Alla trasmissione Rai "Vieni via con me"
Saviano denuncia i legami della 'ndrangheta con la Lega

"Come ministro e ancora di più come leghista mi sento offeso e indignato dalle parole infamanti di Saviano, animate da un evidente pregiudizio contro la Lega. Chiedo perciò il diritto di replica, un faccia a faccia nella sua stessa trasmissione per vedere se ha il coraggio di dire quelle cose guardandomi negli occhi". Questa la dichiarazione di evidente tono intimidatorio e mafioso con cui il razzista Maroni ha replicato a tambur battente alla denuncia che lo scrittore Roberto Saviano aveva fatto sull'infiltrazione della 'ndrangheta in Lombardia, e in particolare dei suoi legami con la Lega, nella puntata del 15 novembre del programma di Rai3 condotto insieme a Fabio Fazio, "Vieni via con me".
La puntata, la seconda della serie di quattro programmate, ha avuto ascolti altissimi, superiori anche a quelli già alti della prima: oltre 10 milioni di spettatori con uno share del 30%, e questo, combinato con la denuncia dell'infiltrazione mafiosa al Nord, dove la Lega si vanta di guidare amministrazioni "modello", non poteva non scatenare le ire del partito di Bossi, che difatti non si sono fatte attendere. Maroni ha anche minacciato Saviano di querela ed ha scritto perfino al capo dello Stato e ai presidenti di Camera e Senato per invocare un inesistente "diritto di replica" nello stesso programma di Rai3.
Ma che cosa aveva detto Saviano per meritarsi gli attacchi rabbiosi del ministro di polizia e, a seguire, di altri gerarchi del governo e del "Giornale" della famiglia Berlusconi, che ha lanciato addirittura una raccolta di firme contro l'autore di "Gomorra"? Nel suo monologo Saviano aveva descritto in forma di narrazione, ma sostenuta da fatti e circostanze ripresi da documenti ufficiali, sentenze, relazioni investigative e inchieste giudiziarie, i rituali segreti della 'ndrangheta calabrese e il progressivo trasferimento del suo centro di gravità al Nord, e in particolare in Lombardia. In questo quadro aveva accennato anche ai suoi rapporti col potere politico e segnatamente con la Lega: "L'organizzazione, come al Sud, cerca il potere della politica - aveva detto lo scrittore - cerca di interloquire col potere della politica; e al Nord interloquisce, come dimostra l'inchiesta, con la Lega".
Saviano si riferiva infatti ad una recente relazione che la DIA (Direzione investigativa antimafia) ha trasmesso al parlamento, e in particolare a un'inchiesta guidata dai pm milanesi Bocassini e Pignatone dalle cui intercettazioni telefoniche e ambientali emerge che un consigliere regionale della Lega (Angelo Ciocca, eletto con ben 15 mila preferenze a Pavia, per ora non arrestato né indagato), si era incontrato con il boss della 'ndrangheta Pino Neri, capo delle famiglie che controllano Milano e il suo hinterland, il quale gli voleva chiedere un "favore" in cambio dell'offerta di un appartamento a prezzi vantaggiosi.
D'altra parte la penetrazione delle mafie in Piemonte, Lombardia e Veneto, ma soprattutto a Milano, dove hanno ben 500 affiliati e fanno e riciclano fiumi di denaro con gli appalti pubblici, lo smaltimento dei rifiuti, il movimento terra, il gioco d'azzardo e la ristorazione, è cosa nota da tempo agli investigatori, come dimostrano le inchieste "Crimine", "Parcosud" e "Cerberus", con più di 300 arresti tra Lombardia e Calabria. Nell'informativa della DIA al parlamento sul primo semestre 2010 si parla di una "consolidata presenza dei clan" e di capi storici delle famiglie calabresi, che hanno ormai abbandonato le vecchie sembianze arcaiche per assumere i connotati dei "colletti bianchi", attraverso l'infiltrazione nell'economia "legale" e nella politica locale. Tra l'altro l'indagine dei pm milanesi citata da Saviano ha messo anche in luce i tentativi, abbastanza espliciti, di mettere le mani sui colossali finanziamenti pubblici per l'Expo 2015.
Lo scrittore aveva letto inoltre una nota citazione di Gianfranco Miglio, in cui il defunto ideologo federalista della Lega auspicava la "istituzionalizzazione della mafia".
Sono queste le cose che hanno mandato in bestia Maroni e i suoi camerati, che tanto hanno detto e fatto, grazie anche alla complicità dei vertici della Rai, in primis il suo direttore berlusconiano Mauro Masi, da costringere la direzione di Rai3, in un primo tempo contraria, a genuflettersi all'imposizione del ministro dell'Interno a intervenire nella terza puntata di "Vieni via con me", per leggere un elenco dei suoi "successi" nella lotta alla mafia. Si tratta di un fatto gravissimo e senza precedenti per un servizio pubblico come la Rai, dove un suo programma culturale indipendente è stato costretto a viva forza con pressioni e intimidazioni a farsi ufficialmente megafono della propaganda di regime. E per di più dopo che per "riparazione" a Maroni erano già state messe servizievolmente a disposizione le tribune di "Matrix" (Canale 5), "Porta a Porta" (Rai1), "L'ultima parola" (Rai2) e "In 1/2 ora" (Rai3).
È un pericoloso precedente che d'ora in poi potrà essere invocato dal governo per interferire in qualsiasi programma con il pretesto del "mancato contraddittorio". Incredibile che questo nuovo tassello della strategia per il controllo dell'informazione sia stato tranquillamente avallato anche dal PD liberale, a cominciare dal direttore di Rai3 Paolo Ruffini, che ha espresso il suo "benvenuto" a Maroni, per finire col vicepresidente della Vigilanza Rai, Giorgio Merlo, per il quale il "contraddittorio" in Rai "non può essere un'eccezione ma dovrebbe essere la regola anche in una rubrica culturale".

9 dicembre 2010