Acquisito il voto di fiducia dei senatori dell'Unione. Particolarmente soddisfatti i falsi comunisti
Il governo del democristiano Prodi è una copia di "sinistra" del governo del neoduce Berlusconi
Il nuovo premier tende la mano alla casa del fascio che, per ora, la respinge
Proseguiamo nella lotta per l'italia unita, rossa e socialista
Il 19 maggio, con 165 sì contro 155 no, il governo di "centro-sinistra" del democristiano Prodi ha passato il primo voto di fiducia al Senato, quello più difficile. Alla Camera, dove la maggioranza a disposizione dell'Unione è molto meno risicata, il passaggio dovrebbe essere più agevole e scontato, ed è in corso mentre scriviamo.
Tra i dieci voti in più che sono valsi a Prodi la fiducia del Senato c'erano anche quelli di tutti e sette i senatori a vita, compresi l'ex capo dello Stato Ciampi, il candidato della casa del fascio alla presidenza di Palazzo Madama, Andreotti, l'ex presidente della Repubblica e capo di Gladio, Cossiga, l'ex presidente Scalfaro, nonché l'industriale Pininfarina, noto per essere stato finora un deciso sostenitore del "centro-destra". Il loro voto a favore del nuovo governo è avvenuto tra gli insulti e i fischi da stadio dei senatori della casa del fascio, incitati da Napoli dal neoduce Berlusconi, secondo cui era "immorale" che i senatori a vita non si astenessero (al Senato l'astensione equivale a votare contro, ndr), "dimenticandosi" che fu proprio grazie al voto di tre senatori a vita, Agnelli, Leone e Cossiga, che il suo primo governo neofascista potè insediarsi nel 1994.
La casa del fascio, spronata dal neoduce Berlusconi, continua quindi a condurre un'opposizione frontale al governo Prodi trattandolo alla stregua di un governo illegittimo e usurpatore del potere. E questo nonostante che Prodi le abbia più volte nel suo discorso teso la mano, che per ora viene respinta sdegnosamente. Fin dalle prime righe del suo discorso, infatti, Prodi si è appellato all'"unità nazionale", ha proclamato che "non ci sono nemici, né in quest'aula né fuori", che "non c'è un paese da pacificare", ma che occorre ricercare la "concordia" di tutti. All'opposizione ha offerto "rispetto" e ha chiesto "disponibilità", perché - ha sottolineato - "sono profondamente convinto che o usciamo dalle difficoltà e andiamo avanti tutti insieme, o andiamo irrimediabilmente indietro tutti insieme".
Più oltre, nel suo discorso, ha ripreso questo tema invocando ripetutamente anche la "coesione sociale", per poi, nelle conclusioni, ritornare a fare appello all'unità e al dialogo con l'opposizione in nome degli interessi nazionali, perché - ha detto - "pur nella distinzione dei ruoli, c'è spazio per il costruttivo apporto di tutti. Perché tutti, qui dentro, ne ho la certezza, abbiamo a cuore il futuro dei nostri concittadini e della nostra Italia. Perché tutti qui dentro, ne sono sicuro, vogliamo che l'Italia torni a vincere".
Nel discorso di Prodi, insomma, c'era molto di più dello spirito interclassista e solidaristico tipico di un democristiano di lungo corso come lui: c'era una vera e propria offerta di inciucio alla casa del fascio, che se non è formalmente sovrapponibile al "governissimo" alla tedesca proposto subito dopo il voto dal neoduce Berlusconi, gli assomiglia molto nella sostanza, perché nella pratica, in cambio di un'opposizione benevola al suo governo, Prodi ha offerto al "centro-destra" la disponibilità a decidere insieme su una serie di temi di interesse nazionale, dall'economia alla politica estera e militare, dalle "riforme" istituzionali all'istruzione, e così via.

