All'inaugurazione dell'anno giudiziario
RIVOLTA DEI MAGISTRATI DEMOCRATICI CONTRO IL GOVERNO
Da Milano a Palermo le toghe nere abbandonano le sedi delle celebrazioni mentre parlano i rappresentanti governativi
FRANCESCO SAVERIO BORRELLI: "RESISTERE, RESISTERE, RESISTERE''
All'inaugurazione dell'anno giudiziario, sabato 12 gennaio, è esplosa nelle aule delle 26 Corti d'appello di tutta Italia la rivolta dei magistrati democratici contro il governo del neoduce Berlusconi e il suo ministro della giustizia, il leghista Castelli.
Da Milano a Palermo, da Torino a Roma, da Bologna a Napoli, centinaia di giudici e pubblici ministeri si sono presentati all'appuntamento indossando la toga nera invece che gli abiti civili per manifestare contro la linea giudiziaria di Berlusconi e, come spiega un documento dell'Associazione nazionale magistrati che ha promosso l'iniziativa, per sottolineare "la volontà di difendere l'autonomia e l'indipendenza della magistratura''.
La protesta è comunque andata oltre l'invito dell'Associazione dei magistrati raggiungendo livelli ed un'estensione che mai si erano visti nelle aule giudiziarie. In alcuni casi i magistrati per protesta sono entrati in ritardo nelle aule dove si svolgevano le cerimonie. In molte altre città le toghe nere abbandonano le celebrazioni mentre prendono la parola i rappresentanti governativi. A Napoli in duecento escono dall'aula scandendo slogan contro Berlusconi. A Lecce le toghe rosse da cerimonia che avrebbero dovuto cingere le spalle dei magistrati sistemati accanto al presidente della Corte d'appello sono stese sulle sedie lasciate vuote. A Palermo i magistrati si allontanano in corteo mentre parla il rappresentante del guardasigilli Castelli per congiungersi con un centinaio di manifestanti che dalle prime ore della mattina sosta davanti al palazzo con cartelli contro Castelli e governo e riuniti tornano a premere all'entrata dell'aula. In molte occasioni avvocati si sono uniti alla protesta dei giudici.

IL DISCORSO DI BORRELLI
Molti procuratori generali nei loro discorsi inaugurali accennano agli ultimi violenti attacchi del governo contro l'autonomia della magistratura. L'intervento più duro e organico è quello che pronuncia il procuratore generale di Milano, Francesco Saverio Borrelli, sottolineato da vere e proprie ovazioni.
Borrelli, in 23 cartelle che pubblichiamo in estratti in questa stessa pagina, denuncia l'orchestrazione di campagne televisive e giornalistiche contro la magistratura al solo scopo di far passare nell'opinione pubblica la necessità di limitare l'autonomia e l'indipendenza dei giudici. Facendo implicito riferimento al processo Sme in corso a Milano contro Berlusconi e Previti, afferma che "Un moderno codice deontologico dovrebbe sanzionare come oltraggio alla giustizia ogni esercizio di diritti all'interno del processo, che abbia come unico scopo quello di nuocere o recare ritardo al processo stesso: e mi astengo dal citare gli esempi, pur clamorosi, offerti da esperienze in corso'' per poi esclamare, a braccio, riferendosi all'arbitrario intervento del ministro della giustizia nel suddetto processo: "Che dire di un autorevole intervento esterno di sabotaggio del processo!''.
Condanna "la spinta alla modernizzazione, per le mani di chierici di recente ordinazione'' che scivola "verso concezioni aziendalistiche e produttivistiche che con la giustizia, come con l'insegnamento, come con la sanità pubblica, ben poco hanno da spartire''.
Allude alla rimozione delle scorte per quei magistrati che "guarda caso, per caso, si trovano a sostenere l'accusa contro il capo del governo''.
Quello di Borrelli, che sarà l'ultimo intervento pubblico in qualità di procuratore generale poiché il prossimo aprile andrà in pensione, è un discorso che smaschera la linea giudiziaria fascista di Berlusconi affrontando una per una tutte quelle "riforme annunciate, meglio minacciate ad ogni pie' sospinto con trasparenti intenti punitivi verso la magistratura''. "Riforme'' come la separazione delle carriere tra giudici e pubblici ministeri o la più "blanda'', ma giudicata "ingannevole'' da Borrelli, "separazione delle funzioni'' (peraltro sostenuta anche dal "centro-sinistra''); la "riforma'' del sistema elettorale del Consiglio superiore della magistratura che apre "la strada a pratiche occulte di intesa per il coagulo di voti su candidature di fatto''; "la ventilata distinzione organizzativa e funzionale della polizia giudiziaria dal pubblico ministero, e la formulazione di direttive di priorità nell'esercizio dell'azione penale che non potrebbero non essere politicamente connotate''.
Separazione delle carriere fra magistrati inquirenti e giudicanti, maggiore controllo politico sul Consiglio superiore della magistratura, controllo da parte del governo sull'azione penale: questi sono i capisaldi della linea giudiziaria di Berlusconi. Una linea tipicamente fascista che vede nella magistratura il braccio secolare dell'esecutivo al quale è totalmente asservita. Una linea già sostenuta nel '75-'76 dal "piano di rinascita democratica'' e dallo "Schema R'' della P2 e di Gelli che indicavano nel ridimensionamento dell'indipendenza e dell'autonomia della magistratura un caposaldo della repubblica presidenziale, fatta propria prima da Craxi e oggi da Berlusconi.

