanti a tutto gli interessi della nazione, come ha dichiarato in una recente intervista a "La Stampa'', raccontando che perfino l'allora ministro degli Esteri Fanfani lo volle accanto a sé per firmare un accordo con i sovietici.
Una identificazione con l'intera storia del PCI revisionista ribadita dal segretario del PdCI Diliberto: "Dobbiamo restituire al PCI la dignità altissima che merita, contro chi cerca di infangarne la storia''. E con ciò ha rivendicato "la continuità di ideali e di azione politica'' tra PdCI e PCI.

CONTINUITA' STORICA NEL REVISIONISMO
Invece Bertinotti tiene a presentarsi come l'erede del filone di "sinistra'' della socialdemocrazia italiana rappresentata dal PCI come suo nucleo principale; il rappresentante della sua vena "eretica'', trotzkista e movimentista; quella che oltreché all'interno del PCI, con gli ingraiani, la "sinistra'' sindacale e certi circoli intellettuali, si è mossa nelle sue immediate adiacenze di sinistra, come i socialisti lombardiani e il PSIUP (da cui Bertinotti proviene), "il manifesto'', "Lotta continua'', DP, ecc. Senza per questo buttare via nulla della storia del PCI e i suoi protagonisti, anzi incorporandoli in blocco nel proprio corredo genetico, almeno fino alla svolta della Bolognina, tanto da fargli dichiarare a più riprese che la situazione attuale del Paese sarebbe stata "radicalmente diversa'' se ci fosse ancora il PCI.
Infatti nel suo intervento alla manifestazione livornese, il segretario del PRC ha nominato esaltandoli, tutti i dirigenti storici del PCI, da Berlinguer in giù. Di quest'ultimo ha fatto proprio il binomio "radicalità-realismo'', ovvero la capacità di "essere insieme conservatori e rivoluzionari'' (sic!). Di Longo ha lodato il "tentativo generoso'', anche se "non riuscito'', di interloquire con i movimenti del '68-69. E poi Di Vittorio, Terracini, Togliatti, Gramsci, fino ad arrivare al primo segretario del PCd'I, Bordiga, che Bertinotti ha esaltato come "un rivoluzionario'' attorno al quale stanno "quindici uomini che noi vorremmo salutare come protagonisti del popolo comunista''. Un'esaltazione, questa, degna di miglior causa, dal momento che rivaluta un personaggio storicamente condannato dal movimento operaio, espulso dal PCd'I per trotzkismo e diventato poi fiancheggiatore del fascismo.
Con questo Bertinotti ha inteso anche pagare un tributo all'ala trotzkista interna al PRC, come quando ha lanciato un violentissimo attacco a Stalin e a tutta l'esperienza della costruzione del socialismo in Urss. Ancora una volta ha tirato fuori il suo ritornello degli "errori ed orrori'' della storia del movimento operaio e comunista del Novecento, e in particolare delle "tragedie'' dello stalinismo e della costruzione del socialismo in un solo paese, dei Gulag, ecc. Bisogna fare i conti con lo stalinismo "perché le code di quel sistema vivono ancora dentro di noi e impediscono la ricerca e l'attualizzazione di un'idea comunista'', ha sentenziato il segretario del PRC, sia per rimarcare la continuità del neorevisionismo di Rifondazione col revisionismo del PCI e sia per lanciare un ponte all'"opposizione'' trotzkista interna; ma anche intendendo evidentemente con questo esorcizzare la crescente influenza dei marxisti-leninisti sulla base del PRC.

