Con le tesi del 5° Congresso nazionale PRC
RIFONDAZIONE TROTZKISTA TAGLIA DEFINITIVAMENTE I PONTI COL SOCIALISMO
La corrente di Grassi si differenzia da Bertinotti solo per la difesa della storia del PCI. La corrente ufficialmente trotzkista di Ferrando propone una rifondazione trotzkista di "sinistra''
Come si presenta il PRC al suo 5° congresso che si terrà dal 4 al 7 aprile 2002? Con un malloppo di 63 tesi congressuali approvate dalla maggioranza del Comitato politico nazionale (Cpn) il 15-16 dicembre 2001 (181 voti a favore, 45 astenuti e 28 contrari), e un altro malloppino di 36 tesi della minoranza respinte dallo stesso Cpn (25 voti a favore, 196 no e un astenuto).
Dunque una sola maggioranza e una sola minoranza interna al partito? Neanche per sogno. Rifondazione è fin dalla sua nascita un groviglio inestricabile di correnti e sottocorrenti frutto delle mille anime che la compongono particolarmente attaccate alle proprie origini, alla propria storia e al proprio interesse, tanto da renderla forse una delle forze politiche più eterogenee, eclettiche e confuse esistenti in Italia. Proprio l'opposto di un autentico partito bolscevico.
La maggioranza che sta intorno a Bertinotti è composta da un mix di revisionisti, neorevisionisti, riformisti di varia matrice, trotzkisti, operaisti, cattolici, femministe e ambientalisti provenienti per lo più da PCI, PSI, Democrazia proletaria (DP), Avanguardia operaia (AO), Verdi. C'è Bertinotti la cui origine, com'è noto, è nel PSI; dal PCI provengono il direttore di "Liberazione'' Alessandro Curzi, il braccio destro del segretario Alfonso Gianni (ex PCdI m-l-Nuova Unità, OCI m-l, MLS, PdUP), Grassi, Crippa, Mantovani (già MLS e PdUP); da DP provengono Russo Spena e l'assessore del comune di Napoli Domenico Iervolino (entrambi già Acli, MPL di Labor, PdUP e PdUP per il comunismo), Paolo Ferrero, Luigi Malabarba (oggi con Maitan), l'ex segretario napoletano Gennaro Migliore; Raul Mordenti viene da AO; Titti De Simone è presidentessa dell'Arci-Lesbica. Livio Maitan, segretario nazionale della cosiddetta "IV internazionale'' trotzkista, e altri provenienti da questa organizzazione come Elettra Deiana, Franco Russo e Luigi Vinci fanno parte della maggioranza bertinottiana.
Questa maggioranza a sua volta è divisa in altre subcorrenti. In questa circostanza ne sono emerse due che hanno proposto delle tesi alternative all'interno delle tesi di maggioranza. La più consistente è quella che per comodità definiamo la corrente di Claudio Grassi che è riunita intorno alla rivista "l'Ernesto'' e alla quale fanno capo un altro membro della segreteria nazionale, Gian Luigi Pegolo, il docente Alberto Burgio, il segretario di Torino Favaro, il segretario di Milano Bruno Casati, l'ex direttore di "Interstampa'' Fausto Sorini e altri. La tesi alternativa di questa corrente su "I comunisti e la loro storia'' (tesi 51-52) è stata sottoscritta anche da Curzi.
Minore la corrente che fa capo a Gianni Confalonieri, composta essenzialmente da esponenti lombardi, particolarmente preoccupata a coltivare il rapporto con la sinistra DS e le prospettive governative di Rifondazione. Questa corrente ha presentato solo tre emendamenti alle tesi di maggioranza che sono stati sottoscritti da Confalonieri, Ferrari, Bordo, Bozzi, Giovanna Casati, Colzani, Maraglino, Sciancati, Bandinelli.
La minoranza congressuale è composta dalla sinistra trotzkista che fa capo a Ferrando, Grisolia, Malerba, a sua volta alleata con il gruppo trotzkista "Falcemartello'' di Claudio Bellotti.
Questa divisione a grandi linee vale solo per il vertice del partito, perché via via che si scende a livello locale si potrebbero individuare un'infinità di gruppi e sottogruppi che tirano l'acqua al proprio mulino.
