Relazione di Emanuele Sala alla riunione allargata della Commissione per il lavoro di massa del CC del PMLI del 31.01.2004
Il governo del neoduce Berlusconi, le lotte sindacali e il lavoro sindacale del PMLI
Care compagne e cari compagni,
benvenuti e grazie di cuore per aver partecipato alla riunione allargata della Commissione per il lavoro di massa del CC del PMLI. Grazie in particolare alle compagne e ai compagni che, con grande sacrificio sono venuti da lontano, dalla Sicilia, come dalla Lombardia e da altre regioni con ore e ore di viaggio. Un altro grazie sentito e caloroso va alla Commissione per il lavoro di organizzazione e soprattutto al suo dirigente compagno Ettore che, sul piano pratico e organizzativo, hanno permesso che questa riunione si tenesse. Purtroppo, il tempo che abbiamo a disposizione non è molto, per cause logistiche e organizzative, legate agli orari ferroviari, e ad altri incontri che alcuni di voi hanno in programma successivamente. Dobbiamo perciò lavorare in modo serrato facendo quello che è possibile fare. Non è l'ideale ma è quanto ci è oggi concesso.
Questa riunione, decisa in accordo con l'Ufficio politico e sollecitata personalmente dal nostro Segretario generale il compagno Giovanni Scuderi, si tiene a poco meno di due anni (19 marzo 2002) da un'altra riunione, ossia la 5a riunione plenaria dell'UP allargata alla Commissione di massa centrale che trattò il bilancio del lavoro svolto dal Partito in occasione del XIV Congresso nazionale della Cgil e tracciò l'orientamento per proseguire il lavoro sindacale.
Era perciò matura una nuova occasione di analisi, riflessione critica e autocritica e di sintesi del nostro lavoro sindacale e operaio, proprio ripartendo da lì, senza dimenticare ma anzi richiamando la linea e le indicazioni del 4° Congresso nazionale del PMLI, passando al vaglio questi ultimi 2 anni e mezzo straordinari di lotta politica e sindacale, di mobilitazioni eccezionali antigovernative e antipadronali di lavoratori, pensionati, disoccupati, studenti, intellettuali e masse popolari in genere, che sono ancora in corso, vedi gli autoferrotranvieri ai quali inviamo la nostra piena solidarietà; evidenziando le novità che sono emerse all'interno del movimento sindacale confederale, nei rapporti tra Cgil, Cisl e Uil e in specie dentro la Cgil, nonché tra i sindacati extraconfederali, il tutto per valutare il cammino fatto nel nostro lavoro sindacale e per rilanciarlo con forza.
Non dobbiamo dimenticare o sottovalutare quanto sia importante il lavoro sindacale del Partito, inteso come lavoro sindacale nei luoghi di lavoro e dentro le strutture sindacali, inteso come partecipazione alle lotte sindacali nelle piazze, ciò sulla base di una corretta linea politica, di massa e rivendicativa, non solo per aiutare i lavoratori e i pensionati a strappare miglioramenti immediati economici, contrattuali e sociali ma anche per far progredire la lotta di classe e sviluppare l'azione politica del Partito, per avanzare nella costruzione di un grande, forte e radicato PMLI.
A questo proposito è importante ribadire le indicazioni più volte lanciate dal massimo dirigente del PMLI Scuderi il quale, nella 6a riunione plenaria dell'UP del PMLI affermava: "Come già stabilito dal Congresso noi dobbiamo radicarci soprattutto nel movimento operaio e sindacale e in quello studentesco. Conformemente a questa direttiva, salvo quelli che hanno compiti e ruoli particolari, i militanti e i simpatizzanti lavoratori e pensionati del Partito devono concentrarsi nell'azione nei proprio luoghi di lavoro e nel sindacato (...)''. E aggiungeva: "Non dobbiamo assolutamente desistere nel rivolgersi alla classe operaia anche se la conquista degli operai più avanzati e combattivi è piuttosto difficile in quanto essi sono tuttora sotto l'influenza e il controllo dei falsi partiti comunisti e la nostra presenza nei luoghi di lavoro e nella Cgil è ancora troppo debole e poco influente''.
Già nella riunione dell'UP allargata, sopra richiamata, Scuderi aveva detto con acutezza che "solo impegnandosi a fondo (badate bene, sottolineo io, impegnandosi a fondo) nel sindacato, nei luoghi di lavoro, nelle piazze e nella lotta sindacale è possibile conquistare al Partito come militanti o come simpatizzanti, gli operai, i lavoratori, i pensionati più avanzati e combattivi, e arrivare a influenzare le larghe masse operaie, lavoratrici, pensionate e disoccupate, noi dobbiamo intensificare e maggiormente qualificare il nostro lavoro sindacale impegnandovi, a tutti i livelli, delle militanti e dei militanti come compito prioritario, se non esclusivo''.
Per quanto non siano affatto scomparsi i limiti e le difficoltà di cui parlava Il Segretario generale, è confortante la presenza a questo incontro di tante compagne e compagni che in vario modo sono impegnati nel lavoro sindacale, come lavoratori, anche precari, iscritti alla Cgil, come delegati e membri di direttivi appartenenti a categorie diverse dell'industria e pubblico impiego, portatori di esperienze particolari che possono costituire un arricchimento e uno stimolo per lo sviluppo del lavoro sindacale del Partito.
Ma noi possiamo e dobbiamo, fortemente dobbiamo, sviluppare e migliorare il lavoro sindacale del Partito, ripartendo da dove siamo arrivati. Perché la situazione oggettiva e soggettiva si è evoluta in senso positivo; il Partito si è dotato di uno strumento potente qual è il Nuovo Programma d'azione, ha accresciuto le sue capacità nell'elaborazione su problemi specifici (come ad esempio sulla sanità, il Ponte di Messina e le risorse idriche in Sicilia) e ha conosciuto un apprezzabile sviluppo organizzativo; le lotte dei lavoratori hanno subito, in questi ultimi due anni e mezzo, uno sviluppo rilevantissimo; la politica neofascista e iperliberista del governo del neoduce Berlusconi favorisce tra le masse l'apprezzamento della nostra linea e delle nostre parole d'ordine; c'è una spinta a sinistra tra i lavoratori e all'interno della Cgil che deve essere colta e appoggiata; nella stessa Cgil è in atto, rispetto agli schieramenti usciti dal congresso di Rimini un rimescolamento degli equilibri.

