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Stalin, la vita e l'opera

Capitolo 13
L'opposizione trotzkista contro Stalin

 

La discussione sulla democrazia rappresentò, come già molte volte era successo nella storia del partito bolscevico, il manifestarsi di una battaglia politica, di uno scontro di linee sull'azione e sulle prospettive della rivoluzione. Ma, per l'opposizione, essa significò anche una sorta di "svolta" rispetto al passato. Vi fu, infatti, nell'azione dell'opposizione attorno alla discussione sulla democrazia, il tentativo di imprimere un deciso colpo d'acceleratore nella sua lotta contro la direzione marxista-leninista del partito bolscevico. In questo quadro, da lì in poi, l'opposizione andò sviluppando una sorta di "guerra ad personam" contro il Segretario generale del partito, Stalin. Iniziò così una bassa campagna d'insinuazioni tendente ad accreditare una frattura e un'inesistente inconciliabilità politica ed anche personale tra Lenin e Stalin. Alcuni esempi occorre qui sottolineare, non fosse altro perché, proprio questi, rappresentano quelli più diffusamente agitati da quanti hanno voluto e vogliono infangare e distruggere Stalin, per infangare e distruggere in realtà il marxismo-leninismo e, con esso, la lotta rivoluzionaria del proletariato e la sua aspirazione al socialismo.
Quella della rottura dei rapporti tra i due dirigenti bolscevichi, è un'arbitraria e artificiosa interpretazione "storica" di una lettera dettata da Lenin nel marzo del 1923. Questi gli antefatti. Presumibilmente nelle prime settimane di quello stesso anno, vi fu un colloquio telefonico, tra Stalin, a cui il CC aveva affidato la responsabilità del controllo sulle prescrizioni mediche relative alla cura di Lenin, e la Krupskaia circa, appunto, il rispetto scrupoloso di quelle prescrizioni. Evidentemente la moglie di Lenin ebbe in qualche modo a risentirsi di ciò. Parlò con Zinoviev e Kamenev, ma tacque in un primo momento il fatto al marito. Successivamente portò Lenin a conoscenza dell'accaduto. Da Gorki, il 5 marzo 1923, Lenin dettò una lettera (rigorosamente segreta e personale) per Stalin, di cui chiese fosse inviata copia a Zinoviev e Kamenev. Questo il contenuto:
"Stimato compagno Stalin, avete avuto la grossolanità di chiamare mia moglie al telefono e di insolentirla. Benché essa vi abbia fatto sapere di essere disposta a dimenticare ciò che le avete detto, quanto è accaduto è venuto a conoscenza di Zinoviev e Kamenev (che l'hanno saputo da lei). Non ho intenzione di dimenticare tanto facilmente ciò che è stato fatto contro di me, e non c'è bisogno di dire che ciò che è fatto contro mia moglie lo considero fatto anche contro di me. Perciò vi prego di riflettere e di farmi sapere se acconsentite a ritirare le vostre parole e a scusarvi o se preferite rompere i rapporti fra noi. Con stima Lenin"95.
Questa lettera giunse qualche giorno dopo a Stalin, il quale immediatamente rispose in questi termini:
"Compagno Lenin, cinque settimane fa ho avuto una conversazione con la compagna Nadezda Kostantinovna, che considero non solo vostra moglie, ma anche una vecchia compagna di partito, e le ho detto più o meno quanto segue (al telefono): - I medici (ci) hanno proibito di dare a Ilic informazioni di carattere politico, ritenendo che sia il mezzo più efficace per curarlo. Si dà il caso, Nadezda Kostantinovna, che voi non rispettiate questa prescrizione. Non dobbiamo giocare con la vita di Ilic. - Non penso di aver detto nulla di brutale o di intollerabile o contro di voi, perché non ho altro desiderio che la vostra pronta guarigione, e soprattutto ritengo mio dovere controllare che le prescrizioni mediche vengano rispettate. La mia conversazione con Nadezda Kostantinovna ha confermato che i miei sospetti erano infondati; non poteva del resto essere altrimenti. Ora, se credete che per mantenere i nostri rapporti io debba ritirare quello che ho detto lo ritiro, anche se continuo a non capire dove sia il problema, in cosa consista la mia colpa e cosa mi si rimproveri. Iosif Stalin"96.