Non possiamo e nemmeno vogliamo, in questa sede, addentrarci in ogni singola tesi della maggioranza e tantomeno della minoranza. Nell'insieme si tratta solo di una riproposizione e sistematizzazione della linea ideologica, politica e organizzativa neorevisionista e trotzkista di questo partito. Siamo intervenuti più volte sulle posizioni di Rifondazione a proposito dell'analisi della situazione nazionale e internazionale, dell'Europa, della guerra, dell'attuale situazione politica e governativa, del sindacato, del Mezzogiorno, del movimento no-global, del papa, della concezione del partito, ecc. E' un libro che chiunque voglia può andare a rileggere sulle pagine de "Il Bolscevico''.
Quello che ci interessa affrontare ora sono le nuove o seminuove tesi che vengono sostenute in merito ai maestri del proletariato internazionale, alla storia e all'esperienza del movimento operaio nazionale e internazionale e al socialismo. Perché questa è la cartina di tornasole per comprendere fino in fondo se ci troviamo di fronte a un partito comunista o a un falso partito comunista. Non ci vorrà così molto a capire che in nome dell'"innovazione'', del "pluralismo'' e dell'"affermazione di una nuova identità comunista'', Rifondazione si appresta a sbarazzarsi in modo totale del patrimonio ideologico, teorico e culturale dei maestri e a tagliare definitivamente i ponti con la storia del proletariato internazionale e col socialismo.

PRC E MAESTRI
Dei maestri del proletariato internazionale, Marx, Engels, Lenin, Stalin e Mao, Bertinotti fa salvo solo Marx, per stravolgerlo. Non solo perché Marx viene affiancato a Gramsci che insieme a Togliatti è stato il padre del revisionismo moderno italiano, ma anche perché Bertinotti prende di Marx solo il concetto di "liberazione'', distorcendone il senso, e solo per contrapporlo al concetto di dittatura del proletariato, a Lenin e Stalin e alla costruzione del socialismo in Unione sovietica.
Nella tesi 52 si legge infatti: "Si tratta di tornare ad assumere Marx come riferimento essenziale, `disincrostandolo' dai marxismi che sono stati edificati nel '900''.
In realtà, Rifondazione vuole mummificare Marx slegandolo dagli altri maestri del proletariato internazionale che hanno fatto proprio il suo pensiero, lo hanno verificato nella pratica concretizzando i suoi insegnamenti, lo hanno costantemente sviluppato e aggiornato consegnandolo ai marxisti-leninisti del 2000 più vivo, completo e attuale che mai.
Del vero Marx nelle tesi bertinottiane non c'è traccia, anzi esse sono l'antitesi di ciò che il grande maestro del proletariato ha affermato, insieme ad Engels, nel "Manifesto del Partito comunista'' a proposito dell'abbattimento violento del capitalismo, della conquista del socialismo e della dittatura del proletariato.
Il richiamo a Marx non è mai stato di per sé garanzia di comunismo. Il riferimento al solo Marx, ignorando Lenin, è stato da sempre usato come copertura dalle correnti socialdemocratiche, riformiste e revisioniste. Non a caso Saragat, che stava a destra di Nenni e di Craxi, compì nel 1947 la scissione a destra del PSI (dando vita al PSLI, poi PSDI), proprio in nome di Marx e dell'anticomunismo.
Di Lenin, Bertinotti rigetta praticamente tutto. A cominciare dalla sua fondamentale analisi dell'imperialismo che ritiene "inadeguata per caratterizzare l'attuale fase dello sviluppo capitalistico'' (tesi 14), arrivando persino a negare, contro ogni evidenza, "l'ipotesi di guerre interimperialiste'' (idem).
Nelle tesi di Bertinotti si riflette chiaramente l'influenza - oltre a quella di Trotzki, della Luxemburg e di Gramsci -, dell'operaista riformista Tony Negri, ex PSI, Potere operaio, AO, radicale, specialmente per quanto concerne l'imperialismo.
La Rivoluzione d'Ottobre viene apprezzata solo come "tentativo di scalata al cielo'' mentre si mette subito in evidenza il "fallimento dei tentativi di transizione'' che ne sono seguiti.
Nell'attacco violento, gratuito e dai classici toni anticomunisti contro Stalin tutto il PRC, sia nelle tesi di maggioranza che in quelle di minoranza, si ricompatta guadagnandosi a ragione la definizione di partito trotzkista.
