Macché "rivoluzione" nella sanità
LA "RIFORMA" BINDI ACCENTUA I CARATTERI PRIVATISTICI E FEDERALISTICI DEL SERVIZIO SANITARIO NAZIONALE
Al Ssn solo i servizi essenziali. Rafforzati l'aziendalizzazione e la regionalizzazione. Permessa la libera professione dei medici negli ospedali. Anche i privati e il "non profit" nella gestione dei Fondi sanitari integrativi.
MENTRE NEL DPEF D'ALEMA ANNUNCIA TAGLI ALLA SPESA SANITARIA

Dopo un iter lungo alcuni mesi, il ministro della sanità Rosi Bindi È riuscita a varare la sua "riforma". Nella riunione di venerdì 18 giugno, il consiglio dei ministri ha infatti approvato definitivamente, in appena un'ora, il decreto legislativo (Dlg) sulle "norme per la razionalizzazione del Servizio sanitario nazionale" (Ssn). Un documento lungo e complesso di 78 cartelle, composto di 15 articoli per modificare e integrare la precedente "riforma" sanitaria del '92. Come È noto, il 10 novembre '98 il parlamento votò la "Delega al governo per la razionalizzazione del Servizio sanitario e per l'adozione di un testo unico in materia di riorganizzazione e funzionamento del Ssn". Da allora, sulla base di un testo elaborato dalla Bindi e dai suoi collaboratori È iniziata una consultazione con le "parti interessate". Accogliendo alcuni emendamenti, nel mese di maggio di quest'anno ha ottenuto il consenso delle regioni e dei comuni, dei sindacati, sia confederali che dei medici associati alla Anaao, e delle commissioni parlamentari di Camera e Senato. Mentre alcune associazioni dei medici e la Confindustria hanno epresso dei dissensi.
La "riforma" Bindi È la terza che viene approvata in materia di sanità, da quando fu istituito il Servizio sanitario nazionale. La prima (legge n.833) frutto di possenti lotte sindacali, risale al 1978, ed È appunto quella che inaugurò la sanità pubblica, universalistica e gratuita, rimasta in larga parte inattuata; la seconda (legge n.502) risale al '92 per opera del governo Amato, completata con la legge n.517 del '93 per opera del governo Ciampi; una vera e propria controriforma quest'ultima di stampo liberista e federalista fondata sulla aziendalizzazione e la regionalizzazione della sanità, la trasformazione degli ospedali in aziende, l'apertura ai privati, la possibilità per i medici del Ssn di svolgere la libera professione, il pagamento di parte delle prestazioni attraverso i ticket e il "sanitometro" e altro ancora. Con questa controriforma la sanità È diventata sempre meno pubblica e sempre più privata, tanto È vero che dei 150 mila miliardi di spesa sanitaria, attualmente 40 mila vanno ai privati, le prestazioni sanitarie si sono diversificate a livello territoriale (quelle migliori nel Centro-Nord) e per ceto sociale.
La "riforma-ter" della Bindi a questo proposito sparge inganni a piene mani e fa della demagogia. Il ministro della sanità vuole far credere di avere recuperato lo spirito della "riforma" del 78 e di aver corretto le storture della "riforma" successiva per ripristinare "il diritto alla salute costituzionalmente garantito", contenere gli appetiti dei privati e rilanciare il Ssn in modo più "equo" ed efficiente. "Sarà una riforma - dice - per dare agli italiani un servizio sanitario del quale fidarsi di più, più sicuro ed efficiente che tutela la salute di tutti, a prescindere dal loro reddito e dal luogo dove abitano". Il decreto legislativo, aggiunge la Bindi sparandola grossa, "rafforza il servizio sanitario nazionale, conferma il suo carattere universalistico e garantisce a tutti i cittadini uguali opportunità di accesso ai servizi sanitari e livelli uniformi di assistenza su tutto il territorio nazionale". "La prima grande riforma attuata da questo governo - conclude - nel settore sociale".
Belle parole le sue, quasi ineccepibili. Peccato però che tra esse e quanto stabilito nel provvedimento legislativo ci sia una distanza abissale. Questo perch‚ la "riforma" Bindi:

1) non costituisce affatto una "rivoluzione" nella sanità, come vuole dar a intendere ma una conferma e un rafforzamento della controriforma Amato-Ciampi del '92-'93, una razionalizzazione e riorganizzazione di quel modello di sistema sanitario di stampo liberista;

2) accentua i caratteri privatistici e federalistici del Ssn, completando l'aziendalizzazione dando ampi poteri alle regioni e ai comuni. Nell'art.2 si parla infatti di Conferenza permanente per la programmazione sanitaria socio-sanitaria regionale e del piano sanitario regionale; nell'art.3 della gestione regionale delle Usl; nell'art.6 dei protocolli d'intesa tra regioni, università e strutture del Ssn, e così via;

3) limita l'azione del Ssn alle prestazioni sanitari essenziali, lasciando le altre ai Fondi sanitari integrativi;

4) equipara le strutture sanitarie pubbliche e private, favorendo lo sviluppo di quest'ultime attraverso l'accreditamento del Ssn;

5) apre le porte al "non profit" confermando la tendenza di un progressivo disimpegno dello Stato dal sociale;

6) non risolve definitivamente il problema del rapporto medici-Ssn lasciando loro la possibilità di esercitare la libera professione all'interno delle strutture del Ssn;

7) rinvia l'applicazione di ampia parte del provvedimento a futuri decreti del ministero della sanità;

8) non chiede un aumento della spesa sanitaria in vista dell'approvazione del Dpef, visto che in Italia È al 5,2 per cento del Pil, notoriamente al di sotto della media europea pari al 6 per cento.