Lenin non venne mai a conoscenza di questa risposta perché, il 10 marzo, fu colpito da un nuovo attacco che ne compromise in modo pressoché definitivo le facoltà psicofisiche.


Il "testamento" di Lenin

Tra il dicembre 1922 e il gennaio 1923 Lenin dettò una serie di appunti in cui esprimeva le sue considerazioni relativamente a tre questioni: preservare il partito dal pericolo di scissione; l'allargamento delle competenze del Gosplan (Commissione statale del piano); la questione delle nazionalità o della "autonomizzazione" inerente, nello specifico, la situazione della Georgia. Sono considerazioni racchiuse sotto il titolo "Lettera al Congresso" fatte in previsione di un suo possibile intervento al XII che si sarebbe tenuto nell'aprile del 1923, intervento che le condizioni di salute non gli permisero di effettuare. Nessuno ovviamente, può sapere termini e modo che quell'intervento avrebbe assunto. Certo è che, una volta appurata l'impossibilità di una sua personale partecipazione al Congresso, Lenin vietò espressamente la pubblicazione di queste sue considerazioni. La "Lettera al Congresso" fu comunque portata a conoscenza del partito ed i suoi contenuti furono ampiamente e approfonditamente dibattuti in più sessioni del CC e della CCC e dal XII e XIII Congresso del partito. Furono inoltre precise deliberazioni congressuali a decidere, in conformità alla volontà di Lenin, la non pubblicazione della "Lettera al Congresso".
Per chiarezza di esposizione è opportuno affrontare separatamente le considerazioni di Lenin relative alla questione nazionale e alla struttura politica.


La questione georgiana

Nel quadro del progetto di costruzione dell'Unione delle Repubbliche Sovietiche la situazione nei paesi della zona transcaucasica - Armenia, Azerbaigian e Georgia - presentava, rispetto ad altre, una diversa complessità determinata da particolari condizioni di ordine etnico, per una non omogeneità nazionale dovuta alla presenza nei tre paesi di diversi popoli e per la necessità di garantire a tutti e tre i paesi, di usufruire delle stesse infrastrutture e vie di comunicazione per costruire un equilibrato ed armonico sviluppo economico. Furono queste peculiarità che portarono i gruppi dirigenti locali e centrale a favorire l'adesione all'Unione non dei tre paesi separatamente, ma passando prima attraverso un processo federativo dell'intera regione. La costruzione della Federazione transcaucasica e l'adesione di questa all'Unione, fu il processo condiviso e sostenuto da Lenin e Stalin, dal partito e dagli organi di governo sovietici, locali e centrali. Alcuni gruppi ed esponenti politici, anche comunisti, manifestarono la loro opposizione a questo progetto, opposizione dettata soprattutto da un esacerbato e nocivo nazionalismo, peraltro non nuovo nella storia di questi paesi. Ciò avvenne in Azerbaigian e, soprattutto, in Georgia. Lenin insistette affinchè tutto il cammino verso l'Unione potesse svolgersi con il più ampio sostegno popolare, anche se ciò ne avesse comportato un rallentamento dei tempi di attuazione. La costituzione della Federazione transcaucasica avviata nel marzo del 1922, raggiunse l'approdo finale alla fine di quello stesso anno. Tutta la questione dell'Unione delle repubbliche sovietiche e lo stesso progetto di Costituzione dell'URSS, di cui era incaricato Stalin, fu da questi affrontato avvalendosi del contributo di Lenin. Proprio di questo argomento i due dirigenti bolscevichi discussero il 27 settembre 1922 nel corso di un incontro che Lenin ebbe con Stalin a Gorki, approfittando di un leggero miglioramento delle sue condizioni di salute.
