Al referendum sugli accordi del 23 luglio
Passa il Sì dei confederali. No dei metalmeccanici. L'alto astensionismo fa parte del grande dissenso dei lavoratori
Il voto condizionato dalla propaganda esclusiva per il Sì, dalla paura della caduta del governo, dalla quasi unanimità dei partiti parlamentari per il Sì, dalla rinuncia di PRC e SD a sostenere il No, dai dirigenti Fiom favorevoli al No che hanno accettato il regolamento che proibiva di propagandarlo ufficialmente
Continuiamo a lavorare con fiducia applicando la linea sindacale del PMLI
Nel referendum sindacale svoltosi dall'8 al 10 ottobre tra i lavoratori, i pensionati e i precari è prevalso a larga maggioranza il Sì agli accordi del 23 luglio su welfare, pensioni, "mercato del lavoro". Questi i dati ufficiali complessivi resi pubblici da Cgil, Cisl e Uil: votanti 5.115.054, schede bianche e nulle 73.244 (1,43%), voti validi 5.041.810, favorevoli 4.114.939 (81,62%), contrari 926.871 (18,36). Si tratta di un risultato ampiamente scontato per tante ragioni, anche se non sono mancate le sorprese che vanno colte per intero nella loro importanza.
Un risultato scontato anzitutto per l'ampissimo e preponderante schieramento a favore del Sì comprendente ovviamente il governo, le tre confederazioni sindacali, la Confindustria, quasi tutti i partiti parlamentari di maggioranza e di "opposizione". Non contrastato dalla cosiddetta "sinistra radicale" governativa, la quale pur criticando il Protocollo di Prodi non si è attivata per sostenere il No, salvo Diliberto del PdCI che ha appoggiato la manifestazione regionale toscana promossa da delegati di fabbrica, tenutasi il 29 settembre a Firenze. Un risultato scontato considerato che la consultazione referendaria è stata monopolizzata e perciò manipolata dai vertici sindacali confederali che hanno fatto quello che hanno voluto nell'organizzare e gestire le assemblee e il voto, compiendo numerosissime irregolarità; considerato che, con i soldi degli iscritti, hanno fatto una campagna propagandistica a sostegno degli accordi, enorme nelle dimensioni, rilanciata dalla carta stampata e dalle televisioni, reticente, mistificatoria e falsa nei contenuti. I lavoratori e i pensionati non sono stati messi in condizione di scegliere con cognizione di causa tra il Sì e il No, in moltissimi casi non sono state fatte le assemblee, non sono state diffuse tutte le informazioni necessarie, nelle assemblee è stato vietato ai relatori di indicare il loro eventuale voto contrario, un divieto questo subìto senza ribellarsi anche da quei dirigenti della Fiom che si erano schierati con il No, a parte "Rete 28 Aprile" che invece lo ha contestato. Un risultato, per quanto detto sopra, tutt'altro che "trasparente", "democratico" e da accettare senza colpo ferire.
C'è un altro fattore tutto politico che ha influito nella consultazione: la paura agitata più volte da Epifani della caduta del governo Prodi in favore di Berlusconi e camerati, in caso di bocciatura del Protocollo. Non senza effetto su lavoratori e pensionati elettori del "centro-sinistra", in primis quelli di area ex DS, molti dei quali presumibilmente si sono turati il naso e hanno votato Sì indipendentemente dai contenuti dell'accordo.

Nessun "cappotto"
I segretari generali di Cgil Cisl e Uil si sono lasciati andare a scene di giubilo, indegne e sgradevoli. Guglielmo Epifani ha detto: "Abbiamo fatto cappotto" e Raffaele Bonanni ha aggiunto: "Gli abbiamo fatto un culo così". Il riferimento non è ai padroni ma a coloro che hanno sostenuto il No, con in testa il Comitato centrale della Fiom. Ma un'analisi attenta dei dati suscita ben altre riflessioni e considerazioni. Ci viene detto che la partecipazione al voto è stata straordinaria, ma non sono specificati gli aventi diritto al voto (quanti sono 15-20 milioni?) evidentemente per nascondere il dato dell'astensione anch'essa manifestazione di malessere e di sfiducia. Ci viene detto che i votanti del 2007 sono più numerosi rispetto al referendum sindacale del 1995 sulla "riforma" previdenziale Dini, ma va considerato che nel Protocollo Prodi ci sono degli aumenti alle pensioni, per quanto miseri, che nella precedente consultazione non c'erano. Ci viene detto che in questa occasione si sono recati alle urne 4.012.468 di lavoratori attivi e 1.102.586 pensionati dei quali avrebbe votato Sì rispettivamente il 78,32% e il 93,50%, ma anche su questo ci sono dubbi che al momento non è possibile sciogliere giacché non sono disponibili dati dettagliati e articolati. A questo proposito, Giorgio Cremaschi sostiene, sulla base di un calcolo tra i metalmeccanici e la Funzione pubblica e di una proiezione sulla altre categorie, che i votanti tra i lavoratori attivi si aggirano sui 2 milioni e 600 mila.

