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Stalin, la vita e l'opera

Capitolo 5
Verso l'Ottobre


 
Il lungo esilio

Gli anni di questo nuovo esilio, che si sarebbe protratto fino al marzo 1917, furono durissimi. Per Stalin a pesare di più era la forzata inattività politica e l'impossibilità ad avere contatti frequenti e diretti con il partito. Ma, oltre a questo, anche la vita quotidiana vissuta senza stimoli, isolato e con scarse notizie, senza giornali, senza poter ascoltare un po' di musica che tanto amava; e con un'estrema precarietà di mezzi materiali, che lo costrinsero ad un'esistenza assai difficile che incise non poco anche sulla sua salute fisica.
Kureika era un minuscolo villaggio composto da un pugno di baracche circondate da un'immensa distesa di decine e decine di km di ghiaccio, con un inverno lunghissimo che durava nove mesi l'anno ed una temperatura rigidissima che superava spesso i 40 gradi sotto lo zero. In simili condizioni qualsiasi tentativo di fuga era impossibile e destinato al fallimento. Ciò nonostante Lenin cercò di provare ad organizzare la fuga di Stalin. Ma tutto fu vano. Stalin dal canto suo viveva in una piccolissima baracca, senza soldi, con un vestiario e un nutrimento non certo adatti a sopportare quel clima. Infatti, più volte si ammalò anche seriamente. Nonostante questo la sua tenacia e la sua forza di volontà non furono mai fiaccate, come purtroppo successe ad alcuni esiliati politici che in quegli sperduti territori trovarono la morte per stenti o per suicidio. Uno di questi fu Spandarian.
Vivendo a stretto contatto con i nativi del luogo, l'etnia degli Ostyaks, Stalin apprese da loro i metodi di caccia e pesca per potersi procurare il cibo, unico modo per sopravvivere in quell'arido deserto di ghiaccio. Divenne ben presto uno di loro aiutato ed aiutando nei bisogni della vita quotidiana: costruiva reti, ami, arnesi per rompere il ghiaccio, spaccava legna. Queste attività quotidiane gli servivano anche per fare del moto e non essere sopraffatto dalla sedentarietà. Fu un legame radicato e profondo quello che s'instaurò tra Stalin e quel popolo del nord. E quegli stessi abitanti di Kureika negli anni successivi, crearono un piccolo museo a ricordo del periodo trascorso da Stalin in quella comunità e in quel villaggio. Ogni tanto a Stalin giungevano anche concreti aiuti in denaro, in cibo e in vestiario, soprattutto le mai tanto agognate calze di lana, da parte della famiglia Alliluyev. Anche Lenin, in quel periodo, gli inviò personalmente del denaro.
Stalin certo non dimenticava l'attività politica. A Kureika apprese dello scoppio della prima guerra mondiale e, pur nell'isolamento più totale, riuscì ad organizzare riunioni con altri deportati nei villaggi vicini. Un'esiliata politica così ricorda quel particolare momento: "... Mi ricordo dell'anno 1914 e dello scoppio della guerra mondiale. Stalin dirigeva allora una vivace campagna contro tutti coloro che cedevano alla propaganda patriottica. Quando chiedeva di abbattere l'autocrazia zarista, il suo appello fra gli esiliati era così forte da convertire tutti gli indecisi...".32 Stalin continuò a lavorare anche sul piano teorico e non smise mai di intrattenere, per quanto possibile, una corrispondenza più o meno regolare con Alliluyev, con Lenin e il centro estero del partito. Molte volte marinai di battelli mercantili, pescatori e perfino qualche commerciante si trasformarono in postini per fare giungere a destinazione le lettere di Stalin, o quelle a lui destinate.
Il 14 dicembre 1916 i deportati politici furono richiamati sotto le armi e Stalin fu inviato a tappe forzate a Krasnoiarsk. Lì, nel febbraio 1917, il consiglio di leva lo esonerò causa la semirigidità al braccio sinistro. Quindi fu inviato nel villaggio di Acinsk per terminare di scontare la pena alla quale era stato condannato. E ad Acinsk Stalin apprende della "rivoluzione di febbraio", delle imponenti manifestazioni popolari e degli scioperi operai a Pietroburgo e in altre città, del rifiuto d'interi reparti militari ad intervenire contro i manifestanti, del fallimento dei tentativi di repressione e, infine, dell'abdicazione dello zar avvenuta il 2 marzo del 1917. Il 12 marzo, a fine pena, Stalin giunge insieme con altri deportati nella capitale, pronto a reimmergersi nell'attività politica nel momento delicato e decisivo che prelude all'avvenimento che segnerà una tappa fondamentale e indelebile non solo nella storia del popolo russo, ma in quella dell'intera umanità: la Rivoluzione d'Ottobre.


Pietrogrado

A Pietroburgo trova un rifugio sicuro nella casa di Sergey Alliluyev. Il legame tra i due risale al tempo in cui Stalin a Tiflis frequentava il seminario teologico e Sergey era operaio alle officine ferroviarie. Un legame temprato dal comune impegno politico, ma anche da sentimenti sinceri di stima, amicizia e affetto che legano Stalin a Sergey e Olga e ai loro figli Fedor, Pavel, Anna e soprattutto Nadezda, che diverrà compagna di vita di Stalin.
