Dopo 87 giorni di detenzione
Scarcerato Ricucci, lo scalatore del "Corriere della sera"
L'immobiliarista è accusato di aggiotaggio, false fatturazioni e occultamento di scritture contabili ma chi c'era dietro questo "furbetto del quartierino"?

Dopo 87 giorni di detenzione, il 14 luglio l'immobiliarista di Zagarolo Stefano Ricucci, protagonista insieme a Fazio, Fiorani e Consorte della tangentopoli bancaria e della scalata al "Corriere della Sera", è stato scarcerato.
La svolta nelle indagini è arrivata a fine giugno, quando la Guardia di Finanza durante l'ennesima perquisizione scopre la contabilità segreta di Ricucci composta da alcuni faldoni e cd-rom nascosti nel controsoffitto degli uffici della Magiste.
Da una prima analisi del materiale risulta che ammonta a quasi 170 milioni di euro la somma dei redditi sottratti a tassazione dalle società del Gruppo Magiste. Una cifra alla quale occorre aggiungere un'evasione dell'Iva per oltre 34 milioni di euro.
Messo con le spalle al muro, Ricucci si è finalmente deciso a vuotare il sacco raccontando ai Pm tutta la sua verità sul tentativo di scalata alla Rcs. Una verità, tutta da verificare, ma che per ora ha soddisfatto il Gip inducendolo a decidere per la scarcerazione dell'imputato.
Accusato di aggiotaggio, false fatturazioni e occultamento di scritture contabili, Ricucci era stato arrestato il 18 aprile scorso su ordine della Procura di Roma nell'ambito dell'inchiesta sulla scalata Rcs.
Secondo i Pm romani Rodolfo Sabelli e Giuseppe Cascini il "furbetto del quartierino" stava per reiterare il reato per cui la procura lo indaga da più da un anno, aggiotaggio informativo e finanziario, imbastendo una nuova spericolata operazione finanziaria con l'obiettivo di vendere a prezzo maggiorato il pacchetto di azioni Rcs dato in pegno alla Bpi all'epoca in cui il presidente della banca era ancora Gianpiero Fiorani. E inoltre aveva anche il potere di inquinare le prove a suo carico, come dimostra l'arresto di tre uomini che negli ultimi mesi si erano incaricati di consegnargli preziose informazioni sulle indagini e che sono finiti in manette accusati di rivelazione del segreto istruttorio e favoreggiamento. Infatti insieme a Ricucci sono finiti in cella un ex colonnello dell'esercito, Vincenzo Tavano, un brigadiere della Guardia di Finanza, Luigi Leccese, e un imprenditore, Tommaso Di Lernia. I tre sono stati arrestati con le accuse di rivelazione di segreto d'ufficio e favoreggiamento.
Secondo quanto riportato dai magistrati nelle ordinanze di custodia cautelare, Ricucci, già indagato, stava tentando di compiere altre operazioni illecite nel ricollocamento del pacchetto di quote azionarie Rcs in suo possesso (il 14%), attualmente in pegno alla Banca popolare italiana. Due società fittizie che facevano capo a Ricucci, contando su finanziamenti provenienti da una banca di New York e un istituto di credito olandese, avrebbero dovuto acquistare azioni Rcs a un prezzo più alto di quello effettivo, facendo così lievitare il valore generale del titolo. In questo modo l'immobiliarista avrebbe potuto ricollocare sul mercato il pacchetto in suo possesso a un prezzo più alto ed estinguere il debito di oltre 700 milioni di euro che aveva con la Bpi ed evitare la bancarotta.
Il suo progetto, però, è saltato perché tutte le conversazioni telefoniche di Ricucci erano da tempo all'attenzione degli investigatori della Guardia di finanza. Secondo quanto si è appreso era il finanziere Leccese a raccogliere le informazioni sulle indagini, soprattutto dando soffiate sulle perquisizioni che il nucleo valutario delle Fiamme gialle ha eseguito nelle sedi della Magiste in questi mesi. Leccese passava poi le informazioni a Tavano che aveva il compito di avvertire Di Lernia, l'imprenditore. Secondo fonti giudiziarie quest'ultimo avrebbe parlato al telefono, un cellulare che gli arrestati definivano nelle intercettazioni "sicuro", con Gargiulo, braccio destro dell'immobiliarista, e con lo stesso Ricucci.
Luigi Leccese in servizio nella sede del nucleo valutario che indaga proprio su Ricucci non aveva nessun compito operativo, era "responsabile dei beni immobili della caserma" con l'incarico di occuparsi della manutenzione dello stabile: dagli impianti di condizionamento e riscaldamento alla gestione di piccoli interventi edilizi. Vincenzo Tavano, ex ufficiale dell'esercito in congedo e amico di vecchia data di Stefano Ricucci, mai entrato nelle indagini fino a questo momento aveva pensato proprio a lui per ottenere quelle informazioni sull'andamento dell'inchiesta a cui l'amico Ricucci gli aveva chiesto di badare. L'aveva contattato tramite Tommaso Di Lernia, titolare di una piccola ditta edile basata a Roma. E Leccese, cinquantenne, romano, finanziere senza grosse speranze di carriera aveva creduto di aver incontrato finalmente l'affare della vita. Avrebbe fatto avere a Ricucci l'informazione "giusta" e l'imprenditore in cambio avrebbe mostrato "molta gratitudine" come spiegava Di Lernia in una delle intercettazioni che hanno portato all'arresto dei tre. Ignaro di essere intercettato dai suoi colleghi Leccese a fine marzo aveva fatto sapere a Ricucci che il 29 il gip aveva autorizzato l'ennesima perquisizione, negli uffici della Magiste di Roma.