La tensione in Georgia raggiunse il suo culmine nell'estate del 1922, con un'accesa lotta nel CC del partito georgiano che portò all'esonero dagli incarichi di Midvani e del suo gruppo d'opposizione. Provvedimento sostenuto anche da Orgionikidze che ebbe anche un violento scontro con un rappresentante dell'opposizione georgiana.
Quando Lenin seppe dell'accaduto, non mancò di esprimere il suo disappunto. Nei suoi appunti, dettati il 30 e 31 dicembre 1922, "Sulla questione delle nazionalità o della autonomizzazione" (parte integrante della "Lettera al Congresso") si legge: "A quanto pare sono fortemente in colpa verso gli operai della Russia perché non mi sono occupato con sufficiente energia e decisione della famosa questione della autonomizzazione ufficialmente detta, mi pare, questione della unione delle repubbliche socialiste sovietiche. Quest'estate, quando la questione è sorta, io ero malato, e poi, nell'autunno, ho riposto eccessive speranze nella mia guarigione e nella possibilità che le assemblee plenarie di ottobre e dicembre mi avrebbero permesso di occuparmi di tale questione. Ma invece non ho potuto essere presente né al plenum di ottobre (su questo punto) né a quello di dicembre, e così la questione è stata discussa quasi completamente senza di me. Sono riuscito solo a parlare con il compagno Dzerginski, che è venuto dal Caucaso e mi ha raccontato come si pone questo problema in Georgia. Sono riuscito anche a scambiare qualche parola con il compagno Zinoviev e a esprimergli i miei timori a questo proposito. Da ciò che mi ha comunicato il compagno Dzerginski, che era stato a capo della delegazione inviata dal Comitato centrale per 'indagare' sull'incidente georgiano, potevo infatti trarre motivo solo di grandissimi timori. Se le cose erano arrivate a tal punto che Orgionikidze aveva potuto lasciarsi andare all'uso della violenza fisica, come mi ha comunicato il compagno Dzerginski, ci si può immaginare in quale pantano siamo scivolati... Ho già scritto nelle mie opere sulla questione nazionale che non bisogna assolutamente impostare in astratto la questione del nazionalismo in generale. È necessario distinguere il nazionalismo della nazione dominante dal nazionalismo della nazione oppressa, il nazionalismo della grande nazione da quello della piccola. Nei confronti del secondo nazionalismo, noi, appartenenti a una grande nazione, ci troviamo ad essere quasi sempre, nella prassi storica, colpevoli di infinite violenze, e anzi, compiamo in più, senza nemmeno accorgercene, un numero infinito di violenze e offese: mi basta ripensare agli anni in cui vivevo nella regione del Volga e al come da noi trattano gli allogeni, come il polacco venga chiamato solo 'polaccuzzo', come prendono in giro il tartaro, chiamandolo 'principe', e l'ucraino 'chochol' e il georgiano e gli altri allogeni del Caucaso 'kapkasi'. Perciò l'internazionalismo da parte della nazione dominante, o cosiddetta 'grande nazione' (sebbene sia grande soltanto per le sue violenze, grande soltanto come è grande Diergimorda), deve consistere non solo nell'osservare la formale uguaglianza tra le nazioni, ma anche una certa ineguaglianza che compensi da parte della nazione dominante, della grande nazione, l'ineguaglianza che si crea di fatto nella realtà. Chi non l'ha capito, non ha capito l'atteggiamento realmente proletario verso la questione nazionale, ed è rimasto, in sostanza, su una posizione piccolo-borghese, e perciò non può non scivolare ad ogni istante nella posizione borghese. Che cosa è importante per il proletariato? Per il proletariato è non soltanto importante, ma essenzialmente necessario assicurarsi la massima fiducia degli allogeni nella lotta di classe proletaria. Che cosa occorre per assicurarsela? Occorre non solo l'eguaglianza formale. Occorre compensare, in un modo o nell'altro, con il proprio comportamento e con le proprie concessioni verso gli allogeni, quella sfiducia, quella diffidenza, quelle offese che nella storia passata gli sono state provocate dal governo della nazione 'grande potenza'"97.
