La prima enciclica del nuovo papa nero esaltata da Berlusconi e Prodi
Non illuderti Ratzinger: il "sogno marxista della rivoluzione" non è svanito

Con la sua prima enciclica pubblicata il 25 gennaio, "Deus caritas est" ("Dio è amore"), Ratzinger proclama a chiare lettere di voler proseguire la crociata anticomunista di Wojtyla, rivestendola purtuttavia di uno studiato manto dottrinario, operazione nella quale egli è indubbiamente uno specialista, avendo diretto per anni la Congregazione per la dottrina della fede, l'ex Sant'uffizio, sotto il papa nero polacco.
È del tutto evidente, infatti, leggendo questa enciclica, che il suo punto focale, quello intorno al quale ruota tutto il documento pontificio e che è stato non a caso sottolineato da tutti i commentatori, è l'attacco al marxismo, del quale il nuovo papa nero ha voluto celebrare troppo affrettatamente il funerale: "Il marxismo - dice in tono trionfale Ratzinger a questo proposito - aveva indicato nella rivoluzione mondiale e nella sua preparazione la panacea per la problematica sociale: attraverso la rivoluzione e la conseguente collettivizzazione dei mezzi di produzione - si asseriva in tale dottrina - doveva improvvisamente andare tutto in modo diverso e migliore. Questo sogno è svanito".
Certo gli piacerebbe che fosse così. Ma allora perché parlarne, sia pure per certificarne la "scomparsa", e perché citare il marxismo, nella seconda parte interamente dedicata all'opera di carità sociale della chiesa, come la principale "obiezione" fin dall'Ottocento, "contro l'attività caritativa della Chiesa", sottintendendo con ciò che lo è ancora oggi? Dice infatti Ratzinger a proposito di questa obiezione: "I poveri, si dice, non avrebbero bisogno di opere di carità - le elemosine - in realtà sarebbero, per i ricchi, un modo di sottrarsi all'instaurazione della giustizia e di acquietare la coscienza, conservando le proprie posizioni e frodando i poveri nei loro diritti. Invece di contribuire attraverso singole opere di carità al mantenimento delle condizioni esistenti, occorrerebbe creare un giusto ordine, nel quale tutti ricevano la loro parte di beni del mondo e quindi non abbiano più bisogno delle opere di carità. In questa argomentazione, bisogna riconoscerlo, c'è del vero", è costretto ad ammettere il papa tedesco.
Va da sé che questa ammissione gli serve solo per introdurre invece la sua confutazione, e difatti Ratzinger non solo si guarda bene dal non diciamo condannare, ma perfino nominare il capitalismo, che preferisce sostituire con il termine più asettico di "società industriale", ma torna ancora all'attacco del marxismo (la lingua batte dove il dente duole...) come dottrina di giustizia e di rivolgimento sociale, definendola "una filosofia disumana" e contrapponendogli la carità cristiana a livello individuale e comunitario (quella della chiesa), anche con la "collaborazione con altre istituzioni simili": leggi con il sistema e lo Stato capitalistici.
Ma non si illuda troppo, l'erede di Wojtyla: il "sogno marxista della rivoluzione" è tutt'altro che svanito. Questo fantasma si aggira ancora per l'Europa e per il mondo, e continua a parlare al cuore e alla mente del proletariato e di tutti gli sfrutati e gli oppressi. Del resto è lo stesso Ratzinger a doverlo riconoscere quando, contraddicendosi in pieno con quanto prima detto, ammette che "il tempo moderno (quindi anche oggi, ndr), soprattutto a partire dall'Ottocento, è dominato da diverse varianti di una filosofia del progresso, la cui forma più radicale è il marxismo".
Nessuna meraviglia che l'enciclica del nuovo papa nero abbia entusiasmato il neoduce Berlusconi per il suo contenuto dichiaratamente antimarxista, che oggettivamente legittima ed anzi esalta l'anticomunismo viscerale su cui il nuovo Mussolini ha basato la sua becera campagna elettorale. Meno scontato, e perciò tanto più scandaloso, è l'entusiasmo manifestato anche dal leader dell'Unione, Prodi, che in un'intervista a La Stampa del 28 gennaio si è lasciato andare a commenti di acritica esaltazione del documento vaticano, che ha paragonato addirittura alla "Rerum Novarum" del 1891 (e non a caso, visto che condannava per la prima volta in maniera esplicita le dottrine ispirate al socialismo), non disdegnando neanche lui di sferrare un attacco al marxismo e ai regimi ad esso ispirati, che avrebbero a suo dire "tragicamente fallito nella loro organizzazione della società".
Anche in questo si conferma che la destra e la "sinistra" del regime neofascista non si distinguono sostanzialmente tra di loro, condividendo nella fattispecie la stessa concezione anticomunista e compiacente nei confronti del Vaticano e del nuovo papa nero Ratzinger. Cambia soltanto lo "stile" con cui lo fanno (più sguaiato quello del neoduce Berlusconi, più ipocrita e curiale quello del vecchio democristiano Prodi), e l'interpretazione che danno degli interventi papali: più marcatamente clerico-fascista, quella di Berlusconi; cercando di tirarli quanto più possibile "a sinistra", quella di Prodi.

8 febbraio 2006