Respingere l'intesa filopadronale, concertativa e neocorporativa del contratto dei chimici
La Confindustria canta vittoria per le deroghe sul CCNL, l'applicazione della legge 30, la limitazione del diritto di sciopero. Proteste in Cgil per il tradimento delle deliberazioni congressuali
Pretendere il referendum e votare No

Il 10 maggio scorso è stata raggiunta l'intesa, che interessa 220 mila lavoratori del comparto chimico-farmaceutico, tra Federchimica, Farmindustria e Fulc (Filcem-Cgil, Femca-Cisl e Uilcem-Uil) per il rinnovo del quadriennio normativo e del biennio economico del Contratto collettivo nazionale di lavoro (Ccnl) scaduto a fine 2005.
Si tratta di una bruttissima e grave intesa per i lavoratori, siglata all'insegna della concertazione neocorporativa e delle flessibilità, del tutto inaccettabile e dunque da respingere. Lo si comprende bene dai contenuti con pesanti concessioni, gravide di conseguenze non solo per i diretti interessati, lo si comprende bene dai giudizi esultanti espressi dalla Confindustria e dalle associazioni industriali di categoria e lo si comprende dalle proteste esplose specie in casa Cgil che nel suddetto accordo hanno visto tradite le deliberazioni conclusive del recente congresso nazionale.
Il risultato sull'aumento salariale agitato dai dirigenti sindacali per giustificare il loro operato è in realtà poca cosa: un aumento di 100 euro alla categoria D1 riparametrate nei vari livelli professionali, e distribuite in tre tempi. L'affermazione che, per determinare l'aumento contrattuale, si sarebbe passati dall'inflazione programmata all'inflazione concordata, in termini concreti non ha prodotto un bel nulla. I punti veri che caratterizzano in negativo l'intesa sono altri e riguardano deroghe aziendali alle "clausole del contratto nazionale", la "prevenzione della conflittualità" che oggettivamente limita il diritto di sciopero e l'introduzione nel contratto della odiosa legge 30 dell'ex governo Berlusconi.
Per la prima volta in un contratto nazionale si legge che si possono stipulare accordi in azienda in deroga al contratto nazionale in materia di orari e tutto ciò che attiene all'organizzazione del lavoro. Cosicché le garanzie di tutela per i minimi tabellari e i diritti individuali acquisiti sono del tutto formali e hanno il tempo che trovano. Le deroghe aziendali possono rappresentare per i padroni un efficace grimaldello per scardinare l'assetto e la forza del contratto nazionale, sia pure con la complicità concertativa dei vertici sindacali confederali.
Un secondo punto cardine è rappresentato dal "raffreddamento dei conflitti". L'intesa prevede una procedura di raffreddamento di 5 giorni più 5, prima che le rappresentanze sindacali possano proclamare uno sciopero, che va peraltro annunciato 48 ore prima. E questo per tutti gli impianti, anche fuori dalle produzioni pericolose per le quali esistono già delle regole di salvaguardia della sicurezza. Lo sciopero se perde la tempestività della decisione, se non può incidere sulla produzione diventa uno strumento spuntato, inservibile.
Vi è poi l'attuazione di parti rilevanti della legge 30. Vedi il lavoro a "somministrazione" innalzando le percentuali che riguardavano il precedente lavoro interinale, dal 12 al 18%, e che perciò prevede una durata massima di cinque e non più di due anni, nell'arco di 78 mesi. Ma c'è anche l'estensione della durata dei contratti a termine, rinnovabili fino a complessivi 48 mesi. E la monetizzazione totale degli straordinari pagabili fino al 100%. Finora si poteva scegliere a discrezione individuale se farseli pagare oppure ottenere riposi compensativi, fino a un massimo del 50% del tempo lavorato in più.
Nessuna meraviglia possono destare le dichiarazioni più che lusinghiere del presidente della Confindustria, Luca Cordero di Montezemolo, del presidente della Federchimica, Giorgio Squinzi, del presidente della Farmindustria, Sergio Dompè e di Aldo Fumagalli, vice di Federchimica sul contratto sottoscritto che, non per caso, lo indicano come "modello di relazioni industriali per l'Italia". In sostituzione del patto neocorporativo del 22 luglio '93, ormai logoro e non più sostenibile. Ai rappresentanti padronali è piaciuta in particolare l'introduzione della possibilità di concordare normative in deroga al contratto nazionale e l'introduzione di una maggiore flessibilità nell'orario del lavoro.
Se padroni e sindacalisti collaborazionisti festeggiano a "tarallucci e vino", tra i delegati e tra i lavoratori il clima è ben diverso e le insoddisfazioni e le proteste si fanno sentire. Un gruppo di sindacalisti della Filcem-Cgil con incarichi nelle segreterie e nei direttivi provinciali e regionali hanno sottoscritto un documento con il quale criticano la logica di scambio che informa l'intesa contrattuale, le concessioni sulle deroghe e sulle flessibilità. "Le deroghe - scrivono - rischiano di essere un grimaldello con il quale iniziare a scardinare l'impianto del contratto nazionale, con conseguenze disastrose per la condizione futura dei lavoratori. Dobbiamo difendere il Ccnl con tutte le forze che abbiamo a disposizione". Altri delegati e delegate del settore hanno organizzato il 25 maggio a Bologna un'"assemblea nazionale autoconvocata" per protestare "contro un contratto dai contenuti pericolosi e destabilizzanti".
Per la "Rete 28 aprile" è intervenuto Giorgio Cremaschi. Riferendosi alle deroghe aziendali afferma: "Si apre così la strada a un ruolo diverso del Contratto nazionale che rischia di diventare una cornice che definisce regole e diritti i quali, poi, potranno essere peggiorati in sede aziendale. La sottoscrizione di questa clausola è in totale contrasto con le scelte della Cgil".
La difesa d'ufficio avanzata dal segretario generale della Filcem non smentisce ma conferma il colpo assestato al Ccnl, quando dice che il contratto "prevede una commissione nazionale congiunta che deve esprimere un parere all'unanimità su eventuali accordi stipulati in aziende in crisi in deroga temporanea al contratto nazionale".
Da segnalare l'atteggiamento ondivago e opportunista della componente di "Lavoro e Società" nella Filcem. La quale prima ha votato a favore dell'intesa in alcune assemblee regionali, poi si è astenuta in occasione dell'assemblea nazionale, infine con molto ritardo e per coprirsi a "sinistra" ha preso le distanze. Ad essa pare che interessi anzitutto difendere il suo operato, più che criticare l'accordo contrattuale. Infatti, invece di fare una seria autocritica, cercano giustificazioni citando altri rinnovi contrattuali, quello dei metalmeccanici e quello delle Poste, dove sono stati siglati punti che vanno ad incidere sul contratto nazionale.
A noi comunque è chiaro che un rinnovo contrattuale di questa portata, con queste pesanti e negative novità, per essere considerato valido deve passare al vaglio dei lavoratori e deve ricevere un chiaro e inequivocabile mandato. Ci vuole insomma il referendum per votare in massa No!

31 maggio 2006