No alla controriforma Berlinguer approvata dalla Camera
I ``NUOVI CICLI SCOLASTICI'' PENALIZZANO I FIGLI DEL POPOLO, RIPRISTINANO L'AVVIAMENTO E ASSERVONO LA SCUOLA DIRETTAMENTE AI CAPITALISTI
Noi siamo per la scuola dell'obbligo fino a 18 anni, unitaria, pubblica, gratuita e governata dagli studenti

Ventisette mesi dopo che il governo l'aveva trasmessa ufficialmente alla Camera (era il 3 giugno '97, ancora a Palazzo Chigi c'era il DC Prodi), lo scorso 22 settembre l'aula di Montecitorio ha approvato il testo della ``legge quadro in materia di riordino dei cicli dell'istruzione'', la famigerata controriforma Berlinguer che riscrive da cima a fondo caratteri e contenuti dell'intero sistema, dalla scuola dell'infanzia (ex scuola materna) fino alla scuola secondaria (ex scuola media superiore).
Sulla base di un accordo DS-PPI, hanno votato a favore tutti i partiti della maggioranza che sostiene D'Alema per un totale di 243 sì. Contro hanno votato i 17 deputati del PRC. Si sono astenuti in 11 tra cui esponenti di CCD e PRI. I partiti del Polo e la Lega Nord hanno lasciato l'aula al momento del voto.
Già sul numero 8/97 de Il Bolscevico denunciammo i contenuti del progetto, ma a cose fatte, cioè dopo l'approvazione da parte della Camera e il passaggio del disegno di legge (ddl) al Senato, si può ben dire che addirittura è stato peggiorato. Infatti, il ministro diessino dell'Istruzione ha corretto il suo disegno originario in base al volere della Confindustria rendendo così quello appena licenziato da Montecitorio un provvedimento che penalizza i figli del popolo, ripristina l'avviamento professionale e asserve direttamente la scuola ai capitalisti.
Non che finora la scuola borghese aiutasse i figli del popolo e fosse un modello positivo per le masse giovanili, non che finora il padronato non la influenzasse pesantemente. Solo che era un'influenza indiretta, mediata dallo Stato borghese che aveva in mano la gestione dei programmi, delle strutture, delle assunzioni, ecc. Ora invece il padronato avrà mano libera e il suo controllo pieno e diretto sull'istruzione professionale, come chiedeva da sempre, gli permetterà migliori condizioni per lanciarsi nella ``competizione globale dei mercati''.

Recepite le richieste del padronato

La legge è pervasa dalla spasmodica volontà di adeguare la scuola alle mutate e mutevoli necessità del ``mondo del lavoro''. A Berlinguer, al governo e al parlamento neri, preme formare un esercito di soldatini preparati e docili, pronti a garantire lauti profitti ai capitalisti, naturalmente ciascuno con le proprie mansioni e possibilmente nel rispetto della propria origine di classe. Ecco perché la legge, al di là di qualche frase a effetto non sostanziata nel primo dei cinque articoli che la compongono, mira a ``collegare gli apprendimenti curricolari con le diverse realtà sociali, culturali, produttive e professionali''.
Vengono rispalancate le porte alla scuola di classe, selettiva e meritocratica, peggiorando la situazione antecedente alla Grande Rivolta del Sessantotto e addirittura quella precedente al 1962, anno in cui venne istituita la scuola media unica.
I ragazzi dovranno precocemente scegliere il loro futuro scolastico a soli 12 anni di età, cioè dopo i primi sei anni della ``scuola di base''. Questo perché l'ultimo anno del ciclo primario sarà di ``orientamento'', cioè fungerà da canalizzatore per la futura destinazione nel ciclo secondario. Per accedere al quale si dovrà comunque superare un esame di Stato.
In pratica, chi sceglierà la formazione professionale e non il liceo (gli istituti superiori si chiameranno tutti ``liceo''), comincerà subito l'``addestramento'' al lavoro in quanto la formazione professionale si risolve essenzialmente nella fornitura di manodopera gratuita per i capitalisti. Un serbatoio di forza lavoro addomesticabile, ``ligia al dovere'' dell'operaio o del tecnico di basso livello che non osa ribellarsi allo sfruttamento padronale.
Per i figli del popolo tornerà di fatto, anche se sotto mentite spoglie, il mostruoso avviamento professionale cancellato 27 anni fa. Berlinguer si ostina a definirla ``rivoluzione'', ma si tratta di un'autentica restaurazione!
Sin dall'articolo 1 la legge parla di ``sistema educativo di istruzione e di formazione''. La differenza tra istruzione e formazione evidenzia i due canali ben distinti nei percorsi, che sono appunto l'obbligo di istruzione fino al 15° anno di età e l'obbligo di formazione fino al 18° anno di età.
L'introduzione dell'obbligo formativo fino ai 18 anni, con la possibilità di ``scelta'' dello studente se assolverlo anche nella formazione professionale (ridagli!) o persino nell'apprendistato, sta a significare che le ragazze e i ragazzi di 15, 16 e 17 anni andranno a sperimentare lo sfruttamento capitalistico e per tre anni lavoreranno per i padroni praticamente a prezzo zero.