LA "VIA D'USCITA'' DI BERTINOTTI
Liquidati praticamente come "tragedie'' capisaldi fondamentali del comunismo come la Rivoluzione d'Ottobre, il socialismo e Stalin, dichiarata "davvero conclusa'' l'"esperienza del socialismo realizzato'', Bertinotti si è quindi profuso nell'esporre la sua idea di "come si esce dalla crisi del movimento comunista del Novecento''. A suo dire si esce coniugando socialdemocrazia e radical-liberalismo piccolo borghese, appoggiando cioè la "rifondazione'' comunista su movimenti come il femminismo ("non può esserci un vero femminismo senza il comunismo, ma è anche e soprattutto vero che non è possibile il contrario''), l'ambientalismo ("nel movimento operaio prevalse un'idea produttivistica'') e il movimento contro la globalizzazione (il "popolo di Seattle''). E per andare dove? Non verso l'abbattimento del capitalismo, ma verso il suo "superamento'': cioè - come sottolinea lo stesso imbroglione trotzkista - verso "un processo di riflessione e di rifondazione dell'idea di comunismo come idea di superamento della società capitalistica''.
"Vogliamo essere radicali e realisti, vogliamo l'impossibile perché pensiamo che sia possibile la rivoluzione'', proclama Bertinotti. Ma quale rivoluzione? E che vuol dire essere radicali e realisti? Semplice, significa essere rivoluzionari (cioè "radicali'') a parole e realisti (cioè revisionisti, riformisti e liberali) nei fatti. E la "rivoluzione'' come la intende Bertinotti non è altro che la socialdemocrazia, cioè la società capitalista "riformata'' dall'interno per neutralizzare le contraddizioni di classe e renderla più "sopportabile'' agli schiavi moderni: "Dobbiamo fare nostra la lezione del PCI; sapere cioè costruire una società, un'altra società, attraverso esperienze politiche e culturali'', spiega infatti Bertinotti.

DA GRAMSCI A KAUTZKY
In pratica egli ripropone nient'altro che la teoria gramsciana della rivoluzione come "guerra di posizione'', alla quale si era del resto richiamato esplicitamente nel suo discorso citando il concetto di conquista graduale per "casematte'' del sistema di potere capitalistico nella società, in contrapposizione al concetto di rivoluzione come insurrezione generale della classe operaia e delle classi popolari alleate per abbattere violentemente il potere borghese. In una tavola rotonda su "Antagonismi'', pubblicata in contemporanea alla manifestazione di Livorno, il segretario del PRC era stato ancor più chiaro nel decretare che nell'idea di rifondazione del comunismo non c'è più posto per la via rivoluzionaria classica indicata dalla Rivoluzione d'Ottobre: "La separazione dai socialisti è giustificata dal fatto che ci può essere una precipitazione rivoluzionaria in qualche modo riecheggiante la presa del Palazzo d'Inverno, ci può essere quella presa del potere statuale che anticipa la trasformazione della società. Oggi chi ha l'onere di pensare il progetto rivoluzionario sottopone l'ipotesi di conquista del potere statuale ad un vaglio critico dal quale essa risulta né plausibile né attuabile''. Più o meno con le stesse parole si è espresso anche a braccio nel suo intervento a Livorno.
Ma se si toglie la rivoluzione perché sarebbe "impensabile'' oggi la presa del Palazzo d'Inverno, e se si toglie la dittatura del proletariato perché sarebbe "liberticida'' e fonte di "tragedie'', che cosa resta nella rifondazione comunista vagheggiata da Bertinotti? Resta la socialdemocrazia, appunto: l'"evoluzione'' pacifica del capitalismo verso una società sempre capitalista, ma dal "volto umano''. Alla fine, cioè, Bertinotti approda a Kautzky, come dire al revisionismo nella sua forma più classica e storicamente battuta.
Ecco perché i due imbroglioni e falsi comunisti, Bertinotti e Cossutta, possono rivendicare a buon diritto e vogliono continuare la storia del PCI, che pur nato da un atto rivoluzionario sotto l'influenza e la spinta della Rivoluzione d'Ottobre, ha sempre avuto una direzione opportunista e revisionista, il cui obiettivo storico è sempre stato quello di imbrigliare la lotta di classe, sabotare la rivoluzione socialista e far accettare alle masse il sistema capitalistico.