LO STRAORDINARIO MOVIMENTO DI LOTTA DEL 2002-2003
Tutti noi abbiamo visto e vissuto, anche direttamente per aver partecipato alle manifestazione di piazza, la nascita di questo straordinario movimento di lotta operaio, giovanile e popolare che dall'inizio del 2002 non ha avuto soluzione di continuità e ancora continua, nonostante le pugnalate alle spalle dei sindacalisti collaborazionisti di Cisl e Uil alla Pezzotta e Angeletti, la prima con la firma del "patto per l'Italia'' e la seconda è proprio di questi giorni accettando di riprendere le trattative con il governo nonostante che si sia rifiutato di ritirare la legge delega sulle pensioni; e nonostante i bastoni messi nelle ruote dai partiti di "centro-sinistra'', DS e Margherita in testa; vedi l'ultima infame proposta di Rutelli in materia previdenziale che prevede, tra l'altro, l'innalzamento dell'età pensionabile, analoga alla controriforma berlusconiana. Un movimento di lotta che ha chiuso, di fatto, il riflusso degli anni '80 e '90, e che per ampiezza, qualità delle rivendicazioni e durata ha riecheggiato in qualche modo la stagione di lotta degli anni '70.
Basti ricordare la recente imponente manifestazione sindacale unitaria, tenutasi il 6 dicembre scorso a Roma contro la legge finanziaria e la controriforma pensionistica del governo del neoduce Berlusconi, con la partecipazione di due milioni di lavoratori, pensionati, precari, disoccupati, studenti e nella quale il Partito, presente con una delegazione nazionale diretta da Scuderi, e con la parola d'ordine "Giù le mani dalle pensioni'', unitamente a "Buttiamolo giù!'', riferito a Berlusconi, ha conseguito un notevole successo politico. Oppure la giornata del 24 ottobre allorquando si tenne lo sciopero generale sindacale cui aderirono 10 milioni di lavoratori e un milione e mezzo di loro presero parte ai cortei che sfilarono in 100 città. Oppure ancora i 200 mila metalmeccanici sfilati nella capitale il 7 novembre 2003, nell'ambito di uno sciopero generale di 8 ore indetto dalla sola Fiom-Cgil per rivendicare un vero contratto, il rispetto della democrazia sindacale e protestare contro la legge finanziaria affamatrice, allora in via di approvazione.
Tutto il 2002 e il 2003 insomma, è stato un succedersi di scioperi nazionali, di categoria e generali e manifestazioni con adesioni altissime e di dimensioni oceaniche. Non solo su temi strettamente sindacali e di carattere sociale, come la sanità, la scuola, il Mezzogiorno, l'immigrazione, ma anche riguardanti, l'opposizione all'aggressione imperialista anglo-americana all'Iraq e la decisione del neoduce Berlusconi di inviare un contingente militare italiano in Iraq, in appoggio al neoHitler Bush e per far valere gli interessi economici dell'imperialismo italiano legati al petrolio e alle commesse per la ricostruzione di un paese distrutto dai bombardamenti.
Non è il caso di elencare tutte le iniziative di lotta che si sono svolte in questo periodo. Tuttavia non si può non ricordare, in questo contesto, la grandiosa e storica manifestazione del 23 marzo del 2002 a Roma indetta dalla sola Cgil in difesa dell'art.18 dello "Statuto dei lavoratori'' cui presero parte ben 3 milioni di lavoratori, pensionati, disoccupati, giovani e donne. Lo sciopero generale di 8 ore indetto ancora dalla sola Cgil il 18 ottobre 2002 con manifestazioni in 120 piazze d'Italia per protestare contro licenziamenti facili, il piano di ristrutturazione e di smobilitazione della Fiat, la guerra all'Iraq e il "patto'' del tradimento e della capitolazione sottoscritto nel frattempo da Cisl e Uil con governo e associazioni padronali. Infine la storica manifestazione antimperialista organizzata a Firenze il 9 novembre 2002 dal Social Forum Europeo contro la guerra all'Iraq. Un milione di manifestanti giovani ma anche operai e lavoratori mobilitati da Fiom e Cgil e da sindacati non confederali sfilarono nelle vie della città del Giglio.
Le altre iniziative che si sono svolte nel 2003 e che non elenchiamo per brevità completano il quadro di questa straordinaria stagione di lotta. Di cui non ci sfugge l'importanza; anche se è stata guidata da dei riformisti che alla fine cercheranno di strumentalizzarla a fini elettoralistici a favore del "centro-sinistra'' e del PRC.
In tutte le manifestazioni più importanti, a parte le località in cui non è presente, il Partito ha fatto il possibile per esserci col massimo delle sue forze e a livello più alto. Distinguendosi per combattività, chiarezza di posizioni e coerenza e riscuotendo crescenti apprezzamenti e riconoscimenti. Migliorando il rapporto politico e la visibilità tra il Partito e la classe operaia.

LE VERTENZE CHE MERITANO DI ESSERE EVIDENZIATE
Molte le vertenze sindacali e contrattuali di notevole importanza che hanno segnato il periodo che stiamo esaminando. Meritano di essere evidenziate per la loro rilevanza e particolarità le seguenti.

Fiat
La lotta degli operai della Fiat contro il piano di Agnelli di ristrutturazione e smantellamento produttivo annunciato nell'ottobre del 2002, con 8.100 licenziamenti e la chiusura di stabilimenti, a seguito di una gravissima e senza precedenti crisi finanziaria e di mercato. Condotta per mesi con grande determinazione, specie dai lavoratori di Termini Imerese e dell'Alfa di Arese, mettendo in campo tutte le forme di lotta disponibili, essa è proseguita anche dopo l'infame accordo tra i dirigenti del Lingotto e i ministri berlusconiani che avalla i licenziamenti e la chiusura di stabilimenti, l'Alfa Romeo di Arese in primis.
Il PMLI, che solidarizzò con gli operai in lotta con un documento dell'Ufficio politico contro il piano di Agnelli e contro la cassa integrazione, i licenziamenti e la chiusura degli stabilimenti, ebbe il coraggio di lanciare la parola d'ordine della nazionalizzazione dell'intero gruppo Fiat, non solo il settore auto, senza alcun indennizzo. Inoltre chiedeva per la Fiat "un progetto industriale di riconversione delle produzioni nel quadro di una politica dei trasporti basati principalmente su rotaie, via mare e via aerea''. Permettetemi qui di ringraziare e di elogiare i compagni di Palermo e di Milano che tanto si sono prodigati per portare la linea e la solidarietà del Partito tra gli operai delle loro città, di Termini Imerese e di Arese.

Metalmeccanici
La lotta dei metalmeccanici per il rinnovo del contratto nazionale di lavoro. Noi sin dall'inizio abbiamo appoggiato la linea contrattuale messa a punto e seguita dalla Fiom. Sia nella fase della preparazione e dell'approvazione della piattaforma rivendicativa, sia nella fase della lotta, sia in quella della contestazione dell'accordo separato firmato da Cisl e Uil con Federmeccanica, abbiamo appoggiato la decisione di proseguire la lotta a livello aziendale per ottenere dei pre-contratti che integrassero il salario mancante e ottenessero garanzie contro il lavoro precario. L'abbiamo sostenuta perché avanzava rivendicazioni migliori di quelle messe a punto da Fim e Uilm sui temi del salario (la richiesta era più elevata e uguale per tutti) e della lotta alla precarietà. Inoltre difendeva il contratto nazionale, senza rinunciare alla contrattazione di secondo livello, poneva all'ordine del giorno il superamento dell'accordo del 23 luglio '93 sulla "politica dei redditi'' e, cosa non secondaria, rivendicava il diritto dei lavoratori, tutti, iscritti e non iscritti al sindacato, a votare la piattaforma e poi l'accordo.
Questa linea ha goduto del consenso della stragrande maggioranza dei lavoratori interessati. Lo si è visto anche dalle adesioni agli scioperi e dalle vertenze aziendali aperte (2.000 per un totale di 500.000 lavoratori) e chiuse (oltre 450 di cui 100 circa nelle aziende Confapi). Si può ben dire che i metalmeccanici sono tornati a svolgere quel ruolo di punta dei lavoratori dell'industria che gli è sempre stato proprio. Anche se all'interno della Fiom (come del resto all'interno della Cgil) sono in atto delle manovre di "normalizzazione'' portate avanti dalle componenti più destrorse.

Tranvieri
Alla lotta dei lavoratori del trasporto pubblico locale, meglio conosciuta come la lotta dei tranvieri, tuttora in corso e passibile di nuovi sviluppi, abbiamo espresso subito pieno e convinto appoggio politico. I particolari di questa vertenza, che dopo due anni dalla scadenza del contratto è balzata all'attenzione nazionale, sono conosciuti.
Questi lavoratori uniti e compatti non si sono piegati davanti alle chiusure e all'arroganza del governo e delle aziende autonome di trasporto, hanno preteso il rispetto degli impegni presi soprattutto riguardo all'aumento salariale, non hanno avuto paura, sull'esempio dei tranvieri di Milano, di infrangere i soffocanti vincoli previsti dalla legge antisciopero sui "servizi pubblici essenziali'', sfidando precettazioni e denunce penali. Inoltre hanno respinto con grande determinazione l'accordo bidone siglato dai vertici confederali il 20 dicembre e contestato l'intesa integrativa milanese finalizzata a spaccare l'unità dei lavoratori e a colpire l'istituto del contratto nazionale. La lotta prosegue, altri scioperi nazionali indetti dal Coordinamento degli autoferrotranvieri si sono tenuti il 30 dicembre e il 30 gennaio. La trattativa deve essere riaperta con la partecipazione dei sindacati non confederali per raggiungere un'intesa soddisfacente. Le infami denunce sollecitate dal prefetto Ferrante e dal sindaco Albertini ai danni dei tranvieri milanesi, che potrebbero portare a pesanti sanzioni e finanche al licenziamento, devono essere ritirate.
I vertici confederali da questa vertenza escono clamorosamente sconfessati e delegittimati, a favore dei sindacali non confederali che invece, almeno in questo momento, godono della fiducia della maggioranza della categoria. Sono rilevanti le questioni poste in questa vertenza: il recupero del potere d'acquisto eroso dall'inflazione reale; la difesa del contratto nazionale anche per evitare la reintroduzione delle "gabbie salariali''; la revisione se non proprio la cancellazione della legge di regolamentazione del diritto di sciopero nei servizi pubblici; l'opposizione alla privatizzazione del settore che deve rimanere pubblico ed essere risanato e rilanciato.
I tranvieri, in pratica, senza averne coscienza, spontaneamente hanno "realizzato'' il modello di sindacato che noi proponiamo, ossia il sindacato delle lavoratrici e dei lavoratori, scavalcando le burocrazie confederali e utilizzando la democrazia diretta, organizzandosi in assemblee di deposito e dando vita a un Coordinamento per gestire la lotta e la trattativa, non facendosi fermare dalla legalità borghese che veste i panni neofascisti.