Lenin punta il dito contro lo sciovinismo grande-russo e, nei fatti georgiani, relativamente agli aspetti di cui era a conoscenza, vede una possibile manifestazione di questo sciovinismo grande-russo. Stalin, come Lenin, evidenzia lo stesso pericolo. Nel Rapporto sugli aspetti della questione nazionale nell'edificazione del partito e dello Stato svolto il 23 aprile 1923 al XII Congresso del PC(b)R egli afferma: "La forza fondamentale che ostacola l'Unione delle repubbliche in un unico organismo, è una forza che si sviluppa, da noi, come ho già detto, nelle condizioni della Nep: è lo sciovinismo grande-russo... Sono stato testimone del fatto che alla riunione plenaria di febbraio, nella quale si pose per la prima volta la questione della seconda Camera, si son sentiti fra i compagni del Comitato centrale dei discorsi che non si accordavano con il comunismo, e non avevano nulla in comune con l'internazionalismo. Tutto questo è un segno dei tempi, è un'epidemia. Il pericolo principale che ne deriva è che, in conseguenza della Nep, non di giorno in giorno, ma di ora in ora, si sviluppa da noi lo sciovinismo da grande potenza, che si sforza di cancellare tutto ciò che non è russo, di raccogliere tutte le leve di comando attorno a un nucleo russo e di schiacciare ciò che non è russo. Il pericolo principale consiste nel fatto che con una simile politica rischiamo di perdere quella fiducia che i popoli un tempo oppressi hanno verso i proletari russi, fiducia che questi si sono conquistata nelle giornate di Ottobre, quando tolsero di mezzo i grandi proprietari fondiari, i capitalisti russi, quando eliminarono l'oppressione nazionale all'interno della Russia, ritirarono le truppe dalla Persia, dalla Mongolia, proclamarono l'indipendenza della Finlandia, dell'Armenia e in generale posero la questione nazionale su basi completamente nuove. Noi potremo perdere fin l'ultima traccia della fiducia che abbiamo conquistata allora, se non ci armeremo tutti contro questo nuovo sciovinismo, grande-russo ripeto, che avanza e si insinua, penetrando goccia a goccia nel cervello dei nostri militanti, corrompendoli gradualmente. Questo, compagni, è il pericolo che dobbiamo a tutti i costi combattere e vincere. Altrimenti ci minaccia la prospettiva di perdere la fiducia degli operai e dei contadini dei popoli un tempo oppressi, la prospettiva della rottura dei vincoli che esistono tra questi popoli e il proletariato russo e con ciò stesso saremo minacciati dal pericolo di lasciare aperta una falla nel sistema della nostra dittatura"98.
Più avanti nello stesso Rapporto, Stalin sottolinea però anche un altro fattore di ostacolo all'unione delle repubbliche sovietiche. Il nazionalismo delle singole repubbliche e, qui, fa esplicito riferimento alla Georgia: "Se questo nazionalismo fosse solo difensivo, non sarebbe ancora il caso di sollevare tanto chiasso. Potremmo concentrare tutta la forza della nostra azione e tutto il vigore della nostra lotta contro lo sciovinismo grande-russo, sperando che una volta abbattuto questo forte nemico, sarebbe contemporaneamente abbattuto anche il nazionalismo antirusso, perché questo nazionalismo, come ripeto, costituisce in ultima analisi una reazione al nazionalismo grande-russo, una risposta ad esso, una specie di difesa. Così andrebbero le cose se localmente il nazionalismo antirusso non oltrepassasse i limiti della reazione al nazionalismo grande-russo. Ma disgrazia vuole che in alcune repubbliche questo nazionalismo difensivo si vada trasformando in nazionalismo aggressivo. Prendiamo la Georgia. Più del 30% della popolazione non è georgiana. Abbiamo armeni, abkhazi, agiari, oseti, tartari. In testa stanno i georgiani. In una parte dei comunisti georgiani è nata e si è sviluppata l'idea che non si debba dar molto peso a queste piccole nazionalità: esse sono meno colte, meno, dicono