La sinistra palestinese si oppone all'accordo di Ginevra
Le manifestazioni contrarie all'accordo di Ginevra, la proposta di pace sottoscritta da politici e intellettuali israeliani e palestinesi, organizzate dalla sinistra palestinese sono continuate anche nei giorni precedenti la presentazione ufficiale del progetto avvenuta nella città svizzera l'1 dicembre e nel giorno della cerimonia.
A Ginevra i rappresentanti dei due gruppi guidati dall'ex ministro israeliano Yossi Beilin e dall'ex ministro palestinese Yasser Abed Rabbo hanno presentato il documento messo a punto in due anni di negoziati tra i complimenti di uno schieramento che è andato da Blair, a Chirac, al tedesco Fischer, al segretario dell'Onu Kofi Annan, agli ex presidenti Clinton, Carter, Gorbaciov, Mandela e Walesa, al presidente della Commissione Ue Romano Prodi. Il negoziato è ripartito dal punto in cui si era bloccata la trattativa sotto l'egida dell'allora presidente americano Clinton a Camp David nel 2000 e difinitivamente chiusa a Taba nel gennaio 2001. Beilin e Rabbo sono anche tra i protagonisti degli accordi di Oslo del 1993 che i laburisti israeliani hanno applicato soprattutto nella parte relativa alla garanzia della sicurezza di Israele, nella segregazione del popolo palestinese, nella continuità dell'occupazione di Gaza e Cisgiordania con il raddoppio delle colonie; nel febbraio 2001 il Likud di Sharon li ha spodestati e continuato l'opera.
L'accordo di Ginevra è una prosecuzione "naturale'' di quelli di Oslo e di quello tentato a Camp David: ritaglia per i palestinesi uno Stato a sovranità limitata diviso tra Cisgiordania e Gaza, mantiene a Israele una parte delle colonie in Cisgiordania e in particolare gli insediamenti attorno a Gerusalemme che resta sotto l'occupazione sionista, salvo i quartieri arabi. La "novità'' dell'intesa è soprattutto nella rinuncia della delegazione palestinese al diritto al ritorno dei circa 4 milioni di profughi cacciati dalle loro case dai sionisti nel 1948; i profughi possono "scegliere'' tra il trasferimento nel futuro Stato palestinese, un indennizzo finanziario per restare nel paese dove si trovano o per l'emigrazione in altri paesi disposti ad accoglierli, chiedere il permesso di tornare nelle loro terre al regime sionista che ha l'esclusiva prerogativa di decidere se e quanti profughi potranno farlo.
Il 5 dicembre Beilin e Rabbo hanno ricevuto a Washington il sostegno del segretario di Stato americano Colin Powell che ha giudicato l'iniziativa di Ginevra come "complementare alla Road Map'', l'ultima versione della pace imperialista che Usa, Ue, Russia e Onu vorrebbero imporre ai palestinesi. Che non sono d'accordo e lo hanno dimostrato.
Il 30 novembre il Comitato dei profughi di Gaza ha organizzato una manifestazione presso Rafah dove si trovava una parte della delegazione palestinese in partenza per Ginevra. La delegazione riusciva a partire tra le proteste dei dimostranti grazie all'intervento dei poliziotti palestinesi. Uno dei responsabili del Comitato denunciava che "quell'accordo cancella il diritto al ritorno per milioni di palestinesi che pure è riconosciuto dalla risoluzione 194 del 1948 delle Nazioni Unite''. A Gaza e in Cisgiordania le Brigate dei martiri di Al Aqsa e le Brigate del Ritorno, due organizzazioni di Al Fatah, diffondevano dei volantini dove accusavano i firmatari dell'intesa di "aver legato i propri interessi personali al progetto americano-sionista'' e di aver "svenduto'' i diritti dei palestinesi; l'intesa è bollata coma "una pugnalata alla schiena dei palestinesi''.
All'interno di Al Fatah, l'organizzazione maggioritaria palestinese diretta da Arafat, l'opposizione all'accordo è cresciuta tanto da spingere il presidente palestinese a ritirare la promessa adesione ufficiale e a permettere la presenza alla cerimonia della presentazione del piano a esponenti di Al Fatah e dell'Autorità nazionale palestinese (Anp) che hanno partecipato ai due anni di negoziati "a titolo personale''. Nel Comitato centrale dell'organizzazione diversi dirigenti hanno espresso "il rifiuto totale del progetto di Ginevra''. Il deputato del Consiglio legislativo palestinese e dirigente di Al Fatah in Cisgiordania, Hatem Abdul Qader, il 30 novembre affermava che "le condizioni non sono ancora mature per qualsiasi iniziativa politica, alla luce delle difficili condizioni a cui il popolo palestinese deve far fronte e dell'escalation delle aggressioni israeliane''. In particolare, sosteneva Qader, l'accordo di Ginevra "ha bisogno di modifiche radicali sulle questioni dei rifugiati e su Gerusalemme''.
L'1 dicembre diverse manifestazioni di protesta organizzate da Hamas, dalla Jihad, da gruppi di Al Fatah e da altre organizzazioni della resistenza armata all'occupazione sionista si sono svolte a Gaza e in Cisgiordania. L'assemblea tenuta nel Palazzo della Cultura nella città di Gaza ha definito "traditori'' i partecipanti palestinesi all'intesa di Ginevra che hanno "svenduto il diritto al ritorno'' dei profughi. All'iniziativa di protesta sono intervenuti fra gli altri il presidente del Consiglio legislativo palestinese (Clp), Rafiq Al-Natche, che ha affermato "la causa palestinese è cominciata per i profughi e non sarà risolta finché non potranno ritornare nelle loro case, nei loro villaggi, nelle loro città. Il popolo palestinese non permetterà a nessuno di rinunciare a questo diritto''. Uno dei leader della Jihad ha affermato che la manifestazione è un messaggio da parte dei palestinesi che "vogliono confermare la scelta della resistenza e non svendere la loro terra''.