Schifani al Senato, Fini alla Camera
Eletti i presidenti del parlamento della terza repubblica
I parlamentari della "sinistra" borghese non danno battaglia, si astengono e applaudono i due eletti
Iniziato il dialogo sulle controriforme costituzionali

Con l'elezione del forzista Renato Schifani a presidente del Senato e del leader di AN Gianfranco Fini a presidente della Camera, si è insediato il parlamento nero della terza repubblica. Quello che dovrà completarla e ufficializzarla con la controriforma della Costituzione alla quale, per unanime volontà di tutti i partiti rappresentati, sarà dedicata questa XVI legislatura.
Schifani è stato eletto il 29 aprile alla prima votazione con 178 voti, quattro in più della maggioranza formata da PdL-Lega Nord e MPA, tra cui il voto del capo dei gladiatori Cossiga e - si dice - perfino uno proveniente dal PD. I tre senatori dell'UDC avrebbero invece votato scheda bianca, così come quelli del PD, tranne 13 voti andati alla radicale Emma Bonino, due a Beppe Pisanu e uno al presidente uscente Franco Marini.
Fini è stato eletto il 30 aprile alla quarta votazione con 335 voti, quando il quorum è sceso da due terzi alla maggioranza assoluta. Anche in questa occasione il PD ha rinunciato a proporre un proprio candidato e ha votato scheda bianca. I parlamentari della "sinistra" borghese hanno dunque rinunciato in partenza a dare battaglia, col preciso intento di lanciare un segnale di distensione e disponibilità alla maggioranza neofascista pensando alle controriforme costituzionali da fare insieme, tant'è che si sono uniti agli applausi corali che hanno salutato l'elezione dei due presidenti. E ancor più nauseante è stata la loro partecipazione anche alle ovazioni in piedi che hanno sottolineato i passaggi politici più significativi dei discorsi di investitura dei due presidenti neofascisti.
D'altra parte l'amo per questa vergognosa resa senza condizioni all'arroganza del PdL, che si è preso d'imperio entrambe le cariche senza nemmeno una formale consultazione con le minoranze, è stato loro lanciato dagli stessi eletti, che hanno centrato i loro discorsi sulle controriforme per la terza repubblica non senza condirli con blandizie e lusinghe al partito di Veltroni per tirarlo nella partita. Alle quali quest'ultimo è stato ben lieto di abboccare.
Non a caso Schifani, che nella precedente legislatura, come capogruppo di FI, non aveva lesinato gli attacchi rabbiosi contro Marini, la maggioranza e il Quirinale, stavolta ha esordito rivolgendo un "saluto deferente al capo dello Stato, presidente Giorgio Napolitano, supremo garante della Costituzione e dell'equilibrio delle istituzioni", esaltandone anche "le sue doti di saggezza e la sua ferma cultura istituzionale". Dopodiché ha ringraziato Marini apprezzandone "le doti di equilibrio e la capacità di includere in un comune percorso tutte le componenti parlamentari", e ha completato l'opera ricordando la "correttezza e compostezza" del confronto con la senatrice Finocchiaro quando presiedeva il gruppo dell'Ulivo al Senato. Quanto a Fini, anche lui ha fatto sfoggio di magnanimità e ha rivolto "un doveroso quanto sincero e particolare saluto" a Napolitano, "supremo e imparziale garante della Costituzione". Cosa che ha fatto andare in brodo di giuggiole il rinnegato del Quirinale, che da Graz (Austria) ha fatto subito sapere che quelli dei due presidenti "sono interventi molto misurati, preoccupati di contribuire a un clima di dialogo e di confronto e mi auguro che tutto ciò sia poi confermato dagli sviluppi successivi".

"Una feconda stagione di riforme condivise"... fasciste
Questo è stato l'antipasto che è servito ad introdurre il piatto forte, vale a dire l'invito al PD a porre mano insieme alle controriforme istituzionali. "Questo - ha detto infatti Schifani con tono tra il conciliante e il perentorio e riallacciandosi alla quasi intesa raggiunta tra Veltroni e Berlusconi prima della caduta di Prodi - sarà uno degli elementi fondanti di questa legislatura che si apre, durante la quale è indispensabile che si sappia conservare e preservare il valore della reciproca legittimazione delle parti emerso sul finire della scorsa legislatura in occasione dell'apertura del dialogo sulla legge elettorale". Questa "reciproca legittimazione" tra forze "avversarie ma non nemiche", ha aggiunto, "rafforza il parlamento". E "l'avvenuta semplificazione del quadro politico potrà aiutare la stabilità e potrà aprire, in tempi brevi, una feconda stagione di riforme condivise. La riduzione dei Gruppi parlamentari potrà rappresentare una significativa facilitazione dei lavori di quest'Aula e delle Commissioni". Un chiaro ammiccamento a Veltroni, come a dire che con la cancellazione della "sinistra radicale" dal parlamento e l'emarginazione di Casini l'occasione non potrebbe essere più favorevole affinché il neoduce e il leader del PD possano perfezionare in tutta tranquillità quell'accordo bipartitico per la terza repubblica che avevano cominciato ad impostare alla fine della scorsa legislatura.
Da parte sua Fini, nel proclamare con perentorietà che "la XVI legislatura dovrà essere per davvero una legislatura costituente", ha rivolto al PD lo stesso invito riallacciandosi alle "riforme istituzionali" già abbozzate nella commissione presieduta da Violante prima della caduta del governo dell'Unione: "Nella passata legislatura - ha detto infatti il caporione fascista - la Commissione affari costituzionali di questa Camera ha messo a punto una proposta, ampiamente condivisa, per superare il cosiddetto bicameralismo perfetto, per rafforzare con equilibrio il ruolo dell'esecutivo e il potere di indirizzo e di controllo del Parlamento, per realizzare un federalismo unitario e solidale. Mi auguro che da essa si possa ripartire in questa legislatura per definire una nuova architettura costituzionale che faccia della nostra democrazia una democrazia più rappresentativa e più governante".

