Una criminale politica nazista adottata dai nazionalisti serbi e croati

OTTO ANNI DI "PULIZIA ETNICA" NEI BALCANI

Le spinte nazionaliste dei dirigenti delle repubbliche federate alla fine degli anni '80, avallate dalle potenze europee, che porteranno alla disgregazione della federazione jugoslava sono accompagnate da una criminale campagna nazionalista contro le minoranze presenti nelle repubbliche; la proclamazione degli Stati autonomi è preceduta e seguita in molti casi da una criminale politica nazista definita "pulizia etnica" per rendere omogenea con la forza, il terrore e i massacri la popolazione dei territori controllati. Principali protagonisti di tale politica sono i nazionalisti serbi capeggiati dal rinnegato e fascista Milosevic e il suo compare croato Tudjman. I due si contendono il primato di chi ha innescato per primo su larga scala le operazioni di "pulizia etnica". L'indipendenza della Croazia è segnata dalla caccia alla minoranza serba nella repubblica; nelle zone della Slavonia e delle Krajine i serbi sono in maggioranza e appoggiati dall'esercito di Belgrado cacciano circa 80 mila croati. La conquista della città di Vukovar da parte dell'esercito di Belgrado il 18 novembre 1991 dopo tre mesi di assedio è seguita dalla scomparsa di circa 4 mila persone. Nazionalisti serbi e croati seppur schierati su diversi fronti, i croati sono alleati coi musulmani bosniaci, sono parimenti impegnati nella guerra in Bosnia a "ripulire" le zone sotto il loro controllo. I principali massacri contro i civili musulmani compiuti a Foca, nell'aprile '92, a Srebrenica, nel luglio 1995, nell'assedio di Sarajevo iniziato nel maggio 1992 e durato tre anni sono opera dei serbo bosniaci guidati da Karadzic e Mladic, accusati di genocidio, crimini contro l'umanità e crimini di guerra. Karadzic e Mladic sono gli strumenti di Milosevic e del suo progetto di "Grande Serbia" che comprenderebbe buona parte della Bosnia. I tre episodi citati sono solo quelli più eclatanti della lunga operazione che "libererà" dalle altre minoranze etniche le regioni orientali della Bosnia riunite nella "Repubblica Srpska" con capitale Banja Luka. Dello stesso tenore le operazioni dei nazionalisti e fascisti croati nella parte dell'Erzegovina con Mostar da cui hanno cacciato serbi e musulmani e che volevano staccare dalla Bosnia e unire alla Croazia. La regione centrale della Bosnia con Sarajevo è dei musulmani bosniaci. Gli abitanti della Bosnia sono oggi circa 4 milioni, rispetto ai 5 che erano prima della guerra, e solo un milione vive nel posto dove è nato; altrettanti sono profughi all'estero, di cui più di 700 mila in Serbia. La spartizione della Bosnia decisa dai paesi imperialisti con gli accordi di Dayton ratificava la "pulizia etnica" realizzata sul campo e vigilata dalle truppe Nato. L'esercito croato col beneplacito degli Usa e delle potenze europee e l'appoggio della Nato nell'estate del 1995 occupava la Slavonia occidentale e la Krajina di Knin. Vittime della "pulizia etnica" croata furono oltre 350 mila serbi cacciati dalle due regioni. La politica nazionalista del fascista Tudjman, denunciata anche dalla minoranza italiana dell'Istria, costringe alla fuga decine di migliaia di serbi da altre regioni e città della Croazia. Il presidente croato si è recentemente vantato di aver ridotto al 2-3% della popolazione i serbi in Croazia mentre erano il 12% dei circa 5 milioni di abitanti nel 1991. I serbi sono rimasti in maggioranza nella Slavonia orientale che gli accordi di Dayton posero sotto amministrazione Onu fino al 1997; la loro presenza si è oggi dimezzata. Le vittime della "pulizia etnica" nella ex Jugoslavia crescono oggi coi profughi kosovari albanesi cacciati da Milosevic dal Kosovo.