Lo rileva il rapporto sulla scuola italiana 2010
Al Sud le scuole di serie B
Il federalismo scolastico aggraverà le condizioni degli studenti meridionali

Che in Italia il diritto all'istruzione e alla fomazione non sia mai stato garantito a tutti non è certo una novità, la novità semmai è che a registrare il divario crescente con gli altri Paesi capitalisti europei nonché la disastrosa condizione del diritto allo studio nel martoriato Mezzogiorno ora sono anche i responsabili di questa situazione: i padroni e il governo. Ci riferiamo al "Rapporto sulla scuola in Italia 2010" redatto dalla Fondazione Agnelli e presentato a Roma dal direttore dell'Istituto di ricerca torinese, Andrea Gavosto, con la partecipazione del ministro dell'Istruzione (o meglio della d-istru-
zione della scuola pubblica) Mariastella Gelmini, e dei pescecani capitalisti Maria Sole Angelli e John Elkann (presidente e vicepresidente della Fondazione).
Le ingiustizie di classe nel documento vengono definite "divari socioculturali": "troppo spesso in Italia - spiegano i redattori - l'estrazione sociale dello studente conta ancora di più delle sue capacità e ne determina le scelte formative e il successo scolastico: le famiglie più abbienti e colte mandano i figli al liceo, mentre gli studenti con un retroterra meno favorevole - inclusi quelli di origine straniera - sono più soggetti alla dispersione e tendono a concentrarsi in alcuni indirizzi scolastici, come i professionali".
Dopo aver scoperto l'acqua calda i perspicaci studiosi della Fondazione affrontano i cosiddetti "divari territoriali", ossia l'abisso che separa il Nord dal Sud del Paese: "essere uno studente del Sud - si legge - significa partire con uno svantaggio di 68 punti nelle competenze misurate dai parametri Ocse dell'università di Pisa, l'equivalente di circa un anno e mezzo di ritardo scolastico - rispetto a uno studente del Nord, indipendentemente dalle caratteristiche individuali e della scuola che si frequenta".
Nelle tabelle non mancano i dati: "per equiparare le infrastrutture scolastiche del Centro-Sud a quelle del Nord" ci vorrebbero "almeno 7 miliardi di euro"; "tra i giovani al di sotto dei 24 anni, 1 su 5 non arriva al diploma"; "nelle regioni del Sud un terzo dei quindicenni non raggiunge la soglia minima di competenze definita internazionalmente". A fronte di queste sconfortanti cifre: "nel 2007 la spesa pubblica per l'istruzione scolastica è stata poco meno di 60 miliardi di euro, di cui 43 a carico dello Stato (in massima parte per le retribuzioni del personale), 10 degli enti territoriali (di cui 6 dai Comuni) e 5,5 per affitti figurativi del patrimonio edilizio, con una media di 6.600 euro all'anno per studente (9.900 euro in Trentino Alto Adige, 5.800 della Puglia)".
"Un dislivello enorme e inaccettabile in un paese avanzato" - conclude il Think Tank della casa automobilistica torinese, la cui dirigenza com'è noto non si è fatta scrupolo di gettare sul lastrico gli operai di Termini Imerese. Come potranno mantenere agli studi i figli?
Una ipocrisia, quella di aver scoperto le scuole di serie B del Sud, che diviene intollerabile menzogna quando si passa dalle analisi alle soluzioni.