loro, sviluppate, per cui si può non tenerne conto. Questo è sciovinismo, sciovinismo esiziale e pericoloso, giacché può trasformare la piccola Repubblica georgiana in un'arena di discordie. E in un'arena di discordie del resto è già stata trasformata... C'è stato da noi, ed esiste ancora, un gruppo di comunisti georgiani che non si oppongono a che la Georgia aderisca all'Unione delle repubbliche, ma si oppongono a realizzare questa unione attraverso la Federazione transcaucasica. Essi, guardate un po', vogliono essere più vicini all'Unione; non è necessario - affermano - che tra noi georgiani e l'Unione delle repubbliche esista questo muro divisorio che è la Federazione transcaucasica: la Federazione, dicono, non è necessaria. Ciò in apparenza ha un colore molto rivoluzionario. Ma dietro si cela un'altra intenzione. In primo luogo, queste dichiarazioni ci dicono che nel campo della questione nazionale in Georgia le relazioni con i russi hanno un'importanza secondaria, perché questi compagni deviazionisti (così li chiamano) non hanno nulla in contrario a un'adesione diretta della Georgia all'Unione, vale a dire non temono lo sciovinismo grande-russo, ritenendo che esso, in un modo o nell'altro, sia stato eliminato o non abbia un'importanza decisiva. Evidentemente, essi temono di più la Federazione transcaucasica. Perché? Perché tre popoli importanti, che vivono nella Transcaucasia, che si sono battuti tra loro per tanto tempo, che si sono massacrati a vicenda, che si son fatti la guerra, perché mai questi popoli, ora che finalmente il potere sovietico ha creato i vincoli dell'unione fraterna fra di loro attraverso la federazione, ora che questa federazione ha dato frutti concreti, perché mai dovrebbero spezzare questi vincoli? Qual è il motivo, compagni? Il motivo è che i vincoli della Federazione transcaucasica privano la Georgia di quella posizione privilegiata che poteva occupare grazie alla sua posizione geografica. Giudicate voi stessi. La Georgia ha il suo porto, Batum, dal quale passano le merci provenienti dall'Occidente; la Georgia ha un nodo ferroviario come Tiflis, del quale non possono fare a meno gli armeni, non può fare a meno l'Azerbaigian, che riceve le sue merci da Batum. Se la Georgia fosse una repubblica separata, se non entrasse nella Federazione transcaucasica, potrebbe mandare un piccolo ultimatum all'Armenia, che non può fare a meno di Tiflis, e all'Azerbaigian, che non può fare a meno di Batum. La Georgia ne riceverebbe certi vantaggi. Non è un caso, compagni, che un decreto così barbaro - e che tutti conoscono - come quello del cordone di frontiera sia stato elaborato appunto in Georgia. Ora si addossa questa colpa a Serebriakov. Ammettiamolo pure. Ma questo decreto è pur nato in Georgia, e non nell'Azerbaigian o nell'Armenia. Poi, esiste ancora un altro motivo. Tiflis è la capitale della Georgia, ma in essa i georgiani sono non più del 30%, gli armeni non meno del 35%, e poi vengono tutte le altre nazionalità. Eccovi la capitale della Georgia. Se per caso la Georgia fosse una repubblica a sé stante, si potrebbero effettuare alcuni trasferimenti di popolazione, per esempio quello della popolazione armena di Tiflis. In Georgia era già stato approvato un certo decreto sulla 'sistemazione' della popolazione di Tiflis, e di questo decreto il compagno Makharadze ha detto che non era rivolto contro gli armeni. Si mirava a effettuare qualche trasferimento di popolazione in modo che gli armeni, a Tiflis, diminuissero anno per anno rispetto ai georgiani e, in questo modo, Tiflis si trasformasse in una capitale effettivamente georgiana. Riconosco che il decreto di trasferimento è stato abrogato. Ma essi hanno ancora nelle loro mani un gran numero di possibilità, numerose forme duttili, come per esempio lo 'sfollamento', grazie al quale, pur conservando l'apparenza dell'internazionalismo, si