La "riforma" Berlusconi-Tremonti assoggetta Bankitalia al governo
Pur non essendo state richieste da Berlusconi, il quale anzi ha difeso il governatore fino all'ultimo, bensì dall'essere inquisito dalla magistratura per lo scandalo bancopoli, le dimissioni di Fazio sono state una ghiotta occasione per il neoduce e Tremonti per mettere le mani su Bankitalia e assoggettarla completamente al governo.
Lo strumento per farlo era già pronto dalla scorsa estate, e cioè la legge sulla tutela del risparmio, contenente fra l'altro la riconferma della depenalizzazione del falso in bilancio (vedi articolo a parte), al cui interno sono state inserite le nuove norme riguardanti lo statuto di Bankitalia e l'elezione del suo governatore; norme che il governo ha messo a punto in tutta fretta nel Consiglio dei ministri del 20 dicembre e fatto approvare dalle Camere nel giro di tre giorni a colpi di voti di fiducia. Ufficialmente lo scopo di questa "riforma", quello per cui era stata sollecitata da tutte le forze politiche in parlamento, era di abolire il mandato a vita e introdurre quello a termine per il governatore dell'istituto di Palazzo Koch, così da evitare per il futuro il ripetersi della grottesca situazione verificatasi in questi ultimi mesi, con un governatore completamente screditato in Italia e all'estero ma inamovibile se non per propria decisione autonoma. In realtà la "riforma" di Berlusconi e Tremonti va ben al di là di questo, e costituisce una vera e propria controriforma che rende l'istituto di vigilanza sul credito, che godeva fino ad oggi di una relativa indipendenza, un'emanazione diretta dell'esecutivo e della sua politica economica e finanziaria.
Perno centrale di questa controriforma è infatti il meccanismo stesso di elezione del governatore e della sua permanenza al vertice di Bankitalia: fino ad adesso la nomina del governatore avveniva su proposta del Consiglio superiore della banca, un organo collegiale di amministrazione di 13 membri di cui almeno i due terzi dovevano partecipare alla votazione, e l'elezione stessa del governatore doveva avvenire con maggioranza di due terzi. Il presidente del Consiglio accoglieva la proposta e la inoltrava poi al capo dello Stato per il decreto di nomina. Le nuove norme ribaltano completamente l'ordine gerarchico della procedura: la nomina del governatore spetta ora al "presidente del Consiglio, previa deliberazione del Consiglio dei ministri". La ratifica viene sempre effettuata per "decreto del capo dello Stato", ma su una nomina "proposta del governo, sentito il Consiglio superiore della Banca d'Italia". Quest'ultimo viene relegato quindi a un ruolo puramente consultivo e di nessun peso decisivo nella nomina del governatore.
Al governo spetta ora anche il potere di revoca del governatore, il cui mandato non è più a vita ma durerà 6 anni (uno di più della durata della legislatura per non accavallare le scadenze), rinnovabile una sola volta per i 6 anni successivi. La rinnovabilità del mandato ha il chiaro intento di legare ancor di più all'esecutivo il governatore, il quale avrà tutto l'interesse a compiacere il governo per assicurarsi la prosecuzione in carica.
Già che c'erano, Berlusconi e Tremonti hanno approfittato dell'occasione per ridimensionare anche i poteri dell'Antitrust, suddividendo il controllo sulle fusioni e acquisizioni bancarie anche con la Banca d'Italia, che lo eserciterà congiuntamente con l'Authority per la concorrenza. Qualcuno dice con la conseguente nascita di conflitti di attribuzione tra i due soggetti, che si andranno ad aggiungere a quelli con la Consob, che in quanto preposta al controllo della Borsa ha anch'essa competenza sulle banche quotate. Un'ulteriore misura per il completo incorporamento di Palazzo Koch nell'esecutivo, e cioè la "riforma" del suo assetto proprietario, che oggi è formato da un pool di banche, con il trasferimento delle quote al ministero del Tesoro, è stata congelata per tre anni a causa del veto opposto dalla Lega.
Quest'ennesimo golpe istituzionale del neoduce Berlusconi è passato liscio come l'olio nel parlamento nero: grazie ai voti di fiducia, certamente, ma anche grazie alla blanda "opposizione" dell'Unione (la Lega ha parlato addirittura di "inciucio"), che se non fosse stato per la questione troppo scandalosa del falso in bilancio avrebbe anche votato volentieri insieme alla maggioranza la parte riguardante la "riforma" di Bankitalia. La voce più accreditata è che l'Unione abbia rinunciato all'ostruzionismo per non pregiudicare la trattativa sottobanco con il governo sulla scelta del nuovo governatore. Se questo è vero la "sinistra" borghese non sarebbe del tutto estranea, come vorrebbe far credere, alla scelta del privatizzatore e uomo dell'alta finanza massonica internazionale Mario Draghi: molto apprezzato, non a caso, anche dai rinnegati e riformisti dell'Ulivo, e non sgradito nemmeno all'opportunista trotzkista Bertinotti.

4 gennaio 2006