Vigili del fuoco
Particolarmente importante anche la vertenza dei vigili del fuoco in lotta per il rinnovo del contratto nazionale di lavoro, chiuso tre giorni fa con un aumento in busta paga a regime di 116 euro. E' importante perché si oppongono con forza alla militarizzazione del corpo, come prevede un disegno di legge del ministro dell'Interno Pisanu, che li porterebbe a svolgere anche funzioni di ordine pubblico di tipo repressivo. Passando, come categoria, nel comparto sicurezza dello Stato, perderebbero il diritto di sciopero e la possibilità di eleggere le Rsu. La Cgil si oppone, diversamente della Cisl e della Uil. Proprio ieri si è tenuto un combattivo sciopero.

Alitalia
è appena agli inizi, la vertenza del personale dell'Alitalia contro 2.700 licenziamenti. Ma i lavoratori interessati, mettendo in atto forme di lotta molto dure, hanno fatto capire di cosa sono capaci se la società non ritornerà sui suoi passi e non aprirà una trattativa per salvare i posti di lavoro.

Scanzano
Un'altra vertenza che inoltre merita di essere ricordata, anche se il suo carattere è più politico che sindacale è senz'altro quella della popolazione di Scanzano e dell'intera Basilicata, con gli operai e i lavoratori in testa, contro il decreto del governo per creare nella cittadina jonica un'unica grande discarica delle scorie nucleari provenienti dalle centrali dismesse e da quelle derivanti da attività di ricerca. Una vertenza vinta! La sua importanza sta nell'aver dimostrato che se le masse si uniscono e lottano duramente e fino in fondo è possibile costringere il governo a ritornare sui suoi passi e annullare i provvedimenti presi.

LA CONTRORIFORMA SOCIALE DEL GOVERNO BERLUSCONI
Il merito, se così si può dire, del risveglio delle coscienze, sia pure a un certo livello, e dell'esplosione del conflitto sociale che ha contrassegnato il periodo in osservazione, è del governo del neoduce Berlusconi e della sua politica capitalista, neofascista, presidenzialista e federalista.
Il governo di "centro-destra'' del piduista di Arcore e dei vari Fini, Bossi, Follini e Buttiglione non solo persegue:
- una politica estera di stampo imperialista e guerrafondaia, vedi la presenza di militari in Iraq, in Afghanistan e nell'ex Jugoslavia, nel disprezzo più totale dell'art.11 della Costituzione che vieta all'Italia di partecipare a controverse militari fuori dai suoi confini;
- una politica di "riforme'' istituzionali e costituzionali volte a introdurre nel nostro Paese il presidenzialismo di tipo mussoliniano e la devolution secessionista, vedi il disegno di legge governativo che, in un'unica soluzione, contiene il cosiddetto premieriato "forte'', la cancellazione del "bicameralismo perfetto'' per trasformare il Senato in chiave federalista; la modifica della composizione dei membri della Corte costituzionale, accentuando la rappresentanza partitica; "la potestà legislativa esclusiva'' delle regioni su sanità, scuola, polizia locale e di ogni altra materia non espressamente riservata alla legislazione dello Stato, proprio come stava scritto nel "Piano di rinascita democratica'' della P2 di Gelli, Craxi e non per caso dello stesso di Berlusconi. Il quale adesso pretende i pieni poteri (come Mussolini) e un sistema elettivo che dia la maggioranza assoluta a FI (come la legge Acerbo che dette tutto il potere al Partito nazionalfascista).
- una politica sulla giustizia da regime fascista, caratterizzata dalle "leggi vergogna'' sul falso in bilancio, le rogatorie, lo scudo fiscale per il rientro dei capitali illecitamente esportati all'estero, la cancellazione delle tasse di successione, la Cirami sul legittimo sospetto e la Schifani per l'impunità delle più alte cariche dello Stato e dalla "riforma'' dell'ordine giudiziario per separare le carriere tra Pm e giudici, gerarchizzare le procure, pilotare le inchieste, impedire ai giudici l'iscrizione a partiti e ad associazioni, modificare la composizione del Csm e quindi cancellare l'autonomia e l'indipendenza della magistratura per sottometterla all'esecutivo.
Il governo Berlusconi persegue e attua una politica economica, sociale, fiscale, sul lavoro, scolastica, universitaria e ambientale ferocemente liberista, da capitalismo selvaggio, che hanno gravemente peggiorato le condizioni di vita e di lavoro della larghe masse popolari italiane mentre l'Italia è in recessione produttiva, l'inflazione sale, grandi aziende a carattere nazionale e internazionale vanno in rovina.
Buona parte di questa politica iperliberista-reaganiana proviene dal famoso libro nero di Maroni elaborato dal professore Marco Biagi, già consulente della Confindustria e estensore del documento programmatico (fotocopia) approvato dalla massima organizzazione del grande capitale, guidata dall'utraberlusconiano Antonio D'Amato, a Parma nel 2001. è il suddetto libro nero che ispira l'attacco all'art.18 dello "Statuto dei lavoratori'' per far affermare la libertà di licenziamento senza "giusta causa'', che ispira la totale liberalizzazione, precarizzazione e privatizzazione del "mercato del lavoro'', concretizzatasi poi con l'approvazione della legge 30/2003, è lo stesso libro che auspica un'ennesima controriforma previdenziale, formulata e sintetizzata nella legge delega così come risulta con l'emendamento governativo recentemente aggiunto, per superare in peggio la "riforma'' Dini, a partire dall'innalzamento dell'età pensionabile.
Accanto allo stravolgimento per legge di tutti i rapporti di lavoro all'insegna delle flessibilità e della precarietà, il ministro del welfare, con il conforto di Tremonti e dello stesso Berlusconi ha rimesso in discussione le relazioni sindacali e il sistema contrattuale in senso decisionista e neofascista. è scomparsa la concertazione, così come concepita nel patto sociale del '93, per far posto al cosiddetto "dialogo sociale'' dove l'esecutivo comunica alle "parti sociali'' le sue intenzioni sui temi di carattere economico, sociale e del lavoro, raccoglie i pareri, e poi procede autonomamente. Tutt'al più siglando accordi con coloro che condividono le scelte governative. è da questa filosofia che sono iniziati a fiorire gli accordi separati come il "patto per l'Italia'', usata anche per emarginare la Cgil e portare su un terreno filogovernativo Cisl e Uil. Una filosofia sposata da una parte del padronato come dimostra la firma separata del contratto nazionale nonostante il netto dissenso della Fiom e della maggioranza dei metalmeccanici. Una filosofia antidemocratica che stravolge e nega il diritto della rappresentanza sindacale.
Altri due capisaldi dell'offensiva governativa e confindustriale sono la cancellazione del contratto nazionale da sostituire con quelli regionali e l'ulteriore inasprimento dei vincoli previsti nella legge antisciopero.
Ma il governo Berlusconi ha scardinato da destra la stessa "politica dei redditi'' che ha portato a una progressiva perdita del potere d'acquisto dei salari e delle pensioni. Come? Imponendo nelle sue leggi finanziarie dei tetti d'inflazione programmata assai al di sotto di quella reale, non alzando un dito per calmierare i prezzi specie sui generi di prima necessità e per bloccare le tariffe pubbliche, opponendosi ad aumenti retributivi contrattuali nelle categorie del pubblico impiego che recuperino finanche le perdite dovute al caro vita, rifiutandosi di restituire ai lavoratori e ai pensionati il "fiscal-drag'' che per il solo 2003 ammonta a 900 milioni di euro.
E la situazione è destinata a peggiorare a mano a mano che entrerà in vigore la "riforma'' fiscale di Tremonti sull'Irpef (Imposta sulle retribuzioni delle persone fisiche) fondata su due soli scaglioni e relative aliquote (23% fino a 100 mila euro, 33% per i redditi superiori) che porterà alla cancellazione del principio dell'imposizione progressiva, regalando ben 11 punti percentuali a quello 0,5% di ricchissimi che volano oltre il primo scaglione di reddito e penalizzando i salari più bassi visto che nel sistema fiscale precedente la prima aliquota partiva dal 18%. A ciò si aggiunga lo sconto cospicuo che Tremonti ha previsto per le aziende abbassando progressivamente l'Iperg dal 36 al 33% per un valore totale di 4,5 miliardi di euro. Niente ai lavoratori e ai pensionati che continuano a fornire la maggior parte del gettito dello Stato e tutto ai padroni: questo è il succo della politica fiscale di Tremonti. Anche la trafila dei condoni e concordati fiscali e del condono edilizio rientra in questa logica.
Tutte le statistiche concordano nel dire che: negli ultimi 10 anni (cioè a partire dal famoso accordo del '93) si è verificata una perdita costante del poter d'acquisto dei salari; su di essi è aumentato il prelievo fiscale, specie se confrontato con quello del lavoro autonomo; il monte salari totale sul pil (prodotto interno lordo) è diminuito sensibilmente a favore dei profitti e delle rendite. Unitamente all'aumento del lavoro precario e del lavoro "nero'', alla riduzione dei livelli di assistenza e all'aumento della compartecipazione nel pagamento dei servizi sociali, le fasce di povertà sono cresciute in modo esponenziale, specie al Sud, trascinando anche coloro che hanno un lavoro fisso ma che devono mantenere una famiglia. La questione di forti adeguamenti salariali e pensionistici è diventata così sempre più centrale.
In Italia gli infortuni sul lavoro viaggiano sempre attorno al milione, di cui 1254 (dati del 2002) mortali. Nell'edilizia la situazione è grave. Sempre di più a farne le spese sono i lavoratori immigrati presenti in grande quantità in questo settore.
Per il governo Berlusconi "riformare'' il welfare significa demolire sistematicamente quello pubblico e privatizzare magari in modo strisciante e, per modo di dire, indolore. Una strategia questa che passa in buona sostanza attraverso la riduzione drastica dei trasferimenti alle Regioni agli enti locali ai quali ormai è affidato l'80% dei servizi socio-sanitari e dell'assistenza ai ceti più deboli. Questo è vero per la sanità pubblica che proprio a causa della mancanza di risorse deperisce a vista d'occhio e rischia il collasso. Se ne sono accorte anche le associazioni del personale medico che hanno programmato una manifestazione nazionale a Roma in difesa del Servizio sanitario nazionale (Ssn) per la metà di febbraio. Alla previdenza ho già accennato, c'è solo da aggiungere che se passasse la decontribuzione di 3-5 punti per i neoassunti i conti dell'Inps andrebbero a gambe all'aria, con conseguenze negative incalcolabili. Secondo una ricerca dello Spi-Cgil, considerate tutte e tre le finanziarie del "centro-destra'', la spesa sociale è scesa da 12 miliardi di euro a 6 miliardi nel 2002 e a soli 800 milioni nel 2003.
Il governo Berlusconi è contro le donne e contro la scienza. Per accontentare le gerarchie ecclesiastiche, ha fatto approvare in parlamento una legge clerico-fascista sulla fecondazione assistita piena di anacronistici e intollerabili divieti che, tra l'altro, rimette in discussione il diritto all'interruzione della gravidanza.
Altro che "nuovo boom economico'', come andava propagandando Berlusconi al momento del suo insediamento a Palazzo Chigi, con l'autorevole sostegno del presidente di Bankitalia Fazio. Lui dice che tutto va bene. Non è vero niente. L'economia va male. I conti dello Stato vanno male. L'occupazione va male. Il Mezzogiorno va male. I consumi vanno male. La scuola va male, grazie alla controriforma della Moratti a alla scarsità di finanziamenti pubblici. Per i piccoli risparmiatori va malissimo, dopo i crac finanziari giganteschi e verticali della Cirio di Sergio Cragnotti e della Parmalat di Calisto Tanzi con ben 14 miliardi di euro di indebitamento, crac maturati nell'illegalità e nella truffa reiterati e generalizzati. Proprio in questi giorni è esploso il caso della Finmatica di Pierluigi Crudele, una società di software con 1.000 dipendenti circa, i cui conti falsificati sono finiti in tribunale e i titolari agli arresti per aggiotaggio, false comunicazioni sociali e ostacolo alla vigilanza. Gravi e nette le responsabilità del governo, della Consob e della stessa Bankitalia.
Già 10 anni fa un colosso come la Montedison di Ferruzzi e Gardini aveva fatto la stessa fine. Il diffuso e abnorme indebitamento di moltissime aziende medie e grandi, a limite dell'insolvenza, ha fatto dire ad alcuni economisti che l'Argentina è vicina. Forse è una esagerazione, ma non poi così tanto. In effetti si potrebbe innescare un meccanismo di domino travolgendo così parti molto rilevanti del sistema industriale italiano. In questa fosca prospettiva, i primi a pagarne le conseguenze sarebbero i lavoratori, con la perdita del posto di lavoro e della fonte di reddito con cui sostengono le loro famiglie, rischiando di non percepire nemmeno la liquidazione, quella liquidazione che il governo vorrebbe scippare per alimentare i fondi di pensione privati.
Questo avviene perché, è stato scritto giustamente su "Il Bolscevico'', il capitalismo italiano è marcio, corrotto, senza scrupoli nella ricerca comunque sia del massimo profitto. L'alta finanza, le banche e i grandi potentati economici del sistema capitalistico sono in realtà una giungla popolata da pescecani pronti a tutto, sempre alla ricerca del massimo profitto e di nuovi mercati da sfruttare e derubano i piccoli risparmiatori investendo ingenti capitali in operazioni speculative ad altissimo rischio nei famigerati paradisi fiscali.
Qui è utile ricordare che anche la Fininvest, ora Mediaset, di proprietà del presidente del consiglio, che di investimenti nei paradisi fiscali e di bilanci falsi se ne intende assai, solo pochi anni fa di società off-shore ne aveva 64 e registrava un indebitamento tale (tra i 5 e gli 8 mila miliardi di lire) con le banche che poteva portare al fallimento. Evitato grazie alla benevolenza del "centro-sinistra'' che allora gli dette più che una mano per rimettersi in sesto e tornare a macinare profitti favolosi e a realizzare un quasi monopolio nel campo dei mezzi di comunicazione televisivi, editoriale e nella distribuzione cinematografica che, se fosse passata la legge anticostituzionale Gasparri, si sarebbe esteso e rafforzato enormemente.
E dire che c'è Pezzotta che propone di "rifondare il capitalismo in Italia per vedere se può vincere le sfide della globalizzazione''. Gli operai politicamente coscienti sanno, da Marx in poi, che il capitalismo strutturalmente è irriformabile e per creare una nuova società, senza padroni che rubino lavoro (e soldi altrui), occorre il socialismo.