A Pietrogrado (nuovo nome della capitale dopo la rivoluzione di febbraio), il primo compito che il Comitato centrale bolscevico affida a Stalin è il suo immediato ingresso nella redazione della "Pravda": Per il giornale scrive subito due importanti articoli "Sui soviet dei deputati degli operai e dei soldati" e "Sulla guerra", che rappresentano in modo corretto e puntuale l'attualità della situazione politica e i compiti e le direttrici essenziali del lavoro dei bolscevichi in quella situazione, evidenziando da un lato la necessità di consolidare i Soviet, svilupparli, collegarli nell'azione e negli obiettivi, facendoli diventare veri e propri organi del potere rivoluzionario e, dall'altro, ribadendo che l'abdicazione dello zar e l'avvento al potere del governo provvisorio non avevano mutato il carattere imperialista della guerra e, di conseguenza, l'atteggiamento da tenere verso di essa. Erano questi dei punti cardine in una situazione in rapida evoluzione con il POSDR(b) uscito dall'illegalità, ma nel mirino del governo provvisorio impegnato a fondo in un'azione volta alla sua disgregazione ed al suo isolamento e che faceva di tutto per ritardare il ritorno dei suoi dirigenti in esilio e di Lenin in particolare. In questo delicato frangente, Stalin dirige il partito con impareggiabile capacità e avvedutezza, ne unisce le fila e ne coordina il lavoro per trasformare la rivoluzione democratico-borghese in rivoluzione socialista, tenendo ben alta la guardia contro il governo provvisorio, la sua adesione alla guerra imperialista attraverso la parola d'ordine della difesa nazionale e denunciando l'adesione e la subordinazione a questa nefasta politica e al governo stesso da parte dei menscevichi e dei socialisti rivoluzionari; contrastando sul nascere anche all'interno del partito una posizione opportunista impersonata da Kamenev e Rikov, con il tentativo d'accodamento a questa politica.


Stalin accoglie Lenin nella capitale russa

Il 18 marzo l'Ufficio del CC del partito delega Stalin a far parte del Comitato Esecutivo del Soviet di Pietrogrado. Il 3 aprile Stalin è alla stazione Finlandia di Pietrogrado ad accogliere Lenin al rientro dal suo esilio. È alla testa di una nutrita delegazione di operai delle varie fabbriche alla quale si aggiungono ben presto migliaia di lavoratori tutti accorsi per stringersi attorno al leader bolscevico, trasformando la gioiosa manifestazione di stima e d'affetto per Lenin in una grande manifestazione rivoluzionaria.
Il giorno successivo Lenin espone in due diverse riunioni, quella del nucleo dirigente del POSDR(b) e quella dei membri bolscevichi e menscevichi della Conferenza dei Soviet di tutta la Russia, le sue "Tesi di Aprile". Questo documento, magistrale per analisi politica, obiettivi di programma e strategia di azione, costituisce, di fatto, il programma bolscevico di lotta per il passaggio dalla rivoluzione democratico-borghese alla rivoluzione socialista. Sul piano politico prospetta la Repubblica dei Soviet come forma di organizzazione politica della società rispetto alla repubblica parlamentare. Sulla guerra, ribadisce il permanere del suo carattere imperialista anche con l'avvento del governo provvisorio e la necessità dell'abbattimento della borghesia come condizione indispensabile per la sua fine e per il raggiungimento di una pace democratica e non imposta dalle armi e dalla supremazia militare. Sul piano economico indica quali obiettivi di transizione, la confisca delle terre dei proprietari fondiari, la nazionalizzazione di tutte le terre nel paese, la costituzione sotto il controllo dei Soviet di un'unica banca nazionale e l'organizzazione del controllo sulla produzione e sulla distribuzione.
Lenin nelle sue "Tesi d'Aprile" indicava, inoltre, la necessità di tenere ben alta la bandiera del marxismo, i suoi principi e la sua dottrina scientifica in contrapposizione allo scempio che di esso avevano fatto i partiti socialdemocratici aderenti alla II Internazionale, proponendo di chiamare il partito bolscevico non più socialdemocratico ma comunista e a lavorare per la creazione di una nuova Internazionale: la III Internazionale. Le Tesi infine indicavano come obiettivo primario del momento politico, la conquista da parte dei bolscevichi della maggioranza all'interno dei Soviet, allora ancora sotto l'influenza del governo provvisorio e il controllo maggioritario di menscevichi e socialisti rivoluzionari, attraverso un lavoro paziente e sistematico di critica dell'azione governativa e di tutte le forze opportuniste e il rilancio di azioni e proposte utili al soddisfacimento e alla realizzazione dei bisogni delle masse popolari. Solo la fiducia, il consenso e l'adesione convinta delle masse, della classe operaia e dei Soviet alla politica bolscevica poteva realizzare vittoriosamente il passaggio al socialismo, senza questo consenso, questa fiducia e questa adesione convinta non c'era alcuna prospettiva di vittoria. Questo era l'impegno primario dei bolscevichi.