Se queste sono le caratteristiche principali della "riforma", e lo sono, gli obiettivi dichiarati dalla Bindi sono irraggiungibili. Nemmeno certi aspetti riguardanti la prevenzione nei luoghi di lavoro, nell'ambiente e la zoo-profilassi, alla buon'ora presi in considerazione dalla "riforma", considerato l'alto livello degli infortuni e i casi di inquinamento e di sofisticazione, hanno la possibilità di avere una realizzazione soddisfacente. Il diritto alla salute uguale per tutti, senza differenze di censo e di luogo, l'universalità delle prestazioni in questo contesto sono solo promesse destinate a non essere mantenute.
Non ci si faccia ingannare dalle critiche da destra mosse dalla Confindustria e dai sindacati dei baroni della sanità (la Cimo) che definiscono la "riforma" centralistica, burocratica, penalizzante per la sanità privata, la "dignità" dei medici e la libera professione. Se si esaminano gli aspetti portanti di essa le conclusioni sono quelle che abbiamo descritto.

LE AZIENDE SANITARIE

Usl e ospedali trasformati e affidati a manager con più poteri, una "certificazione di qualità" sulle strutture, un nuovo meccanismo di remunerazione. Ecco cosa prevede il Dlg a questo proposito.
Le Usl dovranno completare il processo di aziendalizzazione avviata nel '92; diventeranno aziende con personalità giuridica pubblica e autonomia imprenditoriale e dovranno rispettare il vincolo di bilancio; agiranno con atti di diritto privato e - per gli appalti e i contratti di fornitura e di beni dei servizi di valore inferiore a quello stabilito dalle norme Ue - potranno seguire le norme del diritto privato. Le regioni potranno proporre la costituzione o la conferma in azienda dei presidi ospedalieri in possesso di specifici requisiti, tra cui il sistema di contabilità economico-patrimoniale e il ruolo di ospedale di riferimento in programmi di assistenza su base regionale e interregionale. Le aziende sanitarie pubbliche avranno disponibilità del patrimonio "secondo il regime della proprietà privata" e potranno collaborare con soggetti privati attraverso la costituzione di società miste a capitale pubblico e privato, anche se quest'ultimo non può superare il 49 per cento.

I DIRETTORI GENERALI

I direttori generali, responsabili della gestione complessiva e incaricati di nominare i responsabili delle unità operative, direttore sanitario e direttore amministrativo, dovranno entro 18 mesi presentare l'attestato di frequenza a un corso di formazione manageriale, organizzato dalla regione; saranno sottoposti a una prima verifica dopo altri 18 mesi sul raggiungimento dei risultati fissati in sede locale. I comuni, È una novità questa, hanno la possibilità di chiederne la revoca.

L'ACCREDITAMENTO DEI PRIVATI E LE TARIFFE

Tutte le strutture sanitarie private e i liberi professionisti per lavorare "per conto" del Ssn dovranno ottenere: l'autorizzazione rilasciata dal Comune; l'accreditamento che richiede requisiti ulteriori rispetto all'autorizzazione; quindi potranno stipulare con le Regioni e le Usl accordi contrattuali per l'erogazione dei servizi fissando tipo, entità e remunerazione delle prestazioni erogate. Entreranno così a far parte dell'Albo dei fornitori di prestazioni sanitarie alle quali Asl e pazienti potranno rivolgersi.

Per le tariffe, la "riforma" prevede due livelli: da un lato le funzioni assistenziali retribuite in base al costo standard di produzione stabilite dalle regioni; dall'altro gli interventi di ricovero, di day hospital e le prestazioni di specialistica ambulatoriale che continueranno ad essere pagate a prestazione.

FONDI SANITARI INTEGRATIVI

Con la "riforma" Bindi sono istituiti i "Fondi integrativi del Ssn" che si affiancano alle altre Casse e Fondi già esistenti che già erogano quelle prestazioni non garantite dal Servizio pubblico. Questi Fondi potranno fornire tutte le prestazioni aggiuntive "non comprese" nei livelli essenziali e uniformi garantite dal Ssn. Dovranno farlo rivolgendosi soltanto alle strutture e ai professionisti accreditati con il Ssn; potranno rimborsare i ticket, le prestazioni in libera professione, intramurarie, le spese per cure odontoiatriche e termali, l'assistenza domiciliare, la fruizione dei servizi alberghieri e le prestazioni di medicina non convenzionali che saranno precisate con un apposito decreto.