"Il progetto della rifondazione comunista, di un'identità comunista adeguata al XXI secolo - si legge nella tesi 53 della maggioranza titolata `Comunismo contro stalinismo' -, implica una rottura radicale con lo stalinismo''. "Nel comunismo italiano, la rottura è avvenuta, prevalentemente, in nome dei diritti della persona e della necessità della democrazia rappresentativa: nel nuovo movimento comunista queste ragioni devono essere sviluppate fino in fondo, in nome della società nuova da costruire, della liberazione del lavoro, del rifiuto della separatezza tra cittadino e Stato, della rivoluzione come indivisibile fenomeno mondiale. In questo senso si può essere portatori e portatrici credibili di un'ipotesi rivoluzionaria e comunista solo in quanto essa si definisce in radicale discontinuità rispetto all'esperienza del "socialismo realizzato'''.
A Stalin si contestano in sostanza proprio quelli che furono i suoi più grandi meriti: agire in nome della classe e non degli individui, sostenere la rivoluzione in un solo paese come fortezza della rivoluzione mondiale e non rincorrere un'utopica quanto ingannevole "rivoluzione come indivisibile fenomeno mondiale'', l'aver difeso la teoria marxista-leninista, che è ben altra cosa dalla sua "ossificazione dogmatica'', impedendo la sua degenerazione socialdemocratica e riformista, l'aver difeso il potere politico del proletariato, l'aver edificato un potente Stato socialista capace di tener testa alle più potenti e agguerrite potenze imperialiste mondiali fino a sconfiggere il mostro nazifascista.
Sembra di leggere il "Libro nero del comunismo'' del neoduce Berlusconi. Non passa nemmeno per l'anticamera del cervello a Bertinotti cosa sarebbe stato il '900 per il proletariato russo e mondiale senza Stalin e senza Mao.
Tanto accanimento contro Stalin è motivato dal fatto che egli fu il primo, insieme a Lenin, a edificare concretamente il socialismo. Attaccando Stalin, Bertinotti e il PRC vogliono attaccare e prendere le distanze dal "socialismo reale'', cioè il socialismo non semplicemente pensato, ideato, propugnato da Marx ed Engels, ma quello concretamente realizzato sulla base dei loro insegnamenti e come espressione del potere politico del proletariato nello Stato, nei rapporti di produzione, nell'economia, nella cultura, nella scuola, nella società tutta.

PRC E POTERE POLITICO
Bertinotti invece di potere politico del proletariato non ne vuol più nemmeno sentir parlare.
A lui al massimo va bene la "rivoluzione gramsciana'', ossia "La rivoluzione non come pura conquista del potere politico, o delle leve di governo; ma come processo di rivoluzionamento che coinvolge l'insieme delle relazioni sociali e della loro qualità. La rivoluzione come lunga marcia, costruzione di `case matte', trasformazione e autotrasformazione'' (Tesi 52). Per questo fra le "rivoluzioni del '900'' Bertinotti esalta le cosiddette "rivoluzioni'' femminile e ambientalista, che non possono essere confuse e messe sullo stesso piano con la rivoluzione proletaria.
Secondo Bertinotti vi è la "necessità di riconsiderare l'idea stessa di potere e conseguentemente di democrazia, concependo il primo né come punto di partenza né come punto d'arrivo per il rivoluzionamento dei rapporti sociali e di produzione, ma come importante punto di snodo di un processo di democratizzazione della vita quotidiana che comporta un'articolazione delle forme di potere stesso... Significa maturare un'idea più complessa della democrazia che assuma il genere come elemento costituente e la pluralità culturale come valore''. E tutto questo nel momento in cui dilaga la seconda repubblica capitalista, neofascista, presidenzialista e federalista.
Per Bertinotti l'obiettivo della "trasformazione'' va "reinventato'' e al momento lo prefigura come "una transizione che, per un verso, si avvale di strumenti peculiari della storia del movimento operaio... per l'altro verso, si fonda su una dialettica permanente tra rappresentanza istituzionale e forme di autogoverno, tra poteri centrali e contropoteri diffusi, tra partiti e movimenti. Non ci sarà `la' rottura, ci saranno molti e diversi momenti di rottura. Non ci sarà, forse, `la' sintesi, ma momenti significativi di ricomposizione e unificazione'' (tesi 48). E qui non può certo sfuggire il riecheggiamento delle teorie di Marcos.
In questo quadro si inserisce la nuova trappola della "democrazia partecipativa'' che rappresenta l'ultima escogitazione di questi imbroglioni politici per tenere legato il proletariato alle istituzioni e alle regole parlamentari borghesi.