Fu in quel periodo importantissimo e delicato che Stalin si forgia quale eminente dirigente bolscevico e artefice della gloriosa Rivoluzione d'Ottobre, stringendo altresì un indissolubile legame con Lenin. Lenin e Stalin in stretta unità d'intenti, lavorando fianco a fianco, saranno i principali artefici della costruzione del primo Stato socialista del mondo dando concreta attuazione a quanto era stato elaborato da Marx e Engels.
Cosa abbia rappresentato quel periodo per Stalin, lo ricorda lui stesso nella già citata "Risposta al saluto degli operai delle Officine ferroviarie di Tiflis" del giugno 1926. "Ricordo infine il 1917, quando, dopo lunghe peregrinazioni attraverso le prigioni e i luoghi di deportazione, per decisione del partito fui trasferito a Leningrado. Là, nella cerchia degli operai russi, a contatto immediato con il compagno Lenin, grande maestro del proletariato di tutti i paesi, nella tempesta dei grandi scontri tra proletariato e borghesia, nella situazione creata dalla guerra imperialista, imparai per la prima volta a comprendere cosa significa essere uno dei dirigenti del grande partito della classe operaia. Là, nella cerchia degli operai russi, liberatori dei popoli oppressi e animatori della lotta proletaria di tutti i paesi e di tutti i popoli, ricevetti il mio terzo battesimo di combattente rivoluzionario. Là, in Russia, sotto la guida di Lenin, divenni uno degli artefici della rivoluzione. Permettetemi di esprimere la mia sincera, fraterna gratitudine ai miei maestri russi e di inchinarmi alla memoria del mio grande maestro Lenin. Dalla qualifica di allievo (Tiflis), attraverso quella di apprendista (Bakù), a quella di artefice della nostra rivoluzione (Leningrado): ecco, compagni, la scuola del mio tirocinio rivoluzionario. Questo, compagni, è il quadro esatto di ciò che ero in passato e di quel che sono diventato, se si parla senza esagerazioni, con tutta sincerità".33
Nell'aprile del 1917 il governo provvisorio del principe Lvov fu attraversato da una profonda crisi. Il governo provvisorio era nato il 2 marzo in concomitanza con l'abdicazione dello zar Nicola II, sulla base di un accordo stipulato, all'insaputa dei bolscevichi, tra il presidente della IV Duma Rodzianko, proprietario terriero e monarchico, e i capi menscevichi e socialisti rivoluzionari del Comitato Esecutivo del Soviet degli operai e dei soldati. Successivamente quest'organo, messo al corrente della situazione, approvò a maggioranza l'operato di questi suoi dirigenti. Nel governo Lvov, presidente del consiglio e ministro degli interni, entrarono a far parte tra gli altri Miljukov (esteri), capo dei "cadetti" il partito della borghesia liberale che divenne la principale forza di governo; Gutsckov (ministro della guerra e della Marina) capo degli "ottobristi" e Kerenskij (giustizia) socialista rivoluzionario, vicepresidente del Comitato Esecutivo del Soviet, incluso nel governo come rappresentante della "democrazia".
La crisi di aprile nacque a seguito della forte protesta popolare contro la "nota Miljukov", la dichiarazione che il ministro degli esteri fece agli alleati il 18 aprile: "Il popolo intero desidera continuare la guerra mondiale fino alla vittoria finale e il governo provvisorio intende osservare pienamente gli impegni assunti con i ministri alleati".
Immediatamente dopo la divulgazione della dichiarazione di Miljukov, il Comitato centrale bolscevico stigmatizzò la politica imperialista del governo provvisorio, chiamando le masse popolari a mobilitarsi contro di essa. A Pietrogrado si svolse un'impotente manifestazione a cui parteciparono non meno di centomila persone, frutto di un'immediata mobilitazione operaia. Il generale Kornilov, comandante la circoscrizione militare della capitale, ordinò all'artiglieria di attestarsi nella piazza antistante il palazzo del governo. Era il tentativo di ristabilire l'ordine con la forza deciso dal ministro della guerra Gutsckov, con Kornilov, l'ammiraglio Kolciak e il comandante in capo dell'esercito Alekseev. Ma l'operazione fallì per il rifiuto dei soldati ad obbedire all'ordine che, dichiararono, non era riconosciuto valido senza il consenso del Soviet. Le manifestazioni del 20 e 21 aprile a Pietrogrado, provocarono la prima crisi del governo provvisorio, costringendo alle dimissioni sia il ministro degli esteri Miljukov, che quello della guerra Gutsckov. La crisi fu risolta con un rimpasto di governo e l'ingresso in forze in esso, di menscevichi (Skobelev e Tsereteli) e socialisti rivoluzionari (Kerenskij, che divenne ministro della guerra e della Marina) e altri ancora. Tradendo bisogni e aspettative degli operai e delle masse popolari, menscevichi e socialisti rivoluzionari passarono nel campo della controrivoluzione.