Pur sapendo che a quel punto l'operazione era bruciata, per non insospettire i diretti interessati il 4 aprile, il giorno successivo all'ennesimo interrogatorio dell'imprenditore, i finanzieri si sono effettivamente presentati nelle sedi della finanziaria. E nelle cinque sedi del gruppo, piazzate tra Roma e provincia, hanno ottenuto la prova del tradimento di Leccese: gli uffici erano stati diligentemente ripuliti da tutti i documenti che avrebbero potuto avere qualche valore.
Da qui, secondo i Pm, la prova decisiva inerente il pericolo di reiterazione del reato e inquinamento delle prove che hanno reso necessario il ricorso alla custodia cautelare in carcere di Ricucci e della sua banda di "furbetti".
I reati di false fatturazioni e occultamento di scritture contabili riguardano invece le false scritture contabili emesse dalla società "Il Corso", che avrebbe fatto un falso sgombero dell'immobile di via Lima, nel quartiere Parioli a Roma, oggetto di una compravendita tra lo stesso Ricucci e l'ex presidente di Confcommercio Sergio Billè. Indagato per appropriazione indebita dalla procura di Roma, proprio per la compravendita del palazzo. La società, che era intestata secondo le accuse ad un prestanome di Ricucci, avrebbe effettuato fittiziamente anche la ristrutturazione dell'immobile di viale Lima, per un finto corrispettivo di 11 milioni di euro.
Il 3 aprile i Pm Cascini e Sabelli avevano interrogato per l'ennesima volta Ricucci, sempre nell'ambito delle indagini sul suo tentativo di scalata alla Rcs, il quale aveva consegnato ai magistrati una memoria e due consulenze contabili, redatte l'una dalla Worburg Bank e un'altra sull'andamento del titolo Rcs dalla Deloitte & Touche e con la solita faccia tosta al termine dell'interrogatorio aveva dichiarato, attraverso i suoi legali, di aver fornito tutte le spiegazioni necessarie per chiarire la sua posizione.
Come è accaduto per tutte le indagini finanziarie degli ultimi tempi, anche questa si incrocia con quelle milanesi. Infatti a Milano Ricucci è indagato da maggio dai pm Eugenio Fusco e Giulia Perrotti per concorso in aggiotaggio, insider trading e ostacolo all'attività degli organi di vigilanza. Secondo le carte del palazzo di giustizia era uno dei "concertisti" che, rastrellando azioni Antonveneta, avevano tentato di scippare la banca di Padova agli olandesi di Abn Amro. A dicembre, con l'arresto di Fiorani, è seguita anche l'accusa di associazione per delinquere.
Alla luce degli ultimi sviluppi investigativi è chiaro che l'avventura nell'alta finanza dell'immobiliarista d'assalto di Zagarolo, finanziato da Gianpiero Fiorani, consigliato dall'uomo di fiducia di Silvio Berlusconi, Ubaldo Livolsi, tacitamente appoggiato dal neoduce e dall'ex governatore di Bankitalia Fazio, è ormai finita in malo modo. Ma la scia di ombre che la meteora finanziaria di Ricucci si lascia dietro il tragitto è ancora tutta da chiarire.
Dalle carte in mano agli inquirenti di Roma e Milano emerge chiaramente che egli non era affatto solo nella scalata al "Corriere della Sera". Risulta evidente che ad un certo punto è intervenuto un patto politico tra il gruppo di potere che ruotava attorno a Gianpiero Fiorani e Antonio Fazio e la presidenza del Consiglio guidata dal neoduce Berlusconi. Dalla scalata di Ricucci Berlusconi aveva tutto da guadagnare: gli avrebbe avrebbe consegnato su un piatto d'argento il fastidioso "Corriere della Sera" schierato coi "comunisti" ma da sempre nel mirino della P2 fin dai tempi di Gelli, Sindona e Calvi. E se tutto fosse andato come previsto, nel sistema bancario italiano ci sarebbe un centro di potere alleato di Berlusconi sotto la guida ferrea di Antonio Fazio e, dall'altro lato, la soluzione della guerra intestina all'interno dell'Unione fra Ds e Margherita per il controllo della Bnl da parte di Unipol.
Alla luce delle inchieste di Roma e Milano è plausibile, visti anche gli stretti rapporti d'affari e di amicizia fra Consorte e Sacchetti e i "furbetti del quartierino", che tra le varie cordate sia intervenuto un accordo del tipo: tu Unipol mi aiuti per l'affare Antonveneta, mentre io, Fiorani, intervengo a sostegno della tua Opa alla Bnl e con il beneplacito consenso di Fazio lasciamo che Ricucci faccia il gioco di Berlusconi nella partita per il controllo dell'Rcs.
Il famigerato summit a palazzo Chigi tra Berlusconi, Fazio e Fiorani, dicono in molti, è la prova di questo accordo che trova altri riscontri ad esempio nel varo decreto sullo "scudo fiscale" grazie al quale Ricucci ha potuto riportare gran parte dei suoi capitali reinvestiti in azioni Rcs e alla contemporanea cessione del 17 per cento di Mediaste (con un ricavo di 2,2 miliardi di euro) operata da Berlusconi forse proprio per avere il contante pronto per aggiudicarsi l'Opa sul quotidiano di via Solforino ventilata da Ricucci nella primavera 2005.

26 luglio 2006