potrebbero organizzare le cose in modo che gli armeni a Tiflis diminuissero di numero. Questi vantaggi derivanti dalla posizione geografica, che i deviazionisti georgiani non vogliono perdere, e la posizione sfavorevole dei georgiani nella stessa Tiflis, dove i georgiani sono in numero inferiore agli armeni, inducono i nostri deviazionisti a lottare contro la federazione. I menscevichi avevano semplicemente espulso da Tiflis gli armeni e i tartari. Oggi, col potere sovietico, non è possibile espellerli, perciò bisogna staccarsi dalla Federazione e allora esisteranno le possibilità giuridiche di svolgere per proprio conto certe operazioni, grazie alle quali la posizione favorevole dei georgiani sarà pienamente sfruttata contro l'Azerbaigian e l'Armenia. E in conseguenza di tutto questo si creerebbe una posizione di privilegio per i georgiani in seno alla Transcaucasia. Qui è tutto il pericolo. Possiamo forse, ignorando gli interessi della pace nazionale in Transcaucasia, creare condizioni tali per cui i georgiani verrebbero a trovarsi in una posizione privilegiata rispetto alle repubbliche armena e azerbaigiana? No, non possiamo permettere una cosa simile. Esiste un vecchio, particolare sistema di governo delle nazioni che si attua quando il potere borghese favorisce alcune nazionalità, concede loro privilegi e opprime le altre nazioni, delle quali non vuole occuparsi. Così, favorendo una nazionalità, opprime per mezzo suo le rimanenti... Su questa via pericolosa ci spingono i nostri compagni georgiani deviazionisti, in quanto lottano contro la federazione, violando tutte le leggi di partito, in quanto vogliono staccarsi dalla federazione per mantenere la loro posizione favorevole. Essi ci spingono a conceder loro alcuni privilegi a spese delle repubbliche armena e azerbaigiana. Noi non possiamo prender questo cammino perché sarebbe la morte sicura di tutta la nostra politica e del potere sovietico nel Caucaso... Non è un caso (...) che i menscevichi del Sozialisticeski Viestnik incensino i nostri compagni deviazionisti per la loro lotta contro la federazione , li portino in palma di mano: chi si somiglia si piglia".99
Stalin inoltre, sempre al XII Congresso, nel discorso pronunciato a conclusione del dibattito sul rapporto organizzativo del CC, affronta anche l'argomento delle misure adottate contro Midvani e il suo gruppo di opposizione: "Passo infine a Mdivani... Egli ha parlato di esitazioni del Comitato centrale: oggi, dice lui, viene deciso di unificare gli sforzi economici delle tre repubbliche transcaucasiche, domani si decide di unire queste repubbliche in una federazione, dopodomani si ha una terza decisione, quella di raggruppare tutte le repubbliche sovietiche nell'Unione delle repubbliche. Queste egli le chiama esitazioni del Comitato centrale. È giusto? No, compagni, non si tratta di esitazioni, ma di un sistema. Le repubbliche indipendenti, in primo luogo, si avvicinano fra loro sul terreno economico. Questo passo è stato fatto fin dal 1921. Dopo aver visto che l'esperienza dell'avvicinamento delle repubbliche dà buoni risultati, si compie il passo successivo, che consiste nell'unirle in una federazione. Soprattutto in una zona come la Transcaucasia, nella quale è impossibile ottenere la pace fra le nazionalità senza un organo speciale... Ecco così che alcuni mesi dopo l'unificazione degli sforzi economici viene compiuto il passo successivo, la Federazione delle repubbliche, e un anno dopo si fa un altro passo, tappa conclusiva sul cammino del raggruppamento delle repubbliche: viene creata l'Unione delle repubbliche. Dove sono qui le esitazioni? Questo è il sistema della nostra politica nazionale. Mdivani, semplicemente, non ha afferrato l'essenza della nostra politica sovietica, sebbene si atteggi a vecchio bolscevico. Egli ha fatto una serie di domande, insinuando che non si riesce a