Il federalismo fiscale e l'affossamento delle scuole del Mezzogiorno
Secondo il rapporto la panacea dei mali dell'Italia fanalino di coda in Europa nel diritto all'istruzione consiste nei tagli selvaggi operati dal governo e in una saggia applicazione del federalismo fiscale. Seguiamo il geniale ragionamento: "Dal Rapporto emerge un'evidenza in parte inattesa: il processo di razionalizzazione della spesa, previsto dal piano programmatico del ministro Gelmini, in particolare attraverso una riduzione degli organici (che nel Sud sarà più accentuata per via della forte contrazione della popolazione studentesca), sta già avvicinando la spesa storica per la scuola alla nozione di costo standard propria del federalismo fiscale. Nella simulazione dello scenario del federalismo scolastico i risparmi di spesa per personale sarebbero di 3,2 miliardi di euro all'anno, soltanto 600 milioni in più rispetto al piano del ministro Gelmini. Ciò suggerisce che assegnare al federalismo scolastico (come spesso avviene nel dibattito politico) soltanto obiettivi di risparmio e razionalizzazione della spesa non sarebbe molto utile, perché una buona parte di tali obiettivi si stanno raggiungendo in assenza e prima di esso. Il federalismo scolastico può essere, al contrario, uno strumento di grande utilità, se porterà Stato e Regioni a definire patti che abbiano al centro chiari obiettivi di risultato in termini di qualità dell'istruzione: colmare i divari territoriali e assicurare a tutti, in tutte le regioni, ciò che finora la scuola italiana fino a oggi non ha saputo dare, cioè, livelli di apprendimento adeguati e maggiore equità delle opportunità di accesso e di successo formativo. Il primo diritto di ogni alunno, indipendentemente dalla sua estrazione sociale e il suo luogo di residenza, è infatti quello di raggiungere un livello di competenze che gli consenta di partecipare in modo attivo alla vita economica e civile dell'Italia nel XXI secolo".
Si tratta con tutta evidenza di una tesi subdola che attribuisce virtù taumaturgiche al pericolosissimo cambiamento in atto della forma dello Stato, da unitario a federale.
Il federalismo, è bene dirlo forte e chiaro, quello scolastico, universitario, sanitario in particolare, non appianerà le disuguaglianze, ma lascerà sul campo le macerie della scuola, dell'università, della ricerca, della sanità pubblica. Soprattutto nelle regioni del Sud esso si sta già tramutando concretamente in tagli spaventosi e privatizzazioni a tappeto, persino nei servizi pubblici essenziali, come la fornitura idrica! Di più, rompendo l'unità d'Italia in venti staterelli esso scardina diritti fondamentali (sanità, scuola, assistenza...), cancella lo "Stato sociale" universale, reintroduce le odiose "gabbie salariali", cancella l'art. 18, con il risultato che diritti, retribuzioni, servizi scolastici e sanitari non saranno più uguali per tutti, neanche sulla carta!
In qualsiasi forma si presenti, ddl Calderoli o altro, il federalismo va dunque considerato un nemico mortale della classe operaia italiana, del Nord come del Centro e del Sud, in quanto rompe la solidarietà e l'unità di classe, mette lavoratori contro lavoratori, studenti contro studenti, ne indebolisce la forza contrattuale, ideologica e politica e li lega ai vari carri delle singole borghesie locali in feroce concorrenza tra di loro.
Cosa ne sarà del Mezzogiorno? La fondazione Agnelli non lo dice ma la verità è contenuta in un'intervista a Il Giornale del lontano 20 marzo 1992, nel quale il costituzionalista craxiano Gianfranco Miglio, l'ideologo del secessionismo fascio-leghista e del presidenzialismo mussoliniano a livello regionale, dichiarava sfacciatamente: "Io sono per il mantenimento anche della mafia e della 'ndragheta... io non voglio ridurre il Meridione al modello europeo, sarebbe un'assurdità. C'è anche un clientelismo buono che determina crescita economica". Questo piano golpista si sta realizzando sotto i nostri occhi in quanto per salvarsi dalla bancarotta, le borghesie parassitarie e i gruppi dirigenti reazionari del Sud, grazie all'accoglimento della loro richiesta di una fiscalità di vantaggio (banca del Sud, scudo fiscale, ecc.) e dell'autonomia politica e amministrativa, s'apprestano a fare del Mezzogiorno in generale e della Sicilia in particolare la Singapore del Mediterraneo, un paradiso offshore defiscalizzato. Lo scopo è generalizzare le vecchie e le nuove forme di supersfruttamento che costringono le masse meridionali alla miseria, all'ignoranza e al lavoro nero.
Non è forse questo il motivo per cui i gerarchi di Viale Trastevere insistono con tanta caparbietà per abbassare ulteriormente l'obbligo scolastico?

Affossiamo il federalismo fiscale e la devolution
Il federalismo va pertanto smascherato fino in fondo, punto per punto, e affossato, sviluppando la lotta di classe nelle piazze, nei luoghi di lavoro e di studio, e con esso i suoi sostenitori, tra cui oltre ai vari Berlusconi, Bossi, Fini, Calderoli, gran parte degli esponenti della "sinistra" del regime neofascista, nonché i governatori regionali uscenti del "centro-sinistra". Attualmente, oltre alla modifica del titolo V realizzata dal "centro-sinistra" che ha spianato la strada alla Lega Nord, i cardini del progetto fascio-leghista "bipartisan" da seppellire sono:
Primo. L'autonomia fiscale del territorio, secondo cui ciascun livello (Regione, Provincia, Comune) dovrà autofinanziarsi con imposte proprie. Valutando il Pil regionale e la differenza tra tasse pagate e il servizio procapite, non è difficile immaginare che a guadagnarci saranno esclusivamente le grandi regioni del Nord: Lombardia, Piemonte, Veneto, Emilia-Romagna, più la Toscana.
Secondo. La nuova ripartzione delle competenze sulla base dei principi di devoluzione e sussidiarietà: la casa per il Comune, le auto e i trasporti per le Province e i servizi alla persona, la formazione e la scuola per le Regioni. Questa ripartizione rivela come l'obiettivo del federalismo fiscale, giammai a responsabilizzare come dichiarato le varie autonomie, si appresti in realtà a costruire una sorta di centralismo regionale, confacente agli interessi delle forti borghesie secessioniste del Nord che intendono scaricare la zavorra Mezzogiorno e non sono interessate a disperdere i centri di potere in mille rivoli.
In questo senso va smantellato anche il terzo cardine, ossia il passaggio dalla "spesa storica" alla premialità e agli incentivi agli enti "virtuosi". Un nuovo sistema con cui verranno per la prima volta stabiliti dei costi standard anche per quelle materie (ad esempio scuola e sanità) fino a oggi garantite dalla Costituzione borghese del '48. Le regioni che staranno sopra la media di quelli che sono stati calcolati come costi standard, dovranno tirare la cinghia andando a tagliare i servizi sociali forniti e ridurre drasticamente i servizi essenziali o "in alternativa" aumentare le tasse a carico dei cittadini. In pratica, con il sistema dei costi standard chi può, ossia le regioni del Nord, fornisce servizi, chi non può, le altre regioni, s'arrangia.

7 aprile 2010