Dal 24 al 29 aprile 1917 si svolse alla presenza di 151 delegati e, per la prima volta nella legalità, la VII Conferenza del POSDR(b). Anche la Conferenza d'aprile, come la precedente, quella di Praga del 1912, costituì per importanza di analisi e di deliberazioni, un congresso a tutti gli effetti. Essa fu diretta da Lenin, che presentò le relazioni sulla situazione politica, sulla revisione del programma e sulla questione agraria e da Stalin, che presentò a sua volta la relazione sulla questione nazionale. Le decisioni scaturite impegnavano il partito alla lotta per il socialismo attraverso la parola d'ordine "Tutto il potere ai Soviet"; per l'immediata cessazione della guerra imperialista; per la confisca delle terre dei grandi proprietari e la loro assegnazione ai comitati contadini, oltre alla nazionalizzazione di tutte le terre del paese e per il pieno diritto delle nazioni all'autodecisione, compreso il diritto alla separazione e alla costituzione in Stati indipendenti.
Alla Conferenza d'aprile il partito aderì compatto alla politica di Lenin e Stalin che smascherarono e isolarono le posizioni frutto di una linea opportunista, sostenute su specifiche questioni da alcuni suoi membri: in particolare Kamenev e Rykov sostenitori di posizioni filo mensceviche per quanto concerne la politica verso il governo provvisorio e il passaggio alla fase della rivoluzione socialista; Zinoviev contrario alla proposta di Lenin tesa alla necessità di costruzione della III Internazionale; Piatakov e Bukharin appiattiti su una posizione nazional-sciovinistica contraria al diritto delle nazioni all'autodecisione. A fine Conferenza Stalin fu rieletto membro del Comitato centrale e, nel maggio 1917, venne eletto membro del neocostituito Ufficio politico; cariche nelle quali sarà, da lì in poi, sempre rieletto.
L'attività svolta da Stalin è preziosa per il partito. Egli ne serra i ranghi e ne coordina il lavoro centrato soprattutto a conquistare alla politica leninista i Soviet. E nelle rielezioni di questi organismi, che ebbero luogo tra il maggio e il giugno 1917, i bolscevichi ottennero un buon successo, conquistando un ruolo di primo piano in molti Soviet. A Pietrogrado ottennero la presidenza del Comitato esecutivo in tre Soviet rionali; a Mosca circa un terzo degli eletti nel Soviet dei deputati operai della città e la maggioranza in sei dei dieci Soviet rionali e così anche a Saratov, Syzran, Ekaterinburg e in altre zone del paese. Menscevichi e socialisti rivoluzionari erano ancora forza dirigente nella maggioranza dei Soviet, assicurando un sostegno determinante al governo provvisorio e alla sua nefasta politica, ma l'azione dei bolscevichi faceva crescere di giorno in giorno il consenso della classe operaia, dei soldati e delle masse contadine sugli obiettivi del programma rivoluzionario leninista: pace, terra, libertà per le nazioni e, soprattutto, tutto il potere ai Soviet.
Fu in questa situazione che, dal 3 al 24 giugno, si svolse a Pietrogrado il I Congresso dei Soviet dei deputati operai e soldati di tutta la Russia. Un congresso nel quale la "questione del potere" assunse un ruolo centrale. Il Congresso al quale parteciparono Lenin e Stalin, rafforzò ulteriormente il consenso attorno alla politica bolscevica.
Sulla "Pravda" del 17 giugno apparve un articolo di Stalin "A tutti i lavoratori, a tutti gli operai e soldati di Pietrogrado", nel quale si leggeva: "La Russia sta sostenendo dure prove. La guerra, che provoca vittime innumerevoli, continua ancora. I briganti arricchiti, i banchieri assetati di sangue, la prolungano deliberatamente. Lo sfacelo industriale provocato dalla guerra porta alla chiusura delle fabbriche, alla disoccupazione. I capitalisti che ricorrono alle serrate, avidi di favolosi profitti, aggravano deliberatamente lo sfacelo. La mancanza di derrate alimentari provocata dalla guerra diventa sempre più minacciosa. Il carovita soffoca la popolazione povera della città. E i prezzi continuano a salire secondo la fantasia dei trafficanti incettatori. Ci sovrasta il sinistro spettro della fame e della rovina. Intanto le nere nubi della controrivoluzione si addensano all'orizzonte... E il governo provvisorio, posto fra la Duma zarista e il Soviet dei deputati, e con dieci borghesi nel suo seno, cade palesemente sotto l'influenza dei grandi proprietari fondiari e dei capitalisti.... Domani (18 giugno), giornata di pacifica manifestazione, sia la giornata della minacciosa protesta di Pietrogrado rivoluzionaria contro l'oppressione e l'arbitrio che rinascono! Si levino alte domani le vittoriose bandiere incutendo terrore ai nemici della libertà e del socialismo!...".34 E il 18 giugno infatti, Pietrogrado fu percorsa da una grandiosa manifestazione popolare alla quale parteciparono non meno di cinquecentomila persone, dominata dalle parole d'ordine bolsceviche: "Abbasso i 10 ministri capitalisti", "Né pace separata con Guglielmo, né trattati segreti con gli anglo-francesi", "Viva il controllo e l'organizzazione della produzione", "Tutto il potere ai Soviet". Ogni appello e ogni slogan a favore del governo