Nonostante sia stata abolita nell'Ottocento. Ad Haiti nel 1791
La schiavitù esiste ancora nel mondo
Il mondo è popolato da 27 milioni di schiavi
Dovunque esiste la schiavitù salariata

Il 23 agosto del 1791 una rivolta degli schiavi africani deportati ad Haiti si concluse con la proclamazione della repubblica nell'isola. Quella data è simbolicamente considerata l'inizio della fine dello schiavismo ed è stata ricordata lo scorso 23 agosto dalle Nazioni Unite nella giornata internazionale della lotta alla schiavitù promossa dall'Unesco.
Nella giornata a Cincinnati, nell'Ohio, la "terra promessa" per 100 mila schiavi fuggiti dagli stati del Sud è stato inaugurato un museo sulla schiavitù. E l'Onu nella sua iniziativa ha ricordato che la schiavitù è stata abolita nel 1833 in Gran Bretagna, nel 1848 in Francia, nel 1865 negli Usa e nel 1888 in Spagna. Abolita sulla carta ma ancora presente nella società capitalista: secondo i dati ufficiali dell'Unesco nel mondo ci sono 27 milioni di schiavi, di persone che sopravvivono in condizioni simili agli schiavi di due secoli fa.
Sono uomini, donne e bambini che in quasi il 90% dei paesi dell'Africa continentale lavorano nei campi come schiavi: i bambini venduti dalle povere famiglie, gli uomini prigionieri di guerra, le donne come serve. Fra i dati citati dall'Unesco quello del Sudan dove almeno 15 mila persone all'anno vengono rapite per essere schiavizzate; in Mauritania la schiavitù è stata formalmente abolita nel 1981 ma è ancora impunemente praticata dai padroni dei campi e delle aziende e sarebbero almeno un milione le persone rapite nelle case e vendute come merce. Identica situazione negli altri continenti: dal Pakistan, in Asia, dove nella provincia di Sindhi persone di ogni età sono comprate e vendute, al Brasile, in Sudamerica, dove solo lo scorso anno mille lavoratori schiavi sono stati liberati nelle piantagioni amazzoniche.
Le agenzie dell'Onu denunciano che la piaga della schiavitù è molto più ampia dei dati censiti, una conferma che è congenita al sistema capitalista nella versione formalmente abolita nell'Ottocento assieme a quella "legale" della schiavitù salariata.
Alcuni dati significativi: sono quasi 180 milioni i bambini sotto i dieci anni al lavoro nel mondo e impiegati anche in lavorazioni pericolose o tossiche; 800 mila donne, in gran parte giovani e bambine, ingrossano ogni anno il mercato della prostituzione forzata. In Thailandia sono almeno 200 mila le schiave destinate al mercato del turismo sessuale. Il commercio delle persone è diventato una ricca industria sulla pelle dei migranti e degli immigrati clandestini per fornire manodopera a bassissimo costo ai pescecani capitalisti. Sono almeno 500 mila, secondo l'Onu, le persone che attraversano clandestinamente la frontiera tra il Messico e la California per lavorare come stagionali clandestini nella raccolta di pomodori e carciofi; sono la versione "moderna" degli africani scaricati fin dal 1600 dalle navi dei trafficanti sulle coste della Virginia e destinati alle piantagioni di tabacco.
Ma non c'è solo la questione del commercio delle persone, con la cosiddetta "globalizzazione" le multinazionali hanno sviluppato al massimo anche lo spostamento del lavoro, soprattutto manuale, verso quelle parti del mondo dove i lavoratori sono meno pagati e hanno meno diritti. Secondo l'Onu nelle fabbriche di abbigliamento, componenti elettronici, palloni, i nuovi schiavi in Pakistan, Cina, Thailandia, Malesia e America Latina sono supersfruttati e pagati con pochi centesimi l'ora.

15 settembre 2004