IL RUOLO DELLA FIOM E DELLA CGIL
Alla testa delle lotte sindacali di cui abbiamo parlato sopra, oggettivamente si sono messe la Fiom di Claudio Sabbatini, poi sostituito da Gianni Rinaldini e la Cgil di Sergio Cofferati, poi sostituito da Guglielmo Epifani. Questo è avvenuto dal XIV Congresso, sul quale ci torneremo più avanti. Le ragioni possono essere queste: le pressioni esercitate nei luoghi di lavoro e dalla base sindacale a scendere in lotta per contrastare l'attacco crescente e generalizzato del governo e della Confindustria ai diritti fondamentali dei lavoratori, pressioni che devi raccogliere e gestire altrimenti ti scavalcano e trovano un'altra rappresentanza fuori dai sindacati confederali, come la vertenza dei tranvieri e quella del personale dell'Alitalia stanno a dimostrare; la strategia di Berlusconi e dei suoi ministri tendente a isolare e ridimensionare la Cgil, trovando in questo la sponda della Cisl e in misura minore della Uil.
La prima a reagire e a influenzare le scelte dell'intera Cgil fu la Fiom. Lo fece in occasione del rinnovo del contratto nazionale non accettando di presentare una piattaforma al ribasso e pretendendo da Fim e Uilm il rispetto delle regole della democrazia sindacale. Lo fece nel suo congresso nazionale invocando un'opposizione più dura, utilizzando anche lo sciopero generale, verso il governo Berlusconi, prendendo atto che il metodo della concertazione era superata nei fatti, la "politica dei redditi'' andava rivista perché non aveva garantito la difesa del potere d'acquisto dei salari, e occorreva mettere in essere iniziative di contrasto alla precarizzazione cresciuta a dismisura.
Al Congresso nazionale della confederazione, tenuto conto di quanto era successo nel congresso della Fiom, tenuto conto che nel frattempo la sinistra sindacale si era riunita attorno all'area programmatica "Lavoro e Società-cambiare rotta'' che aveva presentato un suo documento "alternativo'' a quello della maggioranza espressione del segretario generale, tenuto conto quanto stava succedendo nel Paese, Cofferati fece un'abile mossa tattica che gli permise di chiudere l'Assise con voto unanime e di ottenere la sua rielezione con un consenso plebiscitario. Questa mossa tattica consistette nel tirare un po' a sinistra i contenuti della linea congressuale, rispetto a quella iniziale largamente criticata durante i congressi di base e territoriali, senza modificare sostanzialmente, attenzione, la strategia riformista di fondo, nel correggere il giudizio sul movimento no-global e nel realizzare un'alleanza tra i sindacalisti facenti capo al Correntone DS a cui lo stesso Cofferati aveva aderito, e con i vari Gian Paolo Patta e Giorgio Cremaschi leader delle correnti sindacali facenti capo al PdCI di Cossutta e Diliberto e al PRC di Bertinotti.
Con un occhio al suo futuro politico, una volta scaduto il suo mandato sindacale, Cofferati pensò bene di riempire il vuoto venutosi a creare nella direzione dell'opposizione sociale e della lotta. La battaglia in difesa dell'art.18 che riscuoteva un'adesione di massa, oltre i confini del mondo del lavoro, fu colta al volo per iniziare un cammino giunto fino ai nostri giorni; passando dalla grandiosa manifestazione del marzo 2002, dall'opposizione al "patto per l'Italia'', al libro nero di Maroni e alla successiva legge 30 sul "mercato del lavoro'' dalla proclamazione di alcuni scioperi generali senza la Cisl e la Uil contro la politica economica e sociale governativa definita neoliberista e populista.
Salito alla segreteria generale Epifani, il delfino designato di Cofferati, Epifani, la Cgil ha proseguito tutto sommato la strada intrapresa: lo dimostra la decisione di votare sì nel referendum per l'applicazione dell'art.18 anche nelle aziende sotto i 15 dipendenti, gli scioperi generali in questi casi unitari, dell'ottobre e del dicembre 2003, il rifiuto di trattare col governo sul welfare in assenza del ritiro della delega sulle pensioni. A proposito del referendun sull'art.18 è bene ricordare che Cofferati si schierò con la parte che dette l'indicazione di non votare per farlo fallire, che comprendeva partiti del "centro-sinistra'' e partiti del "centro-destra'' oltre che Cisl e Uil. Si trattò di un tradimento in piena regola.
La scelta della Cgil alla mobilitazione e alla lotta contro la politica del governo e le posizioni oltranziste della Confindustria, pur con una piattaforma rivendicatica non adeguata, ha ricevuto il consenso della maggioranza dei lavoratori e dei pensionati. Ciò appare evidente dalle adesioni agli scioperi e alle manifestazioni, ma anche dalla consistente crescita degli iscritti e dai risultati positivi ottenuti nelle elezioni delle Rsu nella fabbriche metalmeccaniche e nella scuola, per citare due esempi.
Ma gli equilibri usciti dal congresso sono sempre più precari e prossimi alla rottura, nel gruppo dirigente le acque si stanno agitando. è almeno dal referendum sull'art.18 che una fronda di destra sviluppa un dissenso crescente, organizzando convegni e dibattiti pubblici alla ricerca di consensi dentro e fuori la Cgil. Si autodefiniscono riformisti e dicono di volere una Cgil riformista, come se quella attuale non lo fosse. I leader sono Agostino Megale (presidente dell'Ires), Antonio Panzeri (ex segretario della Camera del lavoro di Milano), Aldo Amoretti (presidente dell'Inca), Giorgio Roilo, attuale segretario milanese della Cgil e Riccardo Terzi. Con altri 49 dirigenti hanno elaborato un documento dal titolo: "Per una nuova fase del sindacato confederale in Italia'' che da destra critica la segreteria Epifani per riavvicinarsi a Cisl e Uil e riprendere con loro un rapporto di unità e di collaborazione.
Una delle parole più usate da costoro nel suddetto documento è "risindacalizzazione'' per contrastare, a loro dire, una presunta deriva di pansindacalismo della Cgil. Con questo documento hanno organizzato nel settembre 2002 un'assemblea a Roma a cui avrebbero partecipato 600 persone. Un'altra iniziativa, per discutere sul rapporto tra il sindacato e il riformismo, l'hanno realizzata nel dicembre scorso con la presenza di sindacalisti giudicati cofferatiani, come Giuseppe Casadio e Achille Passoni, ambedue della segreteria nazionale della Cgil, e di sindacalisti di Cisl e Uil ritenuti sensibili a questo tipo di discorso come Giorgio Santini e Paolo Pirani. In tutto questo, c'è da scommetterci, c'è lo zampino dei DS dalemiani, dei socialisti di Boselli e della Margherita che pensano alle scadenze elettorali, prima europee e amministrative, e poi politiche, hanno bisogno di una Cgil più "centrista'', più malleabile e più consona a un eventuale nuovo governo di "centro-sinistra''.
Un'operazione simile è in atto nella Fiom. Il capofila è l'ex segretario della Camera del lavoro di Firenze, Riccardo Nencini. Ma sarà dura per la destra passare. Lo si è visto nell'assemblea nazionale dei delegati che si è svolta il 15 gennaio a Riccione. Dove con chiarezza è stato posta l'esigenza di un congresso straordinario per sancire una correzione di rotta nella strategia sindacale sui temi che sono all'ordine del giorno, a partire dal superamento, da sinistra, del "patto sociale'' del 23 luglio '93 ed è stata rilanciata la lotta contro il governo. Se "non ritira la delega previdenziale - ha detto il segretario generale della Fiom - ci vuole lo sciopero generale, anche se Cisl e Uil non ci stanno''.