provvisorio, si perdeva nel nulla in quello straripante mare di popolo. E alla manifestazione di Pietrogrado altre dello stesso tenore ne seguirono a Mosca, Ivanono-Voznesensk, Riga, Kiev e in altre città ancora. Sulla "Pravda" del 20 giugno Stalin commenta così la giornata del 18 nell'articolo "La dimostrazione": "... Nel fare il bilancio della dimostrazione, quel che salta agli occhi è l'assenza della borghesia e dei suoi compagni di strada... I cadetti fin dalla vigilia avevano dichiarato il boicottaggio alla dimostrazione, affermando attraverso il loro Comitato centrale che era necessario 'astenersi' dal parteciparvi. E difatti i borghesi non solamente non vi hanno preso parte, ma si sono letteralmente nascosti. Sulla Prospettiva della Neva, di solito affollata e rumorosa, mancavano oggi completamente gli abituali frequentatori borghesi. In breve, è stata questa una dimostrazione effettivamente proletaria degli operai rivoluzionari, che guidano i soldati rivoluzionari. L'alleanza degli operai e dei soldati contro i borghesi in fuga, mentre i piccolo borghesi si mantengono neutrali: questo è l'aspetto esteriore della sfilata del 18 giugno. La sfilata del 18 giugno non è stata una semplice passeggiata, un corteo di manifestanti, come indubbiamente era stata la manifestazione in occasione dei funerali. È stata una dimostrazione di protesta, una dimostrazione delle forze vive della rivoluzione, che teneva conto del cambiamento intervenuto nei rapporti di forza... Tutto il carattere delle parole d'ordine, che suonavano protesta contro gli 'ordini' del governo provvisorio, contro tutta la sua politica, dimostra senza alcun dubbio che la 'manifestazione pacifica', che si voleva far diventare un'innocua passeggiata, si è trasformata invece in una possente dimostrazione di pressione sul governo. Un particolare che salta agli occhi è il seguente: nessuna officina, nessuna fabbrica, nessun reggimento ha lanciato la parola d'ordine: 'Fiducia nel Governo provvisorio'. Persino i menscevichi e i socialisti-rivoluzionari hanno dimenticato (piuttosto non hanno osato!) di lanciare questa parola d'ordine.... Soltanto tre gruppi hanno osato lanciare la parola d'ordine della fiducia, ma anche questi dovevano pentirsene. Si tratta del gruppo dei cosacchi, del gruppo del Bund e del gruppo dell'Edinstvo di Plekhanov. 'La santa trinità': ironizzavano gli operai al campo di Marte... In breve, il tono generale della dimostrazione è stato il seguente: nessuna fiducia al governo da parte dell'enorme maggioranza dei dimostranti, mentre i menscevichi e i socialisti-rivoluzionari hanno manifestato apertamente la loro paura di andare 'contro corrente'... In breve: l'enorme maggioranza dei dimostranti (in tutto 400-500.000) ha espresso apertamente la sua sfiducia nella politica di conciliazione con la borghesia; la dimostrazione si è svolta con le parole d'ordine rivoluzionarie del nostro partito...".35
Il 20 giugno Stalin viene eletto dal I Congresso dei Soviet di tutta la Russia, membro del Comitato Esecutivo centrale e nella prima seduta di questo organismo, viene eletto nell'Ufficio del Comitato esecutivo centrale dei Soviet in rappresentanza della frazione bolscevica. Il giorno successivo insieme con Lenin, Stalin dirige i lavori della Conferenza di tutta la Russia delle organizzazioni militari del POSDR(b), tiene il rapporto "Il movimento nazionale e i reggimenti nazionali" e propone una risoluzione sulla questione nazionale che la Conferenza approva.
La conclusione del I Congresso dei Soviet dei deputati operai e soldati di tutta la Russia pur facendo mantenere a menscevichi e socialisti-rivoluzionari una posizione maggioritaria, vide accrescere di molto il consenso attorno alle tesi bolsceviche; rafforzandone in quella fase di "dualismo di potere", governo provvisorio-Soviet, ruolo politico e capacità di direzione del movimento delle masse operaie e contadine, nello sviluppo pacifico del processo rivoluzionario.
Di questo si resero ben conto tanto la borghesia, quanto menscevichi e socialisti-rivoluzionari sempre più incalzati, stretti all'angolo e smascherati nella loro politica di conciliazione. Fu proprio nella giornata del 18 giugno, mentre nella capitale si svolgeva l'imponente manifestazione popolare che rivendicava la pace, la terra e tutto il potere ai Soviet, che il governo provvisorio decise di proseguire e rilanciare la sua politica imperialista ordinando alle truppe russe un'offensiva sul fronte della Galizia. Lo scopo era più che evidente. Il successo dell'offensiva militare, se vi fosse stato, avrebbe di fatto decisamente frenato il movimento rivoluzionario, consentendo alla borghesia e al governo di risolvere a proprio esclusivo vantaggio il "dualismo di potere", isolando i Soviet e assumendo il controllo totale del potere. Ma l'offensiva non aveva nessuna possibilità di successo, priva com'era delle condizioni necessarie alla sua riuscita. Fu in realtà un'azione avventurista e criminale che costò la vita a migliaia di soldati, provocando altresì una pesante sconfitta militare e la perdita consistente di vaste zone di territorio.