capire chi abbia risolto i problemi più importanti relativi alla questione nazionale nella Transcaucasia e soprattutto nella Georgia: se il Comitato centrale o singole persone. Il problema principale della Transcaucasia è la Federazione transcaucasica. Permettetemi di leggere un piccolo documento concernente la storia della direttiva del Comitato centrale del Partito comunista della Russia circa la Federazione transcaucasica. Il 28 novembre 1921 il compagno Lenin mi invia il progetto della sua proposta relativa alla costituzione della Federazione delle repubbliche transcaucasiche. Questo progetto dice: '1) Si riconosca assolutamente giusta in linea di principio e incondizionatamente realizzabile la Federazione delle repubbliche transcaucasiche. Essa è però prematura dal punto di vista della immediata realizzazione pratica, richiede cioè alcune settimane di tempo per essere discussa, propagandata e attuata dal basso. 2) Si proponga ai Comitati centrali della Georgia, dell'Armenia, dell'Azerbaigian di attuare questa decisione'. Scrivo al compagno Lenin e gli propongo di non avere fretta, di aspettare, di concedere un certo lasso di tempo ai militanti delle organizzazioni periferiche per realizzare la Federazione. Scrivo al compagno Lenin: 'Compagno Lenin. Non ho nulla da obiettare alla vostra risoluzione se acconsentite ad accogliere il seguente emendamento: al paragrafo 1, invece delle parole: 'richiede alcune settimane di tempo per essere discussa' mettere: 'richiede un certo lasso di tempo per essere discussa' ecc., secondo la vostra risoluzione. Il fatto è che 'attuare' la Federazione in Georgia 'dal basso', nel 'sistema sovietico', in 'alcune settimane' è impossibile, perché in Georgia i Soviet incominciano appena ora a formarsi. Essi non sono ancora completamente organizzati. Un mese fa non esistevano affatto ed è inconcepibile poter convocare in Georgia il congresso dei Soviet in 'alcune settimane'; orbene una Federazione transcaucasica senza la Georgia sarebbe una federazione sulla carta. Ritengo che bisognerà fissare un termine di due o tre mesi perché l'idea della federazione trionfi fra le grandi masse della Georgia. Stalin'. Il compagno Lenin rispose: 'Accetto questo emendamento'. Due giorni dopo questa proposta viene approvata con i voti di Lenin, Trotzki, Kamenev, Molotov, Stalin. Zinoviev era assente e Molotov lo sostituiva. Questa decisione venne approvata dall'Ufficio politico alla fine del 1921, come vedete, all'unanimità. Da quel tempo è cominciata la lotta di un gruppo di comunisti georgiani capeggiati da Mdivani contro la direttiva del Comitato centrale circa la Federazione. Voi vedete, compagni, che la situazione non era come l'ha prospettata qui Mdivani. Ho esibito questo documento per ribattere le insinuazioni indegne fatte qui da Mdivani. Seconda questione: come si spiega propriamente il fatto che il Comitato centrale ha esonerato dalle loro cariche i membri del gruppo capeggiato da Mdivani, quale ne è stato il motivo? Vi sono due cause sostanziali e, al tempo stesso, di natura formale. Devo parlarne perché sono stati mossi dei rimproveri al Comitato centrale e in particolare a me. Il primo motivo è che il gruppo di Mdivani non ha influenza nel suo partito, nel Partito comunista georgiano, e che lo stesso Partico comunista georgiano ha sconfessato questo gruppo. Questo partito ha tenuto due congressi: il primo all'inizio del 1922 e il secondo all'inizio del 1923. In entrambi questi congressi il gruppo di Mdivani, con la sua idea contraria alla federazione, ha incontrato una decisa opposizione da parte del suo stesso partito. Sembra che al I Congresso, esso, su 122 voti, ne abbia raccolto circa 18; al II Congresso ha raccolto circa 20 voti su 144; il partito si ostina a non volerlo eleggere nel Comitato centrale, la sua posizione è sistematicamente sconfessata. Per la prima