PRC E NON VIOLENZA
Il ripudio della violenza rivoluzionaria, si intende di massa, diventa definitivo, mentre il pacifismo e la non violenza diventano scelta strategica per Rifondazione. "La non violenza, pratica di lotta non distruttiva e, insieme, disubbidienza a leggi ingiuste, - si legge nella tesi 39 - è la metodologia da un lato più in sintonia con l'anima profonda del movimento e dall'altra più efficace per combattere un potere che si presenta fortemente caratterizzato dal suo volto repressivo e che punta a trasformare la questione sociale in questione di ordine pubblico. Essa non va intesa come negazione del conflitto, e neppure della forza, ma all'opposto gestione altra, e più alta, del conflitto stesso... Essa è parte integrante di quella riforma della politica che implica il rifiuto di ogni militarizzazione del proprio agire e che assume la coerenza tra fini e mezzi come dato d'identità. In questo senso, nell'epoca della globalizzazione neoliberista, la pratica disubbidiente della non violenza è, in verità, ubbidienza ai valori più radicali della democrazia, della fratellanza, insomma dell'umanità''. E qui si risente oltreché l'influenza di Turati, quella di Ghandi.
Questa analisi segna infatti l'abbandono della cultura classica del proletariato che pone al centro della propria azione politica la lotta di classe di cui fanno parte anche la violenza rivoluzionaria e la rivoluzione socialista, senza la quale le forze repressive del governo e della borghesia hanno campo libero ed è impossibile che il proletariato conquisti il potere politico che è la madre di tutte le questioni. Ai metodi di lotta classici del movimento operaio quali lo sciopero, il picchetto, il corteo ecc. si preferiscono i metodi espressione classica dell'individualismo piccolo borghese e borghese quali la pratica della "disubbidienza civile e sociale'', rilanciata dai pappagalli riformisti Luca Casarini e Francesco Caruso.

PRC E SOCIALISMO
Il punto è che il PRC ha completamente rinunciato al socialismo. Nella nuova versione del preambolo dello Statuto varato dal Cpn e che verrà sottoposto al congresso, è sparito l'obiettivo della "trasformazione in senso socialista della società e dello Stato'' al posto del quale vi è una generica "trasformazione della società capitalista al fine di realizzare la liberazione del lavoro delle donne e degli uomini attraverso la costituzione di una società comunista'', una tipica espressione degli anarchici.
Non più socialismo ma "la democrazia come strategia'' che è il titolo della tesi 55. Un'espressione che riecheggia quella del revisionista Enrico Berlinguer che sosteneva la "democrazia come valore universale''. "La democrazia come fine - si legge nella tesi bertinottiana - è un dato fondante della nostra identità attuale e, insieme, una strategia''. "Non possiamo che rifiutare l'idea di una separazione organica tra la `meta finale dei nostri sforzi' e gli strumenti attraverso i quali raggiungerla... Dal punto di vista del contenuto, la democrazia si pone oggi come scelta e pratica del pluralismo politico, culturale, associativo''. Col che si è rigettata l'essenza stessa del marxismo-leninismo-pensiero di Mao secondo cui non esiste democrazia assoluta, in generale, al di sopra delle classi, ma esiste o la dittatura della borghesia o la dittatura del proletariato. O si sta con l'una o si sta con l'altra. Evidentemente il PRC ha deciso di stare con la dittatura della borghesia che oggi ha le sembianze del neoduce Berlusconi.

PRC E COMUNISMO
Ma se non c'è più abbattimento violento del capitalismo e instaurazione della dittatura del proletariato, che senso ha parlare di comunismo? Infatti, per Bertinotti comunismo è semplicemente un termine che usa impropriamente, a fini puramente demagogici e ingannatori, per definire una sorta di estensione massima della democrazia borghese. Per Bertinotti, come per gli anarchici, "Il comunismo è anche un'idea radicale di democrazia'' (tesi 55), è la società "dove la soggettività organizzata delle donne e degli uomini, non la logica del mercato e dell'impresa capitalistica, possa razionalmente decidere il proprio destino. Dove la dialettica tra istituzioni collettive e autogoverno di massa, tra poteri centrali e contropoteri diffusi, si fa permanente. Dove la libertà della persona - la sua irriducibile singolarità - si realizza attraverso la crescita progressiva dell'individuo sociale preconizzato da Marx: non un atomo solitario, in competizione permamente con i suoi simili, non l'appendice subalterna di una mega o microstruttura (Stato, Fabbrica, Partito o Famiglia che sia), ma individuo ricco di bisogni e di saperi che cresce in quanto coopera, confligge e comunica con l'Altro da sé''. Insomma, l'individuo al centro del mondo. Questo non solo non è comunismo, ma siamo in pieno liberalismo borghese sia pure nella sua versione di "sinistra''.