"LAVORO SOCIETA''', "ECCOCI'', "FARE SINDACATO''
Uno scompaginamento è in corso nella sinistra sindacale della Cgil, riunitasi al tempo del XIV congresso attorno all'area programmatica "Lavoro Società-cambiare rotta''. Ferruccio Danini e Carlo Baldini, membri del direttivo nazionale della Cgil, a metà dicembre hanno attuato, ufficialmente e pubblicamente, una scissione da "Lavoro Società'' per creare, asseriscono, "una nuova aggregazione di sinistra in Cgil'' che hanno chiamato "Eccoci''.
Tale scissione è stata formalizzata agli organi dirigenti della Confederazione e motivata con un documento dove sono sintetizzate le ragioni della rottura. Ragioni che fanno risalire al giugno del 2002, "per aver tradito - dicono - lo spirito unitario con il quale andammo al Congresso a Rimini come aggregazione ampia e plurale della sinistra''.
Danini e Baldini sostengono che dopo il congresso, nella formazione degli organi dirigenti l'"Area dei comunisti'' facente capo al PRC "fu penalizzata e mortificata''. In parole povere non ottenne i posti di potere che, secondo loro, spettava. è nota la polemica sollevata a suo tempo da Danini, lasciato fuori dalla segreteria nazionale e senza che gli fosse assegnato un ruolo di primo piano almeno in una categoria.
Leggendo il suddetto documento di rottura non si trovano però differenze sostanziali rispetto alle posizioni portate avanti dagli attuali leader di quest'area sindacale che sono Patta e Cremaschi. Una cosa vera però la scrivono e cioè che "Lavoro Società'' non esprime più nessuna posizione di sinistra in Cgil''.
Questo giudizio che condividiamo al cento per cento, noi abbiamo iniziato a maturarlo a seguito delle conclusione dell'ultimo congresso della Cgil allorché Patta e gli altri che guidavano "Lavoro Società'', tra cui lo stesso Danini, accettarono di ritirare il documento congressuale "alternativo'' e di votarne un altro unitario proposto da Cofferati; e lo abbiamo rafforzato successivamente. Dopo il congresso e dopo aver ottenuto posti nella segreteria e nel direttivo nazionali, "Lavoro Società'' ha proseguito ad esistere solo formalmente senza fare più niente di serio e significativo. Ha cioè smesso di vivere e operare pubblicamente come sinistra sindacale in Cgil. I suoi leader si sono allineati e appiattiti con la segreteria Cofferati prima e con quella di Epifani poi.
In una delle pochissime iniziative assunte, segnatamente il seminario nazionale del 12-13 settembre 2003 a Roma, nella sua relazione introduttiva Paola Agnello, della segreteria nazionale della Cgil, afferma che: "Con il XIV Congresso e le seguenti iniziative di lotta che sono seguite la Cgil ha compiuto una svolta rispetto alle politiche degli anni '90. Le conclusione unitarie del congresso che come Area abbiamo fortemente voluto sono state la premessa di questo cambiamento di rotta''. "Per noi - aggiunge in modo stupefacente - gli ultimi due anni e la situazione attuale riconfermano la giustezza delle conclusioni del XIV Congresso e dalle vicende post congressuali e si rafforza l'utilità, anzi la necessità per la Cgil, della permanenza dell'Area di Lavoro Società sulla quale gravano nuove e più importanti responsabilità''. E alla fine chiarisce la deriva opportunista a cui è approdata "Lavoro Società'' con le seguenti parole: "Con il XIV Congresso si è conclusa - dice - l'azione svolta precedentemente per far valere una posizione di minoranza; l'assunzione sostanziale da parte di tutta la Cgil di gran parte delle nostre proposte modifica il nostro ruolo nella direzione di essere i garanti ed i custodi della svolta operata''.
Ecco come si spiega che i leader nazionali di "Lavoro Società'' abbiano appoggiato tutte le scelte del gruppo dirigente della Cgil, anche quelle meno accettabili, quando per niente condivisibili. Non hanno fiatato davanti alla chiusura di contratti nazionali di lavoro, specie quelli del pubblico impiego, seguito proprio da Patta come responsabile confederale. Non hanno fatto sentire una voce critica allorché sono state definite piattaforme rivendicative o proposte più generali sui temi del welfare. Costoro hanno scambiato, forse volutamente e per opportunismo personale, una svolta puramente tattica di Cofferati ed Epifani dettata dalla contingenza politica, per una svolta strategica. è un inganno grosso come una casa sostenere che il rinnovamento sindacale, sul piano della strategia, della politica rivendicativa e soprattutto sul modello di sindacato, per cui tanti delegati e lavoratori hanno lottato e per cui si battono ancora oggi, sia già avvenuto.
Non ci fu vera svolta. La Cgil uscita dal congresso nella sostanza rimase quella di prima, abbarbicata alla concertazione, alla "politica dei redditi'', al riformismo, al libero mercato, alle regole del capitalismo.
Il 19 dicembre dello scorso anno, con una lettera alla Segreteria e al Direttivo nazionale della Cgil, un gruppo di dieci sindacalisti, prevalentemente lombardi, non conosciuti nazionalmente, inseriti nei direttivi regionali e comprensoriali, hanno dato vita a una nuova "Area programmatica sinistra Cgil'' che hanno chiamato "Fare sindacato''. Nella lettera indirizzata a Epifani e nel documento di costituzione non si comprendono, perché non sono esplicitate le ragioni precise dell'iniziativa. Oltre a un discorso piuttosto generico sull'attuale situazione sindacale, per dire non c'è nessun riferimento al governo Berlusconi, e a rivendicazioni alcune delle quali di matrice riformista, si trova il proposito di fare della Cgil "un sindacato confederale, di classe, pluralista e democratico, autonomo da partiti, padroni, governo''. Allo stato non sappiamo che seguito ha e se è legata a qualche partito della "sinistra'' parlamentare.