Solidarismo democristiano e offerte d'inciucio
Sul programma del suo governo, non a caso, Prodi è stato molto cauto e generico, badando bene di evitare al massimo argomenti e formulazioni che potessero suscitare contrapposizioni frontali con l'opposizione parlamentare, e offrendole anzi diversi spunti di convergenza. Come per esempio sul conflitto di interessi, per il quale si è affrettato a rassicurare il neoduce che una pur necessaria regolamentazione sarà tuttavia "scevra da intenti punitivi". Cosiccome per tutte le altre leggi varate dalla casa del fascio, che egli o non ha nemmeno nominato, o si è limitato a chiederne solo la "modifica", come per la legge 30 che istituzionalizza il precariato selvaggio, di cui ha annunciato solo una "revisione" per scoraggiare la "convenienza" dei "contratti atipici" e "ridurre l'area del precariato".
Ma si potrebbero citare diversi altri esempi tutti di questo segno, come per la legge Bossi-Fini, di cui non solo Prodi si è guardato bene dall'annunciare la cancellazione, ma ne ha in sostanza recuperato l'impianto razzista e schiavista, sostenendo che il tetto all'immigrazione va mantenuto e non accennando neanche di sfuggita all'abolizione dei famigerati Cpt, veri e propri lager per migranti. Stesso dicasi per la controriforma neofascista dell'ordinamento giudiziario, a cui Prodi non ha fatto il minimo cenno, limitandosi ad auspicare una maggiore celerità nello smaltimento dei processi.
E così via per la scuola, dove Prodi non ha fatto cenno alla difesa della scuola pubblica ma solo alla "valorizzazione dell'autonomia scolastica", la famiglia, che ha messo "al centro dell'azione sociale del governo", senza nominare i Pacs, la "legalità" da condiderare come "valore assoluto", con l'esaltazione acritica dell'operato della polizia e dei carabinieri, la necessità di contenere la spesa pubblica "centrale e periferica", la "lotta globale al terrorismo", per la quale ha ribadito l'impegno "anche militare" dell'Italia, ecc. Senza contare che da vero democristiano Doc non solo non ha neanche accennato alla difesa della "laicità" dello Stato dalle ripetute e intollerabili ingerenze della chiesa e del Vaticano, ma si è pure lanciato in una sperticata apologia degli ultimi due papi e delle "radici cristiane" del nostro Paese.

Quale "svolta", quale vento cambiato?
Anche sul ritiro dall'Iraq l'apertura alla casa del fascio è apparsa evidente: è vero che Prodi ha definito la guerra in Iraq un "grave errore" e ha confermato il ritiro dei nostri soldati, suscitando grida e proteste dai banchi dell'opposizione; ma si è subito affrettato a sottolineare che "siamo orgogliosi della prova di abilità professionale, di coraggio e di umanità (anche quando incitano ad "annichilire" i feriti? ndr) che essi hanno dato e stanno dando". E comunque ha precisato che il ritiro "avverrà nei tempi tecnici necessari, definenedone anche in consultazione con tutte le parti interessate le modalità": cioè con gli anglo-americani e il governo fantoccio iracheno. In sostanza, come Prodi ha anche precisato nella replica, il ritiro sarà in linea con quanto già stabilito dal governo Berlusconi, cioè non immediatamente, alla Zapatero, bensì entro fine 2006: come del resto ha chiarito anche il rinnegato D'Alema, neo ministro degli Esteri, dichiarando che "noi non scapperemo dall'Iraq", e che la missione armata, sia pure in dimensioni ridotte (un generale parla di almeno 800 soldati) continuerà sotto altra veste.
Ma dove la volontà di inciucio è emersa addirittura smaccatamente, è nel passaggio in cui Prodi ha offerto alla casa del fascio, subito dopo il referendum, di riaprire il dialogo sulla controriforma (da lui definita ipocritamente "aggiornamento", e che non potrà che essere da destra) della Costituzione, attraverso la "ricerca di una costruttiva e larga collaborazione fra tutte le forze politiche del Paese". Unitamente alle altre offerte politiche alla casa del fascio, come quella della presidenza della commissione Esteri al caporione fascista Fini avanzata direttamente da D'Alema, e quella di nominare Berlusconi senatore a vita, avanzata dalla "Velina rossa" vicina al presidente dei DS, si tratta di chiari segnali che il governo del democristiano Prodi non è affatto quella "svolta" rispetto al governo neofascista Berlusconi che tanti elettori di sinistra si aspettavano. Non solo il neoduce Berlusconi non è stato eliminato dalla scena politica, ma l'atteggiamento conciliatorio di Prodi e degli altri leader dell'Unione non fa che continuare a legittimarlo e rafforzarlo anche come capo dell'opposizione. Come fa del resto il falso comunista Bertinotti, che non perde occasione per ammonire a "non demonizzare Berlusconi". Il nuovo guardiano della Camera è anzi quello che ha esultato di più per l'intervento del presidente incaricato, da lui definito "il più bel discorso che ha fatto Prodi da quando lo conosco". Esultanza condivisa dal neo segretario di Rifondazione trotzkista, Giordano, con la quale viene riconfermata l'asse di ferro tra l'economista democristiano e il PRC quale copertura a sinistra del suo governo.
Ci sono quindi già tutti gli elementi politici per capire che il governo del democristiano Prodi è solo una copia di "sinistra" del governo del neoduce Berlusconi. Che la classe operaia, gli antifascisti e antiberlusconiani, i fautori del socialismo, abbandonino fin da subito ogni illusione che con esso il vento sia cambiato e non concedano nessuna "tregua" politica, sociale e sindacale al governo della "sinistra" borghese. Proseguiamo invece nella lotta per l'Italia unita, rossa e socialista, la sola che può portare a un vero governo della classe operaia e a favore delle masse popolari, e non alla semplice alternanza tra governi della destra e della "sinistra" borghese come nel regime neofascista attuale.

23 maggio 2006