Questo pseudo comunismo è quello che nel movimento no global, ripreso dalle tesi, viene definito "un altro mondo possibile''. Un mondo che secondo l'imbroglione Vittorio Agnoletto e il 2° Social forum mondiale di Porto Alegre, attualmente in corso, sarebbe addirittura già in costruzione. Quando, in realtà, si tratta solo di un obiettivo ingannevole e fuorviante perché senza cancellare il sistema capitalista e imperialista dalla faccia della terra un nuovo mondo è irrealizzabile.

LA CORRENTE DI GRASSI
La corrente di Grassi condivide sostanzialmente tutta la linea strategia, ideologica e politica della maggioranza bertinottiana. Tant'è che ha presentato solo 6 proprie tesi alternative o parzialmente alternative su 63. Una di queste riguarda l'imperialismo dove a parole si afferma che la nozione leninista di imperialismo è ancora attuale salvo poi sostenere la necessità di "un aggiornamento dell'analisi dell'imperialismo'' e quindi negare l'attualità della categoria dell'imperialismo di Lenin.
La tesi alternativa 51-52 di Grassi, a cui si è associato anche Curzi, riguarda il bilancio della storia del movimento operaio. Mentre Bertinotti tende a non immedesimarsi totalmente nella storia del PCI, Grassi e compagnia difendono quella storia, la rivendicano temendo una troppo radicale e repentina perdita di identità del partito e quindi della tradizionale base del PCI. Anche per non regalarla a Cossutta e al PdCI. In particolare questa corrente ha paura di scoprirsi troppo e perdere consensi a sinistra. Per questo ha dato battaglia in Cpn perché fosse inserito nel preambolo dello Statuto il riferimento a Marx, a Lenin e all'Ottobre bolscevico, guadagnandosi così impropriamente la definizione di "ala leninista''. In verità anche questa corrente non ha nulla a che spartire con i maestri del proletariato, tant'è vero che oltre a richiamarsi formalmente a Marx e a Lenin, esaltano Gramsci, Togliatti e persino i socialisti operaisti e trotzkisti Lelio Basso e Rodolfo Morandi, più volte citati come maestri anche da Bertinotti.

LA CORRENTE DI FERRANDO
La corrente ufficialmente trotzkista di Ferrando e Grisolia, come del resto la sua variante di Bellotti, propone sostanzialmente una versione di "sinistra'' della rifondazione trotzkista.
Il succo è contenuto nell'introduzione alle tesi di minoranza dove si vaneggia di "abolizione della proprietà privata, a partire dai duecento colossi multinazionali che oggi dominano l'economia del mondo'' e di "un'economia mondiale democraticamente pianificata''.
Non vi è nulla nelle tesi di questa minoranza che si rifaccia agli insegnamenti di Marx, Engels, Lenin, Stalin e Mao, sia dal punto di vista ideologico, che strategico e tattico. Nella loro tesi 14, dopo la riproposizione della teoria trotzkista della "rivoluzione mondiale'' e dopo aver vomitato veleno anticomunista contro Stalin, cercando di contrapporlo a Marx e a Lenin, riaffermano fra l'altro quali sono i loro punti di riferimento ideologico, ossia Trotzki, la Luxemburg e lo stesso Gramsci. Col che hanno già rigettato sia Marx, sia Lenin.
Per concludere, quella "Rifondazione comunista'' tanto pomposamente annunciata, dopo dieci anni di sostegno al sistema capitalistico, di collaborazione governativa (governo Prodi e una lunga lista di governi locali), di illusioni antagonistiche e di opposizione, si conclude miseramente nel pantano del riformismo, del pacifismo, dell'idealismo, dell'interclassismo, dell'operaismo e del trotzkismo e gratta gratta nel liberalismo di "sinistra'' che in ultima analisi è la vera matrice ideologica del partito di Bertinotti. Alla luce delle tesi congressuali del PRC, chi vuole veramente il socialismo ne deve prendere atto una volta per tutte e agire di conseguenza.

30 gennaio 2002