La faccia conciliante e la faccia arrogante dei vincitori
Naturalmente i due presidenti neofascisti non hanno mostrato solo la faccia conciliante e "bipartisan" adatta al dialogo sulle controriforme costituzionali, ma anche quella arrogante e fascista dei vincitori decisi a far capire che sono loro ad avere il coltello dalla parte del manico e che il programma neofascista della nuova Casa del fascio di Berlusconi, Fini e Bossi sarà comunque realizzato senza guardare in faccia a nessuno.
Così Schifani ha annunciato un pesante giro di vite contro gli immigrati in nome della legalità e della sicurezza "come valore irrinunciabile", mettendo questa politica xenofoba e razzista avanti alla stessa "azione di contrasto a tutte le mafie", citata solo di sfuggita e per proforma. Ha invocato la difesa "senza tentennamenti" delle "nostre radici cristiane" e il ruolo dell'Italia nell'Europa e nel mondo attraverso il rafforzamento del "saldo rapporto atlantico ed il ruolo geopolitico nella grande area del Mediterraneo". Ha infine esaltato la politica interventista delle missioni militari "di pace" elevando un inno nazionalista e patriottardo "ai ragazzi di Nassiriya e agli altri che, come loro, hanno scritto il loro nome nel Pantheon degli eroi della pace", suscitando con ciò l'ovazione in piedi di tutta l'aula.
Fini ha addirittura iniziato il suo discorso rivolgendo "un deferente omaggio" al papa nero Ratzinger, "guida spirituale della larghissima maggioranza del popolo italiano e indiscussa autorità"; per poi spronare il parlamento a riconoscere, "in nome della laicità delle istituzioni" (sic), "il ruolo fondamentale che nell'arco dei secoli la religione cristiana ha avuto e ha tuttora nella formazione e nella difesa della identità culturale della nostra patria, della nazione italiana, nazione di cui è simbolo la bandiera tricolore esposta in quest'Aula e alla quale rendo omaggio".
Il suo sbrigativo riconoscimento delle due ricorrenze del 25 Aprile e del 1° Maggio che tanto clamore ha suscitato non è stata certo un'abiura del fascismo (che infatti si è ben guardato anche solo dal nominare), ma solo un pretesto per tuonare contro "coloro che si ostinano ad erigere steccati di odio" (leggi gli antifascisti) e per invocare con pretenziosità "la ricostruzione di una memoria condivisa" e "una sincera pacificazione nazionale", ringraziando per questo l'impegno profuso dagli ex presidenti Cossiga e Ciampi: evidentemente per aver sdoganato per primi i fascisti della "repubblica di Salò" tra i caduti "per amore della comune patria italiana" .
Il caporione fascista ha fatto suo anche il tema caro a Ratzinger del "relativismo culturale", da lui definito "la maggiore insidia alla libertà" nel nostro tempo, insidia da sventare attraverso la famiglia e la scuola, il cui ruolo deve essere riconosciuto e valorizzato dalle istituzioni e in primis dal parlamento. Un discorso insomma, quello dell'erede del boia Almirante, che ha riproposto in tutta la sua reazionaria e tenebrosa concezione la triade dio-patria-famiglia di mussoliniana memoria.
Ciononostante il partito del neonazionalista e presidenzialista Veltroni non solo non ha battuto ciglio a questo discorso di chiaro stampo clerico-fascista che è tutto un programma, ma si è addirittura unito senza alcun imbarazzo agli applausi patriottardi e interventisti che hanno sottolineato l'esaltazione che Fini ha fatto delle "nostre Forze armate" impegnate nelle missioni di guerra internazionali e all'ovazione finale in piedi alla fine dell'intervento. E se è vero che il buondì si vede dal mattino ci sono tutte le premesse per capire che la "sinistra" borghese, malgrado le sonore sconfitte subite e il fallimento della linea veltroniana, è ormai votata irrevocabilmente al dialogo col neoduce Berlusconi, il fascista Fini e il bandito secessionista e razzista Bossi per realizzare la terza repubblica capitalista, neofascista, presidenzialista, federalista e interventista.

7 maggio 2008