I Fondi saranno "autogestiti" o affidati a istituzioni pubbliche e private che operano nel settore sanitario o socio-sanitario da almeno 5 anni. Alla gestione possono partecipare anche le regioni o gli enti locali, in forma singola o associata. Potranno essere istituiti anche da aziende, sindacati, associazioni di rilievo, società "non profit" e quelle di mutuo soccorso riconosciute.

MEDICI, PRIMARI E LIBERA PROFESSIONE

Per quanto abbia sollevato polemiche e dissensi di una parte degli interessati, a nostro giudizio la "riforma" non risolve in modo soddisfacente il problema del rapporto di lavoro esclusivo dei medici con il servizio sanitario nazionale, giacch‚ permette la libera professione sia all'interno che all'esterno della struttura pubblica, anche se a prezzo di alcune penalizzazioni. È un problema, questo, vecchio e mai affrontato adeguatamente. Ma ecco cosa prevede la normativa. I medici dovranno scegliere entro il prossimo autunno fra il rapporto di lavoro esclusivo e libera professione fuori dal Servizio sanitario nazionale. Si tratta di una scelta non revocabile. L'esclusività di rapporto È obbligatoria per gli assunti dal 31 dicembre '98. Tuttavia, e questa È l'anomalia che non si È voluto cancellare e che non esiste in nessuna altra professione, i medici interamente dipendenti del Ssn, potranno esercitare lo stesso la libera professione anche se solo all'interno dell'ospedale. A partire dal primo gennaio 2000, solo i medici che lavorano in esclusiva per il Ssn potranno dirigere reparti, dipartimenti, unità operative.

Per i medici dipendenti, convenzionati e universitari viene stabilito il limite d'età a 65 anni, elevabile a 67.

Per i dirigenti e i primari la "riforma" prevede la seguente novità: gli attuali due livelli della dirigenza vengono accorpati in un unico livello. Un solo ruolo e più posizioni funzionali corrispondenti ai diversi gradi di responsabilità professionali e gestionali. In particolare i primari dovranno ogni cinque anni superare una verifica da parte di una commissione di colleghi per dimostrare le capacità a ricoprire questo incarico. In caso di esito negativo saranno destinati ad altre funzioni. Considerato però che la "riforma" stabilisce l'obbligo di frequenza a corsi di formazione e di aggiornamento periodici, e dal momento che saranno medici che giudicano medici, non si sa sulla base di quali criteri, casi come questo saranno rarissimi.

DISTRETTO SANITARIO

Insieme al capitolo riguardante la prevenzione, quello dedicato alla riorganizzazione del distretto sanitario rappresenta la parte più demagogica e accattivante della "riforma". Attraverso le sue funzioni di coordinamento delle strutture sanitarie sul territorio si vuole dare ad intendere che il Ssn garantisce l'assistenza 24 ore su 24 ai pazienti senza ricorrere, se non necessario, all'ospedale. Il distretto sanitario, rappresenta un'articolazione della Usl ed È dotato di autonomia tecnica-gestionale ed economico-finanziaria con contabilità separata. Coordina i servizi dei medici di famiglia e dei pediatri di libera scelta, la cosiddetta continuità assistenziale (l'ex guardia medica che mantiene la sua convenzione) la medicina specialistica e le varie strutture operative. In questo ambito È prevista l'integrazione professionale tra diverse attività di medicina di base (assistenza primaria, continuità assistenziale, medicina dei servizi e pediatria di libera scelta) per garantire l'attività assistenziale con un servizio di equipe.

Sarà diretto da medici di medicina generale in possesso di determinati requisiti che saranno compensati con una parte fissa e un'altra parte variabile in base all'operatività e alle prestazioni svolte.

A proposito della libera professione, anche al medico di famiglia È permesso di esercitarla, sia pure vincolata a precise condizioni.

Noi non ravvisiamo dunque con la "riforma" Bindi alcuna inversione di tendenza sostanziale e strategica rispetto alla controriforma che si È affermata in questi anni. Non crediamo che con essa si possano ottenere miglioramenti sensibili per le masse popolari circa il diritto alla salute a alla cura. Vediamo anzi il rischio di un peggioramento visto che con il Dpef (e poi con la Finanziaria del prossimo autunno) il governo intende tagliare la spesa sanitaria. Ribadiamo la necessità di battersi contro questa politica sanitaria del governo D'Alema e della Bindi ispirata ai parametri dell'Europa di Maastricht e di contrastare la dilagante privatizzazione (aperta e mascherata) dei servizi sanitari. La necessità di impedire che medici, personale e strutture pubbliche siano utilizzate per la libera professione e a scopo di lucro privato. Riteniamo che la lotta debba continuare per rilanciare una concezione del diritto alla salute come diritto fondamentale e inalienabile, gratuito per tutti e universalistico, che poggi su un servizio sanitario pubblico, moderno e aggiornato fondato sulla prevenzione, la cura e l'assistenza, in modo capillare sul territorio, finanziato con la fiscalità generale e controllato dalle masse popolari.