L'indignazione nel paese fu grande e non priva di conseguenze. Manifestazioni spontanee mobilitarono operai, contadini e soldati. Soprattutto a Pietrogrado esse assunsero un carattere preinsurrezionale. Il 3 luglio infatti nella capitale, numerose mobilitazioni isolate e spontanee sorte nei quartieri operai e nei distaccamenti militari, portarono centinaia di migliaia di operai e soldati in armi a confluire in un'unica, grande manifestazione che rivendicava il passaggio del potere ai Soviet. Il Comitato centrale del POSDR(b), consapevole da un lato dell'impossibilità di fermare quelle manifestazioni frutto della grande indignazione popolare contro la politica del governo che, oltre a voler continuare la guerra imperialista, aggravava di giorno in giorno la pesante crisi economica che aveva ormai ridotto allo stremo tutta la popolazione, era altresì ben conscio che non vi erano le condizioni per un'insurrezione generale in tutto il paese e che tale azione solo a Pietrogrado sarebbe rimasta isolata e priva di sbocchi. Per questo il Comitato centrale bolscevico sotto la direzione di Stalin, decise la partecipazione del partito alle manifestazioni popolari col preciso intento di dare ad esse organizzazione e un carattere assolutamente pacifico.
Lenin, Stalin e il Comitato centrale riuscirono in questo loro intento e la dimostrazione venne dalla manifestazione del 4 luglio che vide concentrarsi davanti alla sede del Comitato Esecutivo dei Soviet di Pietrogrado, oltre mezzo milione di persone che, con fermezza, ma senza alcuna forma violenta di protesta, richiesero ai Soviet di prendere il potere nelle loro mani. Ad essere violenta e sanguinaria fu la reazione de governo che ordinò ai reparti di junker, composti esclusivamente da ufficiali e allievi ufficiali, di sparare sulla folla. Un atto repressivo ignobile e criminale, che provocò un vero e proprio bagno di sangue tra gli operai, i soldati e la popolazione che a quella manifestazione partecipavano. Con la cruenta repressione delle manifestazioni di Pietrogrado, la borghesia russa evidenziò il suo fermo proposito di avocare a sé tutto il potere, con l'appoggio incondizionato dei gruppi sociali e militari reazionari del paese e spalleggiata in questo da menscevichi e socialisti-rivoluzionari che con la loro politica di conciliazione ponevano grossi limiti tanto allo sviluppo del movimento popolare rivoluzionario, quanto ai Soviet che i dirigenti socialdemocratici anziché svilupparne e affinarne le doti e le caratteristiche di strutture del governo rivoluzionario, sminuivano e imbrigliavano in meri organismi di appoggio e copertura alla politica del governo provvisorio.
L'unica forza politica in grado di contrastare efficacemente il tentativo di restaurazione e di soffocamento del movimento popolare rivoluzionario, era il partito bolscevico. Per questo motivo dopo gli accadimenti dei primi giorni di luglio, si intensificò da parte della borghesia e del governo provvisorio, la campagna di denigrazione e calunnie contro i bolscevichi. Si voleva isolare il partito, inficiarne il legame con le masse, colpirlo nelle sue strutture e capacità tanto politiche che organizzative. Già all'indomani della disfatta militare seguita all'offensiva di metà giugno, tanto il governo provvisorio che i partiti politici che esso componevano, iniziarono una vergognosa quanto calunniosa campagna di propaganda contro i bolscevichi accusati di essere i responsabili della sconfitta per avere disgregato l'esercito. Una campagna che andò via via intensificandosi, coinvolgendo tutta la stampa borghese nell'azione di disinformazione e di denigrazione antibolscevica. Il fogliaccio borghese "Zhivoe slovo" arrivò perfino a pubblicare un articolo totalmente falso e ingiurioso su presunti rapporti fra Lenin e lo stato maggiore tedesco, confezionato dalle alte gerarchie militari russe con l'utilizzo di provocatori e agenti segreti. Stalin in un fermo intervento alla riunione del Comitato Esecutivo Centrale dei Soviet, richiese con estrema decisione che si ponesse fine alla campagna di calunnie contro Lenin e i bolscevichi. Ma la reazione non si fermò.