Un milione di No
Anche dando per buone le cifre ufficiali, ce ne sono di cose da dire. A partire dal dato complessivo del No, quasi un milione di lavoratori e pensionati, che sono tantissimi se non si dimentica il contesto in cui questi si sono espressi. Si tratta di un dissenso molto consistente, attivo e politicamente avanzato che contesta non solo l'accordo ma anche la politica economica e sociale del governo Prodi e l'operato dei vertici sindacali confederali. Un dissenso che non scompare d'incanto una volta "chiusa" la partita del Protocollo sul welfare, ma rimane in campo e si farà sentire nelle settimane e nei mesi a venire. È vero che il Sì ha vinto in tutte le regioni del Paese, ma non si possono ignorare le forti quote di No che si sono manifestate nel Centro e nel Nord del Paese: 215.034 in Lombardia, 103.192 in Piemonte, 100.570 in Umbria, 98.4459 in Emilia-Romagna, 62.288 in Toscana. 54.655 nel Veneto. Stiamo parlando delle zone del Paese più industrializzate e dove si trovano le concentrazioni operaie e sindacali più numerose.

Il voto operaio
Il voto operaio, specie nelle grandi aziende, ha bocciato l'accordo del 23 luglio, ecco un altro dato importantissimo da un punto di vista politico! Tra i metalmeccanici, la più importante categoria dell'industria, ha vinto il No. Questi i dati ufficiali: 607.890 votanti (62,80%) su 967.963 aventi diritto; 310.993 (52,39%) No, 282.578 Sì (47,61%), 13.873 schede bianche e nulle. I metalmeccanici hanno detto No in modo massiccio anche nel Mezzogiorno, diversamente dal dato complessivo confederale lavoratori-pensionati. Va aggiunto inoltre che il No ha vinto tra i meccanici nonostante che Fim-Cisl e Uilm-Uil abbiano fatto propaganda per il No e abbiano invitato i loro iscritti ad approvare l'accordo.
Per chiudere subito la discussione i vertici sindacali, come il governo e la Confindustria, cantano la solfa: "i voti si contano, non si pesano". Ma non è vero, la qualità politica del voto ha la sua importanza, eccome se ce l'ha! Ed è un fatto che nelle grandi aziende dell'industria che hanno fatto la storia sindacale del nostro Paese, ma anche nei luoghi di lavoro del pubblico impiego ad alta concentrazione di lavoratori, in molti casi se non in maggioranza ha prevalso il No. Non è possibile fare la lista completa, però basta citare gli stabilimenti Fiat, dove in tutti ha vinto il No: Mirafiori 80%, Cassino 80%, Melfi 85%, Termoli oltre 59%, Pomigliano d'Arco 92%, Termini Imerese 79%. Spulciando i dati a titolo d'esempio si può citare: Zanussi di Pordenone dove hanno vinto i No; Same di Bergamo: 727 No, 224 Sì; Ferrari di Maranello: 685 No, 528 Sì; Piaggio di Pontedera: 1.241 No, 771 Sì; Telecom Italia di Roma e Firenze dove i No hanno prevalso rispettivamente con 279 e 663 voti; Sammontana di Empoli: 261 No, 19 Sì; Comune di Milano con 63% di No; Electrolux di Forlì: 80% di No; Breda di Pistoia: 67,27% No; Lucchini di Livorno: 800 No, 502 Sì; Alenia Pomigliano: 1.048 No, 615 Sì; Fincantieri Napoli: 932 No, 83 Sì; St Microelectronics Catania: 1.019 No, 4125 Sì. E tantissime altre. Dietro i metalmeccanici vi sono realtà di peso dove l'opposizione al Protocollo Prodi si è fatta sentire in modo significativo, come nel caso dei chimici a Brescia con 2.188 No e 1.883 Sì.
C'è davvero da fare anzitutto un grosso plauso agli operai, ma anche a quei pensionati e precari che, sia pure in misura minore, hanno resistito alle fortissime pressioni esercitate dallo schieramento del Sì e hanno respinto con coraggio l'accordo bidone e controriformatore governo-sindacati-Confindustria. Cosiccome c'è da ringraziare tutti coloro che si sono impegnati coerentemente per sostenere il No. In molti casi le Rsu hanno svolto un ruolo rilevante, vedi la manifestazione toscana del 29 settembre con corteo a Firenze, vedi le numerosissime prese di posizione contrarie all'accordo stilate a conclusione delle assemblee. Più in generale l'opposizione messa in campo da Fiom, "Rete 28 aprile" e anche "Lavoro e Società" con alcune defezioni al suo interno. Sempre sul terreno sindacale sarebbero da citare i sindacati non confederali totalmente avversi al Protocollo Prodi, ma nell'occasione è da considerare sbagliata l'indicazione da parte di alcuni di boicottare il referendum.

