Accogliendo gli ultimi soldati in rientro da Nassiriya, il premier e il capo dello Stato riabilitano la missione di guerra di Berlusconi
Prodi: "In Iraq non eravamo forza di occupazione"
Napolitano: "Grazie per aver esaltato il valore delle missioni fuori dei nostri confini"
Il 2 dicembre, con una cerimonia militarista che sembrava ispirata ai filmati Luce di mussoliniana memoria, Prodi ha accolto all'aeroporto militare di Ciampino gli ultimi contingenti militari rientrati dall'Iraq. La pomposità patriottarda conferita alla cerimonia, con la consegna della bandiera di guerra al capo del governo, il tutto sotto le telecamere della diretta televisiva di Rai2, erano già un eloquente segnale che il governo di "centro-sinistra" non voleva chiudere in sordina e senza fanfare la missione "Antica Babilonia", bensì darle la massima esaltazione di fronte al Paese.
Ma è stato soprattutto il discorso che Prodi ha rivolto alle truppe schierate sulla pista dell'aeroporto a rivelare che il suo governo ha ormai cancellato ogni riserva su quella missione di guerra e l'ha completamente riabilitata e legalizzata, e anzi la fa propria, sia pure ex post, e la esalta e la glorifica al pari del governo Berlusconi che la volle in tutti i modi calpestando la Costituzione e contro la volontà della stragrande maggioranza del popolo italiano.
Non fosse stato anzi per l'impegno che l'Unione ha dovuto prendere con i suoi elettori, di riportare "immediatamente" a casa i militari italiani in Iraq (un "immediatamente" che è durato inspiegabilmente quasi otto mesi, fino al limite massimo già stabilito dallo stesso governo Berlusconi), il governo non avrebbe avuto nessuno scrupolo a continuare questa missione di guerra senza data di scadenza, dal momento che non c'era più ormai nessuna pregiudiziale né politica né morale contro di essa da parte della maggioranza. Prodi lo ha ammesso tranquillamente quando, dopo aver detto rivolgendosi a "tutta l'Italia" dalle telecamere che "siamo orgogliosi dei nostri soldati", ha aggiunto che "i soldati dell'esercito iracheno addestrati dai nostri militari sono da oggi difesa della democrazia", e che "le infrastrutture e i progetti consegnati al governo di Baghdad sono la testimonianza che quella italiana non è stata una 'occupazione', ma un aiuto a un popolo alla ricerca disperata di un futuro".
Con ciò il premier democristiano ha legalizzato in un sol colpo sia il governo fantoccio iracheno messo in piedi dagli occupanti imperialisti, definendolo una "democrazia", sia la missione di guerra "Antica Babilonia" voluta da Berlusconi, definendola una missione "di pace", né più né meno di ciò che ha sempre sostenuto il neoduce di Arcore. Non a caso il quotidiano di proprietà della famiglia di Berlusconi, "Il Giornale", riferendo della cerimonia di Ciampino ha titolato con l'ammissione di Prodi che "gli italiani in Iraq non erano una forza di occupazione", ricordando anche ciò che diceva invece il premier in campagna elettorale, tra cui la frase pronunciata il 7 aprile scorso, a due giorni dalle elezioni: "La guerra in Iraq è servita solo all'industria delle armi e a creare tensione. Questa non è una missione di pace". Anche se poi il quotidiano diretto da Belpietro riconosce che queste erano le frasi che Prodi usava per gli elettori, mentre nei colloqui ufficiali, soprattutto con i governanti americani, diceva tutt'altro, e cioè che non bisognava ritirarsi dall'Iraq, onde "evitare il collasso del paese".
Non c'è più nessuna discontinuità, quindi, tra il governo di "centro-sinistra" e quello neofascista e guerrafondaio di Berlusconi nella politica militarista e interventista mascherata da missioni militari "di pace" all'estero. Neanche quel poco che, anche solo formalmente, continuava a sussistere riguardo all'intervento in Iraq. Prodi può così archiviare con i massimi onori quell'infame intervento imperialista in piena regola e proclamare che non finisce però "l'impegno dell'Italia nel mondo per portare pace e dialogo", esaltando in questo quadro gli interventi in Libano, in Afghanistan, nei Balcani, in Asia, in Africa "e in tutti i teatri di crisi dove le Nazioni Unite chiedono la presenza dei portatori di pace".
Anche l'apologia militarista che ha fatto ricordando i soldati morti a Nassiriya ("ogni militare che cade è un pezzo di noi che muore", ha detto), mira a colmare ogni passato dissenso con l'intervento in Iraq e ricompattare le forze armate con il governo della "sinistra" borghese. Messaggio pienamente raccolto dai vertici dell'esercito interventista, che con il capo di Stato maggiore Di Paola, inserendosi nella scia del discorso di Prodi, ha esaltato "Antica Babilonia" come una missione "compiuta con onore" e che ha ottenuto "il ringraziamento degli iracheni".
Cinque giorni dopo, nel parco della reggia di Caserta, è toccato a Napolitano rendere solenni onori al contingente di rientro dall'Iraq, prendendo in consegna la bandiera di guerra dalle mani del ministro della Difesa Parisi. Anche lui ha voluto nobilitare quell'illegale e anticostituzionale avventura di guerra, quasi con le stesse parole usate dal premier democristiano: "I nostri militari - ha sottolineato infatti il capo dello Stato - si sono impegnati in Iraq sentendo la missione cui erano stati chiamati non come impresa bellicista, non come impresa offensiva, ma come impresa di pace e di civiltà". E dopo aver riproposto la sua ormai consueta solfa sulla seconda parte dell'articolo 11 della Costituzione, che secondo lui legittimerebbe l'interventismo guerrafondaio italiano nel mondo, ha ringraziato significativamente i militari reduci dall'Iraq "per aver reso più forte nella coscienza degli italiani e delle istituzioni che li guidano la consapevolezza del valore delle missioni fuori dei nostri confini".

13 dicembre 2006