Vergognosa sentenza (Le tappe principali del processo di Palermo)
La Corte di assise di Palermo salva Forza Italia e Berlusconi
Il senatore Dell'Utri e cofondatore di Forza Italia ribadisce che Mangano è un eroe
Mezza verità sulla collusione di Dell'Utri con la mafia

"Oggi è il potere ad essere giudicato. Non vorrei essere nei vostri panni, perché dovete prendere una decisione storica che attiene non solo alla storia giudiziaria ma alla storia del Paese. Con la vostra sentenza potete costruire un gradino, salito il quale si possono percorrere ulteriori scalini per accertare la verità che ha dilaniato e insanguinato il nostro Paese, oppure potete distruggerlo".
Così il 24 giugno il procuratore Antonino Gatto si era rivolto al collegio giudicante prima che si ritirasse in camera di consiglio per la sentenza del processo di appello al senatore Marcello Dell'Utri in corso alla Corte di assise di Palermo, dopo aver chiesto la conferma della condanna, con aumento di pena da 9 a 11 anni, ricevuta in primo grado dal cofondatore di Forza Italia per concorso esterno in associazione mafiosa. Perché, secondo il rappresentante dell'accusa, si trattava non solo di confermare una verità ampiamente accertata come quella dei rapporti quasi ventennali tra lo stretto sodale di Berlusconi e i principali boss mafiosi per tutti gli anni '70-80, rapporti che hanno segnato col marchio di Cosa nostra l'irresistibile quanto oscura ascesa dell'imprenditore Berlusconi; ma anche iniziare a fare luce sul periodo successivo, quello della prima metà degli anni '90 che ha visto il passaggio dalla prima alla seconda repubblica, e che si è aperto con le stragi golpiste del '92-93 e delle trattative segrete tra Stato e Cosa nostra che hanno preparato la nascita di Forza Italia e la discesa in campo politico del cavaliere piduista.
Ma il collegio giudicante, formato dal presidente Claudio Dell'Acqua e dai giudici a latere Salvatore Barresi e Sergio La Commare, non solo quel gradino non l'ha voluto salire, ma ne ha addirittura negato l'esistenza: la sentenza infatti conferma solo in parte quella di primo grado, riducendo la pena da 9 a 7 anni e riconoscendo i legami tra Dell'Utri e Cosa nostra solo fino al '92, ma lo assolve "perché il fatto non sussiste" da quella data in poi. Il che significa che la Corte d'assise di Palermo, pur non potendo assolvere del tutto Dell'Utri, ha voluto però intenzionalmente smontare e destituire di ogni fondamento la verità che stava faticosamente emergendo dalle più recenti inchieste riaperte dalle procure di Palermo, Caltanissetta e Firenze sulle stragi golpiste del '92-93, i loro mandanti politici e le trattative segrete tra settori dei servizi segreti e boss mafiosi: e cioè che esse avevano lo scopo di preparare la discesa in campo di quella "nuova entità politica" di cui ha parlato anche il procuratore nazionale antimafia Grasso, individuata nel partito di Forza Italia creato da Dell'Utri e da Berlusconi.

Una sentenza annunciata
Del resto le premesse per questo esito scandaloso del processo di appello c'erano già tutte nella composizione stessa della corte e in certe sue discusse scelte procedurali. Il giudice Barresi è lo stesso che aveva fatto parte del tribunale che aveva assolto Andreotti in primo grado, e di lui Massimo Ciancimino aveva rivelato le assidue frequentazioni della casa di suo padre. Inoltre un figlio del presidente Dell'Acqua è alle dipendenze di un imprenditore colluso con la mafia, tanto che a Palermo circolavano insistenti voci su una sicura assoluzione di Dell'Utri, e per dissiparle i tre giudici avevano fatto un irrituale comunicato per professarsi "insensibili alle pressioni mediatiche".
Inoltre già nel 2006 erano cominciati degli strani maneggi alla Corte di appello palermitana, giocando sulle "rotazioni" dei vari presidenti di sezione per arrivare a designare un presidente compiacente come Dell'Acqua, nonché per estromettere i due pm Ingroia e Gozzo che conoscevano molto bene le carte processuali e avevano chiesto di rappresentare l'accusa anche nel secondo grado. Per non parlare del rifiuto della corte di acquisire la testimonianza di Ciancimino, giudicato a priori "inattendibile", mentre le rivelazioni del pentito Spatuzza, che facevano luce sui rapporti tra Dell'Utri e i fratelli Graviano, autori delle stragi del '93, sono state acquisite ma giudicate del tutto ininfluenti per "mancanza di riscontri", nonostante che esse non facessero che confermare il già solido impianto accusatorio.
Con questa sentenza che l'imputato ha definito "pilatesca", solo perché evidentemente avrebbe voluto e si aspettava un'assoluzione piena e immediata, la corte ha creato anche le premesse favorevoli per una cancellazione della pena in Cassazione, magari attraverso il meccanismo della prescrizione, che intanto è stata riavvicinata al 2014, e che potrebbe essere ulteriormente abbassata con qualche nuova legge-vergogna ad hoc di Berlusconi. Che potrebbe essere addirittura la cancellazione del reato di concorso esterno in associazione mafiosa, di cui si parla infatti sempre più insistentemente nel PDL. Da qui la vera e propria esultanza con cui gli scherani del neoduce e i suoi pennivendoli prezzolati di Rai-Set e della carta stampata hanno accolto la sentenza, decretando a tambur battente la morte prematura delle inchieste sulle stragi golpiste e compiute dalla mafia e sui mandanti politici e dichiarandosi sicuri dell'assoluzione di Dell'Utri in Cassazione. Tanto che costui si è potuto perfino permettere di schernire in stile mafioso il pm Gatto facendogli "le condoglianze" e di ribadire pubblicamente che il mafioso Mangano, uomo di collegamento con Fininvest inviato ad Arcore da Cosa nostra, "è stato un eroe" perché non ha parlato in carcere.

