Grazie al voto unitario del Polo e dell'Ulivo
I SAVOIA RIENTRANO IN ITALIA
Tradita ancora una volta la Costituzione antifascista e antimonarchica. Furono i fascisti del MSI (ora AN) i primi a chiedere il ritorno dei Savoia
I SAVOIA SONO I REGNANTI CHE CONSEGNARONO L'ITALIA AL FASCISMO E LA TRASCINARONO NELLA 2a GUERRA MONDIALE
L'11 luglio, con 247 voti a favore, 69 contrari e 44 astensioni, la Camera ha dato il via libera definitivo al rientro dei Savoia in Italia. Casa del fascio e Ulivo hanno votato pressoché compattamente a favore, salvo l'astensione della Lega e del PRI e qualche mal di pancia tra le file dei DS, Verdi e Margherita. Contrari PdCI e Rifondazione. Il voto riguardava l'abrogazione del primo e del secondo comma della XIII disposizione della Costituzione, che vietavano rispettivamente l'esercizio dei diritti politici ai membri e ai discendenti di Casa Savoia e l'ingresso e il soggiorno in Italia ai discendenti maschi della famiglia.
Rimane la possibilità teorica di un referendum confermativo, che può essere richiesto entro i prossimi tre mesi da 5 Consigli regionali, 500 mila elettori o un quinto dei parlamentari di una delle due Camere, perché nelle prime due delle quattro votazioni (Camera e Senato due volte a distanza di tre mesi) previste dall'articolo 138 della Costituzione non era stata raggiunta la maggioranza dei due terzi. Ma si tratta di un'eventualità molto remota, in quanto nessun partito tra quelli che hanno votato contro ha manifestato l'intenzione di ricorrere a questa procedura.
Si è praticamente conclusa, con questo ennesimo strappo alla Costituzione repubblicana, la vergognosa vicenda parlamentare iniziata nel 1979 con la richiesta dell'allora MSI-DN (oggi AN) di revocare il divieto costituzionale al rientro dei Savoia in Italia. Da allora questa infame causa ha raccolto per strada molti seguaci, non soltanto nello schieramento di destra del parlamento nero, ma anche tra i socialisti e i rinnegati del comunismo, a partire da quelli che ricoprivano le più alte cariche istituzionali come Pertini e Violante. Tant'è vero che fu il governo di "centro-sinistra'' Prodi, nel '97, a presentare per primo un disegno di legge di revisione costituzionale per abrogare il primo e secondo comma della XIII disposizione. Disegno che fu votato quasi all'unanimità al Senato, e che poi si arenò alla Camera anche per le ignobili e "incaute'' dichiarazioni dei Savoia di giustificazione delle leggi razziali del '38.
Questo nero progetto è stato poi ripreso e condotto in porto dal secondo governo Berlusconi, ma la cosa non sarebbe stata possibile senza il consenso dell'"opposizione'', e segnatamente dei rinnegati DS. La foglia di fico che ha consentito a questi ultimi di buttare a mare ogni residuo pudore e collaborare con Berlusconi e i fascisti allo sfregio costituzionale è stata la cosiddetta "dichiarazione di fedeltà alla Costituzione repubblicana'' che Vittorio Emanuele fece alla vigilia del primo voto in Senato del 15 febbraio scorso (vedi "Il Bolscevico'' n. 7/2002). Un atto puramente verbale e senza alcun valore legale, del resto subito rimangiato in altre dichiarazioni successive dei Savoia, ma che tanto è bastato ai rinnegati della Quercia per consumare questo ennesimo tradimento della Resistenza, abolendo anche la discriminante antimonarchica dopo aver già abolito quella antifascista.
Tanto la destra quanto la "sinistra'' del regime neofascista sostengono all'unisono che questo voto era ormai un atto dovuto sia per ragioni "umanitarie'' sia perché i Savoia non rappresenterebbero più un pericolo per la Repubblica. Niente di più falso. La XIII disposizione non era rivolta contro singoli individui, ma contro l'intera casa regnante in quanto tale, che si era macchiata di crimini storici enormi e incancellabili, spalancando le porte al fascismo e trascinando il Paese nel massacro della 2a guerra mondiale e consegnandolo agli invasori nazisti. Vietando agli eredi Savoia il rientro in Italia e l'esercizio dei diritti civili, tra cui la possibilità di accedere al Parlamento e quindi anche alle più alte cariche istituzionali, i costituzionalisti intesero formulare una condanna storica definitiva mettendo al bando i Savoia dall'Italia repubblicana e nel contempo porre saggiamente al riparo la Repubblica da ogni tentativo di restaurazione monarchica, sia dall'esterno che dall'interno delle istituzioni. E ne avevano tutti i motivi, considerando fra l'altro il tentativo di golpe che il "re di maggio'' Umberto II cercò di organizzare contestando l'esito del referendum per la Repubblica del giugno 1946.
Questo pericolo non è affatto "superato'' né tantomeno scomparso, se si pensa che quel referendum è tuttora contestato dalle forze monarchiche e reazionarie, le quali non aspettano altro che il ritorno di Vittorio Emanuele in Italia per ricompattarsi e ricominciare a tramare per la restaurazione della monarchia. Un progetto che oggi può sembrare da operetta, ma che in un futuro non tanto remoto, in uno scenario in cui il secessionismo leghista dovesse avere il sopravvento, potrebbe avere una pericolosa attrattiva demagogica, soprattutto nel Meridione. Non a caso Vittorio Emanuele ha già annunciato di volersi far eleggere in Parlamento e magari assumere anche una carica di governo, andando intanto così ad ingrossare le file della Casa del fascio guidata dal neoduce Berlusconi, alla faccia delle sue dichiarazioni di "neutralità'' politica.
Vista in questo quadro la questione "umanitaria'' avrebbe dovuto essere del tutto ininfluente, per il parlamento nero, rispetto alla tutela degli interessi collettivi del Paese, come lo era stata per i costituzionalisti. Tanto più considerando di che pasta è fatto il capo della famiglia che rivendicava l'abrogazione di quella che il neoduce Berlusconi, suo compare di loggia massonica (P2) ha definito "un'ingiustizia che è durata troppo a lungo''. Parliamo di Vittorio Emanuele, tessera P2 n. 1621, amico intimo di Licio Gelli, trafficante internazionale dichiarato di armi e sospetto di droga, assassino di un giovane turista tedesco ucciso per futili motivi nel 1978 e scandalosamente assolto da un tribunale francese compiacente.
La stessa formula ipocrita e ambigua con cui sono stati cancellati i primi due commi della XIII disposizione, dichiarandone cioè "decaduti gli effetti'', dimostra oltretutto la malafede del parlamento nero del regime neofascista, che in questo modo ha inteso aggirare il problema di trovare una giustificazione moralmente e giuridicamente motivata all'abrogazione della norma costituzionale. Creando tra l'altro un precedente pericolosissimo, che potrà essere impugnato in futuro per abrogare senza fondato motivo, ma solo sulla base del consenso di maggioranza e "opposizione'', altre norme costituzionali come lo stesso terzo comma della XIII disposizione, che avoca allo Stato i beni della Casa Savoia (di cui quest'ultima già rivendica la restituzione), e la XII disposizione che vieta la riorganizzazione del disciolto partito fascista.

24 luglio 2002