Proseguire la lotta
Il nostro Partito ha sostenuto con tutte le sue forze il No. Sulle pagine de "Il Bolscevico" ha sviluppato una critica serrata, puntuale e pungente agli accordi sottoscritti. I militanti e simpatizzanti operai, lavoratori, precari e pensionati del PMLI, nei loro luoghi di lavoro o nelle assemblee territoriali hanno dato battaglia in prima fila per determinare la bocciatura del Protocollo, suscitando reazioni scomposte da parte dei vertici sindacali, ma riscuotendo allo stesso tempo consensi tra i presenti alle assemblee. Li dobbiamo ringraziare ed elogiare per quanto hanno fatto per il Partito e per i lavoratori. "I dirigenti nazionali del PMLI con alla testa il compagno Giovanni Scuderi - si legge in una lettera inviata alle istanze di base e intermedie del Partito - ringraziano vivamente tutti i militanti e i simpatizzanti lavoratori e pensionati del PMLI che hanno partecipato direttamente alla battaglia del No al referendum sugli accordi del 23 luglio. Dobbiamo prendere esempio - continua - dalla loro combattività proletaria rivoluzionaria e marxista-leninista". Li dobbiamo esortare a proseguire con rinnovato impegno la lotta applicando con fiducia la linea sindacale del PMLI e rilanciando la sua proposta strategica del sindacato delle lavoratrici e dei lavoratori fondato sulla democrazia diretta e sul potere sindacale e contrattuale alle Assemblee generali dei lavoratori.
Ciò appare ancora più importante nel momento in cui la Cgil di Epifani si è spostata ulteriormente a destra, tradendo gli stessi dettami dell'ultimo congresso nazionale, si è riavvicinata a Cisl e Uil fino quasi a sposarne le posizioni una volta rifiutate, rimettendo così in movimento quel processo, interrotto al tempo del governo Berlusconi, per la costituzione del sindacato (unico o unitario) della seconda repubblica, non per caso mentre si va realizzando il Partito democratico liberale di Veltroni. Uno spostamento a destra della Cgil che è apparso ancora più marcato e vergognoso dopo il voto referendario, facendo fronte comune con Cisl e Confindustria nel rivendicare dal governo l'approvazione del protocollo senza i piccoli e marginali ritocchi che Prodi ha fatto approvare nel Consiglio dei ministri del 12 ottobre relativi ai "lavori usuranti" e ai limiti nell'uso dei contratti a termine per tenere buoni gli alleati PRC, PdCI e SD. È significativo che uno come Pietro Ichino, distintosi per le sue campagne infami e mistificatrici contro i pubblici dipendenti, possa affermare: "la Cgil è uscita cambiata da questo referendum".
Le scadenze sindacali non mancano: i rinnovi contrattuali, la legge finanziaria, lo sciopero generale degli statali del 27 ottobre indetto dai confederali, lo sciopero generale del 9 novembre indetto dai sindacati non confederali.

17 ottobre 2007