RESISTERE CONTRO IL REGIME

Anche Borrelli sembra aver compreso che l'attacco all'indipendenza della magistratura non è un fatto isolato, ma si inscrive in un disegno più ampio che coinvolge l'intero Stato, la sua politica, le sue istituzioni. Tant'è vero che egli esordisce il suo intervento invocando la "Resistenza'' contro il regime. Quella "Resistenza contro il regime del ventennio e dunque anche presidio di resistenza contro ogni altro regime possibile o futuro''. E conclude appellandosi ai magistrati e all'intera opinione pubblica a "Resistere, resistere, resistere come su una irrinunciabile linea del Piave''. Anche se c'è da dire che il paragone con l'episodio della prima guerra mondiale imperialista non è dei più felici e rischia di confondere le idee.
Borrelli ancora non riesce a dire esplicitamente che il regime che egli paventa è ormai già una realtà ben concreta, e nemmeno a qualificarlo per quello che è, cioè un regime capitalista, neofascista, presidenzialista e federalista. Nemmeno di fronte alla dura e fascista reazione del governo che la sera stessa dell'inaugurazione dell'anno giudiziario, ha annunciato, tramite il ministro Scajola, di aver denunciato il procuratore generale di Milano per "affermazioni disciplinarmente e penalmente rilevanti''.
Ciononostante dobbiamo salutare il fatto che magistrati democratici comincino a prendere coscienza dell'esistenza di questo regime. Come cominciano ad ammetterlo e denunciarlo, seppure in modo sfumato, fra le righe, in convegni magari tenuti all'estero, fuori dai riflettori italiani, altre forze politiche e sociali. Lo stesso segretario del PdCI, Oliviero Diliberto, a proposito dell'intervento di Borrelli ha affermato che "non posso che condividere un discorso che inizia e finisce con la resistenza al regime''. Mentre il rimbambito e sonato segretario dei DS, Piero Fassino, ha saputo definire il discorso di Borrelli solo come "un grido di dolore'' e Giuseppe D'Avanzo, opinionista dell'ulivista la Repubblica si spinge a definirlo "non utile'' e "addirittura dannoso''.
Comunque finalmente qualcuno comincia ad aprire gli occhi, seppure con colpevole ritardo. Fino a qui tutti avevano fatto finta di ignorare o addirittura avevano seppur indirettamente accusato di miopia il nostro Partito che fin dall'insediamento ha definito il secondo governo Berlusconi "un governo neofascista dalla testa ai piedi'', un governo che "costituisce il coronamento della restaurazione del fascismo sotto forme nuove, nuovi metodi e nuovi vessilli, il cui nome ufficiale, riconosciuto anche dal `centro-sinistra', è quello della seconda repubblica'' (Dal documento dell'Ufficio politico del PMLI del 19 giugno 2001).
Occorre sviluppare una guerra totale contro il governo del neoduce Berlusconi e contro il regime capitalista, neofascista, presidenzialista e federalista. E questa guerra non la si può combattere in nome della Costituzione democratico-borghese del '48 che ormai è carta straccia, ma in nome dell'Italia unita, rossa e socialista. Il fascismo è infatti una forma dello Stato che ciclicamente si ripresenta ogni volta che la classe dominante borghese si trova a fronteggiare crisi economiche, sociali e politiche ed ha bisogno di recuperare stabilità e controllo assoluto delle proprie istituzioni e di impedire anche col pugno di ferro la lotta delle masse e di classe.
Quello che ci auguriamo è che la parte più democratica della magistratura, come delle "forze dell'ordine'', delle Forze armate e di altri corpi dello Stato, che sinceramente si trova su posizioni antifasciste, si renda conto che solo il socialismo può sradicare le radici del fascismo e garantire un futuro di reale democrazia, giustizia sociale e benessere per le masse popolari italiane.

16 gennaio 2002