Sciopero generale in Spagna contro la politica di lacrime e sangue del governo socialdemocratico

Il 29 settembre, in concomitanza con la mobilitazione dai sindacati europei contro le politiche di austerità di tutti i governi continentali, si è svolto in Spagna il primo sciopero generale da quando è salito al governo il socialista José Luis Rodriguez Zapatero, anch'esso impegnato in una politica di lacrime e sangue per tirare fuori il paese dalla crisi economica; come i suoi colleghi di destra e di "sinistra" ha messo in cantiere un programma di tagli e controriforme da far invidia al più accanito liberista. Riforma del mercato del lavoro, taglio dei salari pubblici, congelamento degli importi delle pensioni e l'annunciata riforma delle pensioni per aumentare l'età pensionabile da 65 a 67 anni sono i principali capitoli del progetto governativo che, in via di attuazione dal maggio scorso, scarica i problemi sui lavoratori e le masse popolari.
Dopo alcuni scioperi di settore i principali sindacati spagnoli, le Ccoo e Ugt, hanno finalmente proclamato lo sciopero generale che ha visto una buona partecipazione, circa il 70%, dei dieci milioni di lavoratori del settore pubblico e privato; trasporti bloccati in tutto il paese, picchetti davanti le fabbriche, grandi manifestazioni in particolare a Madrid, Barcellona, Siviglia e Valencia.
Poco più di due anni fa Zapatero annunciava trionfante il sorpasso della Spagna sull'Italia e reclamava una poltrona al G8. Il boom economico spagnolo era legato essenzialmente all'espansione della bolla immobiliare, promossa dal destro Aznar, una crescita che sembrava inarrestabile fino all'esplosione alla fine del 2008.
La successiva devastante crisi finanziaria globale ha fatto crollare l'economia e le illusioni propagandate da Zapatero.
Il debito pubblico spagnolo è raddoppiato in tre anni, dal 36 al 72%, il deficit è schizzato all'11,2% e la disoccupazione è arrivata al dato record di quasi il 20%, il doppio della media europea, quasi 5 milioni di disoccupati che continuano a aumentare.
Con l'obiettivo di riduzione del deficit pubblico al 3% nel 2012, il governo ha usato la mannaia per colpire soprattutto lavoratori e masse popolari. Ha varato nel maggio scorso una manovra caratterizzata da tagli alle opere pubbliche e ai finanziamenti di comuni e regioni, dal congelamento di salari e pensioni, dalla riforma del mercato del lavoro che favorisce i licenziamenti senza giusta causa, riduce il tempo dei preavvisi e taglia del 40% le indennità che spetterebbero ai lavoratori e permette ai padroni di spostare a loro piacimento la sede del luogo di lavoro. Sono provvedimenti che violano i contratti collettivi vigenti, giustificati dal governo come necessari dato l'emergenza per fronteggiare la crisi economica. Completa il programma l'annunciata riforma delle pensioni per innalzare l'età pensionabile.
Alla vigilia dello sciopero generale il premier Zapatero aveva provato a rabbonire le organizzazioni sindacali invitandole al palazzo della Moncloa per riprendere la discussione sulle riforme. Aveva garantito "i massimi sforzi per mantenere il dialogo con i sindacati e il padronato" su riforma delle pensioni, degli interventi a favore dell'occupazione giovanile, sui contratti collettivi e la prossima Finanziaria che presenterà a breve alle Cortes, il parlamento. Ma anche sottolineato che non aveva nessuna intenzione di fare marcia indietro sulla riforma del lavoro varata lo scorso 9 settembre. Un invito definito dalle organizzazioni sindacali come "una manovra rozza e demagogica" che hanno respinto. La parola al momento è alla piazza, alla protesta dei lavoratori che hanno detto un chiaro no alla politica di lacrime e sangue dal governo socialdemocratico di Zapatero.

6 ottobre 2010