LA STRATEGIA E LA TATTICA SINDACALI DEL PMLI
Noi del PMLI ci siamo comportati ben diversamente. Senza tentennare e senza sbandamenti abbiamo tenuta ben ferma la nostra strategia sindacale fissata nel 4° Congresso del Partito. E, come è giusto che fosse, abbiamo adeguato la tattica al momento di affrontare la battaglia congressuale della Cgil e successivamente nel corso del biennio di lotta alla quale abbiamo partecipato in prima fila come PMLI e come sindacaliste e sindacalisti che ad esso fanno riferimento.
"La nostra proposta sindacale (...) è quella di costruire dal basso una grande sindacato delle lavoratrici e dei lavoratori (SLL) - si legge nel Programma d'azione del PMLI - fondato sulla democrazia diretta e sul potere sindacale e contrattuale delle Assemblee generali dei lavoratori.
Questa proposta - continua - si è resa necessaria dal momento che non è più possibile battersi nella Cgil per conquistarne la direzione e cambiarne la linea politica e sindacale (...)''. Essendosi essa completamente integrata nel capitalismo dal XII Congresso che si tenne nel '91, in poi. Allora guidata da Bruno Trentin e che noi denunciammo prontamente: "La Cgil cambia pelle - scrivemmo - Trentin rinnega il passato e la centralità operaia per la `persona che lavora'. Coodeterminazione, `politica dei redditi' e adesione alla Cisl internazionale, sono i termini della svolta da sindacato di regime neofascista''. Fu una svolta radicalmente a destra che in qualche modo replicava e portava a compimento quella impressa dal super destro Luciano Lama nel 1978 con la linea dell'Eur.
La Cgil divenne, pertanto, un sindacato borghese, liberale, filogovernativo e filopadronale alla stessa stregua della Cisl e della Uil. Si fece complice di accordi di stampo neoliberale, neocorporativo e neofascista quali quelli sul "costo del lavoro'' del '92 (1° governo Amato), sulla "politica dei redditi'' del '93 (governo Ciampi), sulle pensioni del '95 (governo Dini), sullo "stato sociale'' e le pensioni del '97 (governo Prodi) e sul "patto sociale'' di natale del '98 (1° governo D'Alema) che comprendeva anche il "pacchetto Treu'' per la liberalizzazione del "mercato del lavoro''. Contribuì, per la parte economica e sociale all'affermarsi della seconda repubblica.
Ma riprendendo il discorso sul sindacato delle lavoratrici e dei lavoratori. "è una proposta sindacale di carattere strategico - specifica il Programma d'azione - che potrà realizzarsi solo se la maggioranza degli operai e dei lavoratori la faranno propria (...). Pertanto finché non nascerà l'SLL e sarà possibile e utile continueremo a privilegiare il lavoro sindacale all'interno della Cgil rispetto ai sindacati che si collocano alla sua sinistra''. Senza scartare a priori un scelta diversa se ciò risulta più vantaggioso in base ai nostri obiettivi immediati e strategici. Perseguendo in ogni caso l'indicazione di promuovere la Corrente sindacale di classe (CSC), composta dai lavoratori marxisti-leninisti e da quelli simpatizzanti del PMLI dovunque organizzati sindacalmente.
Con alle spalle questa analisi e questa strategia sindacale il Partito mise a punto una linea e una tattica per affrontare la battaglia congressuale Cgil in tutte le sue fasi: quella preparatoria, quella dei congressi di base, quella dell'assise nazionale e il giudizio su di essa. Che furono sintetizzati i particolare negli articoli pubblicati su "Il Bolscevico'' e che portavano i seguenti titoli: "Riflessioni sulla sinistra sindacale in Cgil e il congresso della Cgil - Cambiare la Cgil o creare un grande sindacato delle lavoratrici e dei lavoratori? - Per il congresso facciamo fronte unito per battere la destra cofferatiana'' (n.12/2001). Ancora: "XIV congresso nazionale della Cgil - Il nostro contributo critico e di proposta al documento della sinistra sindacale'' (n.13/2001). E inoltre: "Votare contro il documento Cofferati per dare una radicale svolta a sinistra alla strategia e alla linea sindacale della Cgil'' (n.40/2002). Infine: "Al XIV congresso nazionale - Cofferati riconferma il riformismo, la politica dei redditi e la concertazione della Cgil. `Lavoro Società' non cambia rotta e converge sulla destra della Cgil'' (n.8/2002).
Pur rappresentando solo un piccolo drappello, le nostre compagne e compagni agirono di fatto come Corrente sindacale di classe e operarono con successo nei congressi di categoria dove erano presenti (metalmeccanici, chimici, edili, sanità, funzione pubblica, università, scuola, postelegrafonici, commercio, lavoratori agricoli, pensionati) e in quelli confederali territoriali facendosi notare nel dibattito con interventi molto qualificati e con proposte di ordini del giorno, riuscendo anche a farsi eleggere nei direttivi comprensoriali di categoria, nei settori dell'industria, del commercio e del pubblico impiego.
Come si è ben capito, il nostro giudizio su coloro che egemonizzavano "Lavoro Società'' fu negativo non solo per come avevano condotto e concluso il congresso nazionale ma anche per come ne formalizzarono successivamente la conferma, in modo verticistico, senza nessuna discussione preventiva per definire i livelli di rappresentanza e le modalità di lavoro. Tuttavia, considerando l'esperienza fatta in modo positivo, costatando che lavorando all'interno di quest'Area la nostra azione era risultata più efficace per raggiungere obiettivi altrimenti non alla nostra portata con le sole nostre forze, si decise di confermare l'adesione a "Lavoro Società''.
Nonostante la nostra buona volontà a praticare un corretto rapporto di fronte unito, l'inserimento dei nostri sindacalisti in "Lavoro Società'', salvo casi sporadici, non è stato mai favorito dalle altre componenti che egemonizzano l'Area. Si è fatto quello che si è potuto. Ma il rapporto di forza troppo sfavorevole e la mancanza di nostri rappresentanti nei posti dirigenti a livello nazionale e locale, ci ha impedito di incidere sulla linea e sulle scelte organizzative. In sede di bilancio, il nostro giudizio su di essa non può non essere che più critico e negativo.
"Lavoro Società'' non rappresenta più tutta la sinistra sindacale in Cgil né sul piano politico né su quello organizzativo. Questo spiega perché tanti lavoratori, specie nei settori del pubblico impiego e dei servizi, da sinistra se ne sono andati dalla Confederazione organizzandosi nei sindacati non confederali. Per quanto ci riguarda il problema è puramente tattico, come lo fu al tempo che decidemmo di aderirvi. Ogni militante e simpatizzante del PMLI impegnato sindacalmente, sulla base di una analisi specifica della situazione in cui opera, deve valutare se vi sono le condizioni e le convenienze per continuare a lavorare nella suddetta Area sindacale; oppure se sia più opportuno uscirne.