Imbrogli e risparmi

In barba alle dichiarazioni solenni di volersi adeguare ai Paesi dell'Unione europea (imperialista) dove l'obbligo scolastico è più lungo e in barba alle promesse demagogiche sul proposito di ridurre il drammatico fenomeno del lavoro minorile nel nostro Paese, in specie nel Mezzogiorno, verranno diminuiti e non incrementati gli anni di permanenza a scuola delle studentesse e degli studenti. Con la ristrutturazione in due cicli, 7 anni di ``scuola di base'' e 5 anni di ``scuola secondaria'', totale 12 anni, si è cancellato un anno rispetto alla normativa vigente che ne prevede 13 (5 anni di elementari, 3 di medie inferiori e 5 di superiori).
Gli studenti dovranno sostenere l'esame di Stato finale non più al 19• anno di età, ma al 18•. Quindi, chi non si iscriverà agli studi universitari, si troverà ancor prima di quanto accade oggi nelle fauci del ``mercato del lavoro'', ovvero nello sfruttamento, nella disoccupazione e nella precarietà che il sistema capitalistico riserva alle nuove generazioni.
Con questa diminuizione degli anni di scuola il governo realizza un risparmio vergognoso, pari a circa il 7,7% del bilancio complessivo di spesa. Un'autentica rapina ai danni delle masse studentesche e popolari che comporterà inevitabilmente nuovi tagli al personale, sempre più stritolato tra i diktat delle ``riforme'' ministeriali e l'accresciuto potere dei presidi-manager nelle scuole ``autonome''.
Nel ddl sono numerose le deleghe al governo e i rimandi a leggi e decreti già in vigore, tutti ispirati da logiche antioperaie, antipopolari e antistudentesche a partire dal ``patto per il lavoro'' del 1996 e dal ``patto di Natale'' del 1998, passando per la ``legge Bassanini'' del 1997.
Tutto ciò conferma che questa legge è l'ultimo fondamentale tassello della controriforma scolastica che si è affermata tramite le leggi e i regolamenti sulla ``autonomia'', sull'esame di Stato, sulla ``parità'' e il ``sistema scolastico integrato'' tra pubbliche e private, sull'obbligo a quindici anni, con lo ``Statuto degli studenti''. E chiara risulta la sua rispondenza con tutta la politica sociale e giovanile del governo D'Alema, infarcita di neofascismo, presidenzialismo, liberismo, flessibilità, precariato, familismo.

Ignorate le richieste studentesche e popolari

La legge disegna i ``nuovi'' licei del ciclo secondario nei quali si studierà per cinque anni e che saranno divisi nelle seguenti aree di indirizzo: 1) classico-umanistica; 2) scientifica; 3) tecnico-tecnologica; 4) artistica e musicale.
Anche alla luce dei nuovi sbarramenti introdotti nell'accesso alle università e soprattutto per via della cosiddetta ``autonomia'' che accentuerà a partire dal prossimo anno le differenze tra scuola e scuola, è facile prevedere che avremo come e peggio di prima istituti di serie A, B e C, con il diploma classico-umanistico che aprirà tutte le porte dell'istruzione universitaria e gli altri a scendere fino alla discriminazione dei ``test di ammissione'', veri e propri esami supplementari che dovranno sostenere coloro i quali provengono dagli indirizzi considerati inferiori, cioè ``non collegati''.
Questo discorso non è certo inficiato dalla possibilità, teoricamente concessa dalla legge, di cambiare indirizzo senza perdere anni di studio. è ben difficile immaginare alunni che lasciano il professionale o il tecnico per ``saltare'' al classico. L'invito alle singole scuole perché attivino ``apposite iniziative didattiche'' finalizzate a fornire ``una preparazione adeguata alla nuova scelta'' sa tanto di fumo senza arrosto.
Con questa controriforma il governo D'Alema fa dunque tabula rasa di diverse richieste storiche del movimento studentesco e popolare, a cominciare da quella minima di un biennio di scuola secondaria uguale per tutti, una rivendicazione mai digerita dal regime capitalistico e dai suoi governi che vi hanno sempre frapposto mille ostacoli fino all'attuale ribaltamento della situazione.
Non bisogna farsi ingannare dallo strepitio che ha accompagnato il voto di Montecitorio. Né per quanto riguarda le esultanti reazioni della maggioranza di governo, né per quanto riguarda le critiche avanzate da settori del Polo berlusconiano e dai vescovi che, insaziabili, volevano ulteriori concessioni. Controriforma era all'origine e controriforma è rimasta in parlamento.
Il ministro Berlinguer, gonfiando il petto come sono soliti fare i cavalli di razza della classe dominante borghese quando le hanno reso un importante servizio, ha inteso paragonare la sua ``riforma'' a quella di Giovanni Gentile, il filosofo del fascismo giustiziato dai gappisti fiorentini.

Nel 1923 costui, in qualità di ministro del governo Mussolini, fu artefice della ``riforma'' della scuola i cui effetti nefasti ben conosciamo perché sopravvivono ancora oggi.
76 anni dopo, la ``riforma'' ha un segno ugualmente nero. Non la si deve e la non si può accettare in nessuna sua parte.
Le studentesse e gli studenti, gli insegnanti e i lavoratori della scuola, i genitori e le masse popolari in genere, devono urgentemente mobilitarsi ponendosi anzitutto tre obiettivi.
Il primo, immediato, è quello di impedire che la controriforma ottenga il sì definitivo in parlamento e diventi così la legge che codifica la scuola della seconda repubblica.
Il secondo è quello di far mordere la polvere al governo del rinnegato D'Alema che deve essere costretto dalle masse a recedere dalla sua politica neofascista, liberista, affamatrice, antipopolare e guerrafondaia.
Il terzo, di carattere strategico, è quello di dar vita a un unico grande movimento studentesco che si batta per la scuola dell'obbligo fino a diciotto anni, unitaria, pubblica, gratuita, governata dalle studentesse e dagli studenti.