Un copione già adottato con Andreotti
Così si spiega la lunga camera di consiglio, durata ben cinque giorni, perché evidentemente c'era bisogno di trovare una formula che fosse favorevole nella sostanza all'imputato e scagionasse completamente il suo stretto sodale, ma nello stesso tempo non apparisse eccessivamente scandalosa passando la palla alla più compiacente Corte di cassazione. La stessa formula, non a caso, trovata per Andreotti, riconosciuto colpevole di concorso esterno in associazione mafiosa fino all'87, e quindi prescritto, ed assolto "per non aver commesso il fatto", cioè con la vecchia formula dell'insufficienza di prove, da quella data in poi. Senza preoccuparsi, come vale anche per Dell'Utri, dell'assurdo salto logico per cui un politico è riconosciuto colluso per decenni con i peggiori padrini di Cosa nostra, salvo da un giorno all'altro troncare ogni rapporto con costoro ("mafioso a tempo", ha ironizzato il pm Gatto); o comunque, come per l'ex boss DC Calogero Mannino, aver continuato i rapporti ma essere assolto perché manca la "prova specifica" che queste frequentazioni abbiano agevolato in qualche modo le azioni della mafia.
Eppure l'"assolto" Mannino è stato dipinto come una povera vittima innocente di magistrati "politicizzati" della odiata procura di Palermo, e chi si ricorda più che il senatore a vita Andreotti, ancora riverito da tutto il parlamento nero, "sinistra" borghese compresa, come fosse quasi un "padre della patria", è stato pur sempre condannato per mafia, anche se prescritto? E così i neofascisti confidano che andrà a finire anche con Dell'Utri. Come del resto è andata sempre a finire col capo dei capi dei delinquenti, il neoduce Berlusconi, in tutti i processi che gli sono stati intentati per le sue infinite malefatte, finiti tutti in bolle di sapone grazie a prescrizioni, leggi ad personam e insufficienza di prove.
Così stanno andando le cose anche per questa nuova vergognosa sentenza che salva Forza Italia e Berlusconi. Non è solo per l'oscena esultanza della destra neofascista, compresa la Lega che si vanta di essere la più acerrima nemica della mafia, ma anche per il silenzio e l'acquiescenza della "sinistra" borghese, che o ha evitato addirittura ogni commento, come per esempio il rinnegato D'Alema, o tutt'al più li ha concentrati sulla prima parte, accontentandosi di sottolineare che la condanna di primo grado è uscita confermata. Ma non ha stigmatizzato la scandalosità del rigetto della tesi accusatoria del marchio mafioso e stragista sulla nascita di Forza Italia e la discesa in campo di Berlusconi. E questo perfino da parte di giornali dichiaratamente antiberlusconiani come Il Fatto Quotidiano e La Repubblica.
Anche la tanto da essi esaltata relazione della commissione Antimafia presieduta da Pisanu, uscita in concomitanza con la sentenza, è in realtà del tutto insoddisfacente e reticente sulle stragi del '92-93, evitando come fa ogni riferimento a Forza Italia e Berlusconi. Come ha dichiarato molto significativamente uno degli avvocati di Dell'Utri, "l'importante è che l'alone di 'mafiosità' complessiva del sistema politico-istituzionale del nostro Paese, dal 1992 in poi, cioè dall'entrata in campo di Berlusconi e Forza Italia, è assolutamente superato attraverso questa sentenza che taglia di netto il rapporto presunto tra mafia e politica".
Se questo è il vero significato della sentenza, allora con il suo atteggiamento pusillanime e rassegnato la "sinistra" borghese sta oggettivamente coprendo il neoduce e la sua cricca di mafiosi e corrotti e indebolendo gravemente gli sforzi dei magistrati siciliani e fiorentini per accertare la verità sulle stragi mafiose e sui loro mandanti politici. Sforzi che invece vanno risolutamente sostenuti e incoraggiati da parte degli intellettuali e dei giornalisti non asserviti al regime e di tutte le masse democratiche, antifasciste e antimafiose, affinché vadano fino in fondo nelle inchieste e facciano tutto il possibile per inchiodare Berlusconi e i suoi sgherri alle loro responsabilità criminali. In ogni caso un nuovo 25 Aprile si impone già ora, per liberarsi con la lotta di piazza e di massa del nuovo Mussolini e del suo governo neofascista, antioperaio, piduista, razzista e mafioso. Come ci insegna anche l'eroica insurrezione antifascista del Luglio '60 contro il governo Tambroni.

7 luglio 2010