Dopo le giornate di lotta di luglio, vi fu una nuova crisi di governo che portò alle dimissioni del principe Lvov. Capo del nuovo esecutivo venne nominato il socialista-rivoluzionario Kerenskij, che mantenne anche la carica di ministro della guerra e della Marina. In questo governo, che troverà completa composizione e il varo definitivo il 24 luglio, menscevichi e socialisti-rivoluzionari furono in maggioranza, ma sul piano politico molto più deboli e ormai totalmente succubi alla borghesia. Stalin evidenzia questa caratteristica nell'editoriale del n. 2 del "Raboci i soldat" del 24 luglio: "La ridda dei ministri - scrive Stalin -, a quanto pare, non è ancora finita. Il mercato fra i cadetti e Kerenskij ancora continua. Le 'combinazioni' si succedono alle 'combinazioni'... Come ripeto, qui non si tratta delle persone. Si tratta del fatto che in tutta questa gazzarra, in questa caccia ai portafogli, ecc., alla cui base sta la lotta per il potere, ha avuto il sopravvento la linea dei cadetti, la linea della controrivoluzione in politica interna e della 'guerra sino in fondo' in politica estera. La questione era dunque in questi termini: O si continua la guerra, e allora si ha la completa dipendenza dal mercato finanziario inglese e americano, il dominio dei cadetti, la repressione della rivoluzione, poiché né i cadetti, né il capitale 'alleato' possono simpatizzare con la rivoluzione russa. O si dà il potere alla classe rivoluzionaria, si spezzano le catene finanziarie del capitale alleato che avvincono la Russia mani e piedi, si presentano condizioni di pace, si riassesta l'economia nazionale in sfacelo a spese dei profitti dei grandi proprietari fondiari e dei capitalisti. Una terza soluzione non esiste, e i menscevichi e i socialisti-rivoluzionari che cercavano la terza via dovevano inevitabilmente fallire. I cadetti, da questo punto di vista, si sono dimostrati più sensati... I menscevichi e i socialisti-rivoluzionari hanno respinto la via rivoluzionaria, il che vuol dire che essi dovevano inevitabilmente cadere in balia dei cadetti, in balia della controrivoluzione. Poiché andare coi cadetti significa garantire il prestito interno. Poiché andare coi cadetti vuol dire ottenere l'amicizia del capitale alleato e cioè garantire il prestito estero. E i denari sono tanto necessari, dato lo sfacelo esistente all'interno e soprattutto al fronte. Qui è tutta l'essenza della 'crisi'. Qui è tutto il significato della vittoria dei cadetti. Il prossimo futuro dirà se questa vittoria durerà a lungo".36
Il nuovo governo in modo subdolo e demagogico, cercò di proporsi agli occhi delle masse popolari come difensore della rivoluzione. Utilizzando la loro posizione maggioritaria nel Comitato Esecutivo dei Soviet, menscevichi e socialisti-rivoluzionari, fecero proclamare da quest'organismo il governo Kerenskij come "governo di salute pubblica", per evitare ad esso qualsiasi limitazione al suo potere. Il nuovo esecutivo alza così il tiro contro il partito bolscevico, puntando alla sua liquidazione. I bolscevichi vengono accusati di aver tentato di rovesciare il governo provvisorio, e contro di essi si scatena la repressione. Furono chiusi tutti i giornali del partito, compresa la "Pravda", le redazioni distrutte o incendiate; smantellata la tipografia "Trud"; disarmati i distaccamenti operai; mandati al fronte i reparti militari che avevano simpatizzato o mostrato il loro appoggio alla politica bolscevica; alcuni militanti assassinati. Contemporaneamente si scatenò anche la repressione giudiziaria con perquisizioni e arresti di militanti e dirigenti. Il 7 luglio il tribunale di Pietrogrado incriminò ed emise il mandato di arresto per Lenin.
Anche in questo frangente, Stalin si dimostrò all'altezza della situazione. Si impegnò direttamente a salvaguardare l'incolumità e la libertà personale di Lenin, così come l'integrità e l'agibilità politica del partito. Egli si battè a che il partito non si sottomettesse alle imposizioni del governo e al giudizio dei suoi tribunali, come spingevano a fare Kamenev e Rykov dall'interno del partito e Trotzki dall'esterno. Questi ultimi, tra l'altro, chiesero a Lenin di consegnarsi ai suoi inquisitori. Stalin nascose Lenin nel suo rifugio nella casa degli Alliluyev, dove rimase per i giorni necessari all'organizzazione del suo espatrio clandestino, che preparò con Orgjonikidze e Alliluyev trovando per lui definitivo e sicuro rifugio in Finlandia. L'11 luglio Stalin e Alliluyev accompagnarono Lenin alla stazione del Litorale, da dove partì in treno per l'ennesimo, ultimo esilio. Dopo la partenza di Lenin, Stalin si trasferì nuovamente nella casa di Alliluyev, dove era stato deciso venisse inviata tutta la corrispondenza di Lenin e per Lenin. In questo modo Lenin e Stalin avevano deciso di mantenere stretti contatti tra loro, ed è così che fino al 7 ottobre, Stalin guiderà personalmente e secondo le direttive di Lenin, l'attività del Comitato centrale del partito bolscevico.