L'IMPORTANZA DELLA TATTICA
Ripeto, la tattica è molto importante per dare forza alla strategia e per favorirne l'affermazione. Proprio tenendo conto di una tattica più consona agli avvenimenti non abbiamo avuto remore ad appoggiare certe scelte del gruppo dirigente della Cgil. Ad esempio quando si è posto in difesa dell'art.18 e ha contestato il libro nero di Maroni e non ha firmato "il patto per l'Italia'', quando ha promosso iniziative di lotta anche da solo contro la politica e economica e sociale del governo Berlusconi, quando la Fiom contro l'accordo separato ha preteso un contratto vero, quando ha criticato la guerra all'Iraq e chiesto il ritiro del contingente militare italiano. Mentre nel passato aveva appoggiato la guerra contro la Repubblica Jugoslava e assunto una debole posizione in quella contro l'Afghanistan. Lo abbiamo anche difeso dalle infami e mistificatorie accuse governative di favorire il terrorismo.
Ma questo senza mai rinunciare a criticare le posizioni non condivisibili, senza mai illudersi di essere davanti a una svolta strategica di sinistra del vertice della Cgil, senza mai rinunciare a lanciare le nostre parole d'ordine, le nostre rivendicazioni e soprattutto la battaglia per il sindacato delle lavoratrici e dei lavoratori. Il sostegno dato ai tranvieri in lotta e la critica al contratto bidone firmato dai confederali, compresa la Cgil, così come la richiesta dell'abolizione della legge antisciopero nei pubblici servizi sono una testimonianza lampante. Dobbiamo sapere che in qualsiasi momento, data la sua natura riformista, il vertice nazionale della Cgil può cedere e abbandonare la lotta, può mettersi a sedere col governo e firmare delle intese non accettabili, per esempio sul welfare, gli ammortizzatori sociali e altro ancora
Noi comunque, rimanendo valide le valutazioni di fondo fatte al 4° Congresso nazionale del PMLI, continuiamo a privilegiare il lavoro sindacale all'interno della Cgil. Gli scopi principali di questo lavoro sono: sul piano politico portare avanti la linea e le rivendicazioni del sindacato delle lavoratrici e dei lavoratori, sul piano organizzativo riunire tutta la sinistra sindacale dentro e fuori la Cgil nella Corrente sindacale di classe. In base a questi due scopi principali dobbiamo regolare l'atteggiamento e il rapporto da tenere con le altre Aree che (dicono) di essere parte della sinistra sindacale all'interno della Confederazione, cioè "Lavoro Società'', "Eccoci'' e "Fare sindacato'' e con quelle che fanno riferimento ai sindacati non confederali. Questo atteggiamento comprende anche l'applicazione di una corretta politica di fronte unito su obiettivi concreti e battaglie specifiche e l'opportunità o meno di far parte di uno dei suddetti raggruppamenti. Si tratta di valutare caso per caso, zona per zona, categoria per categoria.
Quando parliamo di sindacati non confederali che stanno alla sinistra della Cgil ci riferiamo a quella galassia che raggruppa il cosiddetto "sindacalismo di base'', proliferato in larga parte negli anni '90 a seguito dell'istituzionalizzazione e della subordirdinazione dei sindacali confederali, e che ha le maggiori organizzazioni nello Slai-Cobas, nel SinCobas, nella Cub, nel Coordinamento Cobas (della scuola), nel neonato Sult attivo nel settore dei trasporti aereo, ferroviario e metropolitano. In totale si parla di 600 mila iscritti. Costoro portano avanti delle piattaforme rivendicative non lontane da quelle che proponiamo noi. Ma in quanto a strategia sindacale la diversità è marcata e sostanziale. E poi, non di rado sono guidati da elementi di stampo anarchico o trotzkista, dunque antimarxista-leninista.

I PRIMI DUE ANNI D'ORO
Penso di poter dire che abbiamo speso bene i primi due dei cinque anni d'oro, di cui parlò il nostro Segretario generale nella 3a sessione plenaria del CC del PMLI, che la situazione politica e sociale ci offre per sviluppare e far affermare l'azione del Partito, anche nel campo operaio e sindacale. Considerate le sue ancora esigue forze, senza risparmiare energie e sacrifici ha fatto cose straordinarie: in campo giornalistico, nell'elaborazione di documenti e nella presenza nelle piazze. Non vi è argomento economico, sociale e sindacale che non sia stato trattato tempestivamente e in modo approfondito che si parli di pensioni, welfare, fisco, sanità, scuola, contratti di lavoro, salari, "mercato del lavoro'', crisi aziendali, occupazione, Mezzogiorno, condizioni di vita e di lavoro delle masse, comprese quelle femminili, immigrazione, informazione, diritto di sciopero, temi ambientali e altro ancora.
Non c'è stata scadenza di lotta di importanza nazionale dove siano mancate le nostre parole d'ordine e le nostre proposte rivendicative. E in molte, per non dire moltissime, manifestazioni sindacali il Partito è stato presente con le sue bandiere e i suoi simboli. E là dove vi sono le condizioni le istanze di base del Partito hanno fatto un ottimo lavoro a sostegno delle lotte operaie che si sono svolte o sono in atto sul territorio di competenza.
Questo ha portato a migliorare l'immagine del Partito agli occhi degli operai, dei lavoratori, dei pensionati e dei giovani, a migliorare il rapporto politico in generale tra noi e loro, così da percepire la coerenza, la combattività e la linea di avanguardia che il PMLI esprime. Il caso della Fiat di Termini Imerese è indicativo in questo senso. Tuttavia questo progresso non ha portato ancora a ricadute significative nella conquista degli operai, dei lavoratori e dei pensionati più avanzati alla linea sindacale del Partito, non sono così maturate le condizioni per creare organizzativamente la CSC e la nostra influenza sindacale è tuttora ancora debole. Questo ci spinge per i prossimi tre anni d'oro a moltiplicare gli sforzi nella strada intrapresa per migliorare ulteriormente il nostro lavoro, più che altro sul piano della qualità, per far maturare ancor di più la situazione a nostro favore. è uno sforzo che riguarda tutto il Partito, dal Centro alla base, ognuno secondo i compiti che gli sono stati assegnati. è uno sforzo che riguarda la linea di massa e in misura maggiore il lavoro sindacale, e comporta una crescita politica e di specializzazione, un corretto stile di lavoro, una corretta centralizzazione.
Anche per il lavoro operaio e sindacale è centrale la parola d'ordine lanciata al 4° Congresso che recita: "Studiare, concentrarsi sulle priorità, radicarsi; radicarsi, concentrarsi sulle priorità, studiare''. Questo perché senza studio si naviga a vista; senza concentrarsi sulle priorità non si sa dove andare e si gira a vuoto; senza radicarsi è come se fossimo degli apolidi, della gente estranea al proprio ambiente.
Applicando questa parola d'ordine al campo di attività che stiamo trattando, direi che significa avvalersi del marxismo-leninismo-pensiero di Mao per fare bene la lotta di classe in generale e la lotta sindacale in particolare; conoscere approfonditamente la linea di massa e la linea sindacale del Partito per saperla applicare in modo efficace e incisivo nella realtà in cui si opera; alla luce di questi due aspetti risolvere al meglio le questioni concrete specifiche di carattere sindacale e che riguardano le masse operaie, lavoratrici, giovanili e anziane.
Più concretamente significa conoscere e assimilare approfonditamente: la proposta sindacale generale e strategica del Partito relativa al sindacato delle lavoratrici e di lavoratori e alla creazione della CSC; il Programma d'azione de PMLI, in relazione alle tematiche economiche, sociali, contrattuali e sindacali; gli 8 insegnamenti sindacali del PMLI; i 4 obiettivi strategici del lavoro di massa e i 4 insegnamenti della lotta delle masse; le cinque raccomandazioni, lanciate da Scuderi, per fare un buon lavoro sindacale marxista-leninista; i documenti del CC dell'UP e della CdM in campo economico, sociale e sindacale; le analisi e le denunce che "Il Bolscevico'' tratta su questi temi di volta in volta.
Non posso ovviamente qui citare nel dettaglio questi documenti e questi insegnamenti, spetta ad ognuno di noi tornarci sopra ogni qualvolta necessiti. Tuttavia in questo contesto mi preme evidenziare alcune indicazioni fondamentali, e cioè:
1) Migliorare la propria formazione politica generale e competenza sindacale specifica.
2) Lavorare instancabilmente e abilmente per allargare la nostra base sindacale, specie tra gli operai dell'industria.
3) Intessere rapporti sempre più stretti con gli operai, i lavoratori e i pensionati avanzati e combattivi al fine di creare la Corrente sindacale di classe.
4) Praticare una corretta e intelligente politica di fronte unito con i lavoratori e con chiunque da sinistra contesti e si opponga alla destra sindacale.
5) Soddisfare le esigenze delle masse da noi organizzate e acuire le contraddizioni tra esse e le istituzioni borghesi e il partito revisionista.
6) Elevare incessantemente la loro coscienza politica e il loro grado di combattività e attirare delle simpatie e nuovi militanti verso il nostro Partito.
E ancora:
7) Mettere sempre al primo posto la politica proletaria rivoluzionaria e marxista-leninista.
8) Rispettare sempre la direzione del Partito e il centralismo democratico.
9) Non montarsi la testa di fronte a dei successi.
10) Non cadere nell'individualismo.
11) Non usare gli stessi metodi dei falsi capi operai.