L'avvento al potere del governo Kerenskij, la repressione brutale contro il movimento popolare e il forsennato attacco al partito bolscevico erano gli indicatori di una situazione politica ormai definitivamente mutata. Così Stalin, ne sintetizza i termini: "... È in questo modo, che il Governo provvisorio di coalizione, di cui facevano parte rappresentanti notissimi dei menscevichi e dei socialisti-rivoluzionari come Tsereteli e Skobelev, Kerenskij e Cernov, affondava nella cloaca dell'imperialismo e della controrivoluzione aperta. Invece di una politica di pace, il governo conduceva una politica di continuazione della guerra, invece di difendere i diritti democratici del popolo, conduceva una politica che mirava a sopprimerli e a domare con la forza delle armi gli operai e i soldati. Ciò che non avevano osato fare i rappresentanti della borghesia - Gutsckov e Miljukov - osarono fare i 'socialisti' Kerenskij e Tsereteli, Cernov e Skobelev. Il dualismo di potere era cessato. Era cessato in favore della borghesia, poiché tutto il potere era passato nelle mani del Governo provvisorio, e i Soviet con la loro direzione menscevica e socialista-rivoluzionaria si erano trasformati in un'appendice del Governo provvisorio. Il periodo pacifico della rivoluzione era finito poiché la parola era stata data alla baionetta. Di fronte a una situazione mutata, il partito bolscevico decise di modificare la propria tattica: passò al lavoro clandestino, mise al sicuro, nella più profonda illegalità, il suo capo, Lenin, e cominciò a prepararsi all'insurrezione per rovesciare con la forza delle armi il potere della borghesia ed instaurare il potere dei Soviet".37
Nell'immediata vigilia dell'apertura della Conferenza Straordinaria dell'organizzazione di Pietrogrado, Stalin scrive per il "Proletarskoje Dielo", l'articolo "Serrate le file". "Gli avvenimenti del 3/4 luglio - vi si legge - sono stati provocati dalla crisi generale del paese. La guerra che si trascina e l'esaurimento generale, l'inaudito aumento del costo della vita e la denutrizione, la controrivoluzione che si rafforza e lo sfacelo economico, lo scioglimento dei reggimenti al fronte e il rinvio della questione della terra, lo sfacelo generale del paese e l'incapacità del governo provvisorio di trarre il paese fuori della crisi: questi sono i fatti che hanno spinto le masse a manifestare nelle strade il 3/4 luglio...Nessun partito, neppure i bolscevichi hanno rivolto un appello che invitasse a effettuare l'azione del 3 luglio. Anzi. Il partito bolscevico, che è il partito più influente a Pietrogrado, ancora il 3 luglio aveva invitato gli operai e i soldati ad astenersi dall'azione. E quando il movimento scoppiò ugualmente, il nostro partito, ritenendo di non avere il diritto di lavarsene le mani, fece tutto il possibile per dare al movimento un carattere pacifico e organizzato. Ma la controrivoluzione non dormiva: organizzò spari a scopo di provocazione, oscurò le giornate della dimostrazione con spargimenti di sangue e, appoggiandosi su alcuni reparti provenienti dal fronte, passò all'attacco contro la rivoluzione. Il partito dei cadetti, nerbo della controrivoluzione, quasi prevedesse tutto ciò, era uscito in precedenza dal governo per avere le mani libere. I membri menscevichi e socialisti-rivoluzionari del Comitato esecutivo, desiderando conservare le loro posizioni vacillanti, dichiararono perfidamente che la dimostrazione per il passaggio di tutto il potere ai soviet era un'insurrezione contro i soviet e scagliarono contro Pietrogrado rivoluzionaria gli strati arretrati dei reparti militari, fatti affluire dal fronte. Accecati dal fanatismo fazioso, non si accorsero che infliggendo dei colpi agli operai e ai soldati rivoluzionari, indebolivano con ciò stesso tutto il fronte della rivoluzione e davano ali alle speranze della controrivoluzione. Risultato: controrivoluzione sfrenata e dittatura militare. La devastazione delle sedi della Pravda e della Soldatskaia Pravda, la devastazione della tipografia Trud e delle nostre organizzazioni rionali, le bastonature e gli assassini, gli arresti arbitrari e tutta una serie di repressioni 'illegali', le basse calunnie di spregevoli spie contro i capi del nostro partito e la sfrenata gazzarra dei banditi della penna sui giornali venduti alla borghesia, il disarmo degli operai rivoluzionari, lo scioglimento dei reggimenti, il ripristino della pena di morte: ecco l''opera' della dittatura militare. Tutto questo viene fatto sotto l'insegna della 'salvezza della rivoluzione', per 'ordine' del 'ministero' Kerenskij-Tsereteli, appoggiato dal Comitato Esecutivo di tutta la Russia. Inoltre i partiti socialista-rivoluzionario e menscevico, partiti al governo, spaventati dalla dittatura militare, consegnano a cuor leggero i capi del partito proletario ai nemici della rivoluzione, tengono nascoste le devastazioni e le violenze, non reagiscono alle repressioni 'illegali'. Tacita intesa tra il governo provvisorio e lo stato maggiore della controrivoluzione, costituito dal partito cadetto, con la palese connivenza del Comitato esecutivo, contro gli operai e i soldati rivoluzionari di Pietrogrado: ecco la situazione attuale... Il compito attuale è il seguente: essere preparati alle prossime battaglie, affrontarle degnamente e in modo organizzato. Ne consegue: La prima raccomandazione è di non cadere nelle provocazioni dei controrivoluzionari, di armarsi di sangue freddo e di padronanza di se stessi, di raccogliere le forze per la lotta imminente, di non permettere nessuna azione prematura. La seconda raccomandazione è di raggrupparsi più compatti attorno al nostro partito, di serrare i ranghi contro gli innumerevoli nemici che si armano contro di noi, di tenere alta la bandiera, incitando i deboli, non abbandonando i ritardatari, rendendo coscienti coloro che non lo sono ancora. Nessuna conciliazione con la controrivoluzione! Nessuna unità con i 'socialisti'-sgherri. La nostra parola d'ordine è: unione degli elementi rivoluzionari contro la controrivoluzione e contro i suoi protettori".38