COSA CHIEDIAMO AI NOSTRI SINDACALISTI
Queste indicazioni e questi insegnamenti valgono per le istanze del Partito e per le compagne e i compagni presenti nei luoghi di lavoro e nelle strutture sindacali.
Alle prime chiediamo, in base alle priorità e alle caratteristiche della realtà di loro competenza, un'attenzione maggiore nel campo operaio e sindacale e un lavoro più sistematico per gli interventi di primo livello ossia di Partito, e nella direzione dei propri militanti e simpatizzanti sindacalisti. Ai secondi chiediamo di prendere coscienza fino in fondo dell'importanza di prima grandezza del lavoro sindacale che svolgono, gli chiediamo un vero e proprio salto di qualità nell'impegno personale che deve essere quotidiano, nelle competenze specifiche, nella centralizzazione col Partito, nell'elaborazione di esperienze vissute come contributo da generalizzare a tutto il Partito.
Per fare degli esempi: ogni compagno sindacalista deve studiare e conoscere i problemi del proprio luogo di lavoro, il contratto di lavoro, le posizioni e i dirigenti del padronato e dei sindacati confederali e non di categoria di cui si fa parte, deve sapere esattamente da chi sono rappresentate le componenti all'interno della Cgil, a livello locale e se possibile anche a livello nazionale. Ogni categoria ha una sua specificità e talvolta all'interno della stessa categoria vi sono ulteriori specificità che i compagni interessati devono conoscere.
Senza di che non possono svolgere un ruolo di avanguardia e sono condannati a seguire la corrente.
Noi dobbiamo aiutare i nostri sindacalisti a evitare di vivere l'attività sindacale nei luoghi di lavoro e nelle strutture sindacali come un fatto personale e individuale che non riguarda la militanza di Partito; dobbiamo aiutarli a combattere la passività e la routine, a essere attivi e propositivi, dobbiamo aiutarli a essere degli agitatori, degli organizzatori, dei leader delle lavoratrici e dei lavoratori. Dei punti di riferimento per gli elementi più coscienti e combattivi insieme ai quali costruire progressivamente la nostra base sindacale, ossia la Corrente sindacale di classe. In quei luoghi di lavoro e in quelle strutture sindacali dove si creano condizioni favorevoli dobbiamo proporre liste della Corrente sindacale di classe e se elette formalizzarle davanti ai gruppi dirigenti.

UTILIZZIAMO BENE GLI ALTRI TRE ANNI D'ORO
Le condizioni per sviluppare il lavoro sindacale sono e rimarranno favorevoli almeno fino alla scadenza delle elezioni politiche, a meno che il governo Berlusconi non cada prima. I problemi sui quali dovrebbe proseguire la mobilitazione dei lavoratori sono tanti: la controriforma delle pensioni, i tagli ai servizi sociali che derivano dalla Finanziaria, la mancanza di fondi alla sanità pubblica, le crisi aziendali, perdita di posti di lavoro e la precarizzazione di tutti i contratti di assunzione, il costo della vita e la questione salariale sempre più pressante, il Mezzogiorno attanagliato dal sottosviluppo e dalla mafia, la difesa del diritto di sciopero. I rinnovi contrattuali che interessano 6 milioni di lavoratori. Le vertenze dei tranvieri e del personale Alitalia. Senza dimenticare il ritiro del contingente militare dall'Iraq e dall'Afghanistan, la lotta del personale della scuola e degli studenti contro la "riforma'' Moratti, l'agitazione dei giudici contro la "riforma'' Castelli che potrebbe sfociare in uno sciopero nazionale.
In tutte queste vicende non dobbiamo far mancare, e non le faremo mancare, la voce e la presenza del Partito con la sua denuncia politica, con le sue parole d'ordine e con le sue proposte rivendicative.
Noi vogliamo il ritiro delle legge delega sulle pensioni, l'abrogazione della "riforma'' Dini e successive modificazioni e l'aumento delle pensioni più basse per portarle almeno sopra i 516 euro mensili netti. Ci battiamo per un sistema pensionistico pubblico, universale, unificato, a ripartizione, fondato sulla contribuzione obbligatoria e con una tassa sui profitti dei capitalisti.
Vogliamo l'abolizione della "politica dei redditi'' e conseguenti forti aumenti salariali che devono essere tutelati dall'inflazione con il ripristino della scala mobile. In questo contesto va difeso anche il sistema contrattuale basato sul contratto nazionale e la contrattazione decentrata e aziendale. Va richiesto anche il blocco dei prezzi dei generi di prima necessità e delle tariffe dei servizi pubblici.
Vogliamo che siano impediti ulteriori inasprimenti alla legge che regola il diritto di sciopero nei servizi pubblici "essenziali'' che invece deve essere abolita.
Respingiamo totalmente la "riforma'' Tremonti sul fisco, ivi compresi i condoni, e vogliamo che siano abbassate le tasse ai lavoratori con redditi medio-bassi e siano invece aumentate ai ricchi e ai possessori di rendite e patrimoni. E che riprenda con decisione la lotta all'evasione e all'elusione fiscale e contributiva.
Vogliamo l'abrogazione della legge n.30 e un'azione sindacale e contrattuale più decisa e coerente per combattere la precarizzazione del lavoro e il lavoro "nero''.
Vogliamo che la spesa sociale e assistenziale dello Stato non sia tagliata ma aumentata, almeno ai livelli della media europea.
Vogliamo la difesa del servizio sanitario nazionale che il ministro Sirchia sta demolendo e privatizzando pezzo per pezzo. La sanità a cui aspiriamo è ben differente da quella disegnata dalla "riforma'' Bindi e dai suoi predecessori: deve essere pubblica, universale, gratuita, gestita con la partecipazione diretta dei lavoratori e delle masse popolari.
Vogliamo che al Mezzogiorno siano assegnati sufficienti finanziamenti per adeguare le infrastrutture, non certo per costruire il ponte di Messina, per fermare la deindustrializzazione e rilanciare l'apparato produttivo e l'occupazione, per migliorare la vita economica, sociale e culturale nelle città.
Vogliamo provvedimenti seri che abbassino gli affitti delle case e allo stesso tempo rilancino la costruzione di edilizia popolare.
Vogliamo che la "riforma'' Moratti sia affossata.
Vogliamo una scuola e un'università pubbliche, gratuite e governate dalle studentesse e dagli studenti.
Vogliamo l'abrogazione della "riforma'' Bossi-Fini sull'immigrazione, la chiusura dei Cpt, veri e propri lager, per i migranti e le loro famiglie chiediamo pari diritti politici, civili e sociali.
Vogliamo che la legge fascista e forcaiola proposta da Fini sulle tossicodipendenze finisca nell'immondizia.
Vogliamo il ritiro dei militari italiani ovunque si trovino e il rispetto dell'art.11 della Costituzione e difendiamo l'autonomia e l'indipendenza della magistratura che la "riforma'' Castelli intende cancellare. Avversiamo totalmente le controriforme istituzionali costituzionali presidenzialiste e federaliste. Lo stesso vale per la legge medievale e antifemminile sulla fecondazione assistita.
Ci uniamo alla Fiom nel chiedere uno sciopero generale nazionale contro il governo, anche indetto dalla sola Cgil, se Cisl e Uil non ci stanno.
Nell'immediato, il nostro obiettivo principale rimane quello di buttare giù il governo del neoduce Berlusconi!
Care compagne, cari compagni, ho concluso.
Con oggi, di fatto, apriamo una nuova tappa del lavoro operaio e sindacale del Partito. Facciamo in modo, tutti uniti, tutti insieme, che sia contrassegnata da successo.
Viva la classe operaia italiana!
Viva la linea sindacale del PMLI!
Viva i sindacalisti del PMLI!
Viva il PMLI e la sua lotta per l'Italia unita, rossa e socialista!
Coi maestri vinceremo!