volta, ai primi del 1922, noi del Comitato centrale abbiamo incominciato a esercitare una pressione sul Partito comunista della Georgia e malgrado la sua opposizione lo abbiamo costretto ad accettare i vecchi compagni (indiscutibilmente Mdivani è un vecchio compagno e lo è anche Makharadze) pensando che i due gruppi, la maggioranza e la minoranza, si sarebbero accordati. Nell'intervallo fra il I e il II Congresso si sono tenute tuttavia parecchie conferenze di città e di tutta la Georgia, nelle quali il gruppo di Mdivani ha ricevuto ogni volta duri colpi dal suo partito, e infine all'ultimo congresso Mdivani ha raccolto a stento 18 voti su 140. La Federazione transcaucasica è un'organizzazione che riguarda non solo la Georgia, ma tutta la Transcaucasia. Normalmente dopo il congresso del partito georgiano si riunisce il congresso dei partiti di tutto il Caucaso. In questi ultimi si è creata la stessa situazione. Nell'ultimo congresso di tutto il Caucaso sembra che Mdivani abbia raccolto a mala pena circa 10 voti su 244. Questi sono i fatti. Che cosa deve fare il Comitato centrale del partito in questa situazione, se il partito georgiano, se la stessa organizzazione georgiana non riesce a digerire il gruppo Mdivani? Io concepisco la nostra politica, nella questione nazionale, come una politica di concessioni agli elementi e ai pregiudizi nazionali. Questa politica è indubbiamente giusta. Ma è possibile forzare indefinitamente la volontà del partito nel quale il gruppo di Mdivani deve lavorare? Secondo me è impossibile. Bisogna, al contrario, armonizzare nella misura del possibile le nostre azioni con la volontà del partito georgiano. Il Comitato centrale ha agito così, esonerando dalle loro cariche certi membri di questo gruppo. Il secondo motivo che ha indotto il Comitato centrale a esonerare dalle loro cariche alcuni compagni appartenenti a questo gruppo, è che costoro hanno violato incessantemente le decisioni del Comitato centrale del Partito comunista della Russia. Vi ho già esposto la storia della decisione relativa alla federazione; ho già detto che senza questo organismo la pace fra i gruppi nazionali è impossibile, che nella Transcaucasia solo il potere sovietico, costituendo la federazione, ha ottenuto che si stabilisse la pace fra i gruppi nazionali. Perciò il Comitato centrale ha ritenuto che questa decisione debba essere assolutamente impegnativa. E invece cosa vediamo? Il gruppo di Mdivani non si sottomette a questa decisione, ma anzi lotta contro di essa. Questo è stato appurato sia dalla Commissione del compagno Dzerginski che dalla Commissione di Kamenev e Kuibyscev. Persino dopo la decisione della sessione plenaria di marzo dedicata alla Georgia, Mdivani continua a lottare contro la federazione. Che cosa significa ciò se non farsi beffe delle decisioni del Comitato centrale? Queste sono le circostanze che hanno costretto il Comitato centrale del partito ha esonerare Midvani dalla sua carica".100
Vi è poi il secondo aspetto che è al centro della "Lettera al Congresso".


La struttura politica (partito e apparato)

"23-XII-1922. Consiglierei vivamente - si legge negli appunti di Lenin - di intraprendere a questo congresso una serie di mutamenti nella nostra struttura politica. Vorrei proporvi le considerazioni che ritengo più importanti. In primo luogo propongo di elevare il numero dei membri del CC portandolo ad alcune decine o anche a un centinaio. Penso che, se non intraprendessimo una tale riforma, grandi pericoli minaccerebbero il nostro CC nel caso in cui il corso degli avvenimenti non ci fosse del tutto favorevole (cosa di cui non possiamo non tener conto). Penso poi di sottoporre all'attenzione del congresso la proposta di dare, a certe condizioni, un carattere legislativo alle decisioni del Gosplan, andando così incontro, fino a un certo punto e a certe condizioni, al compagno Trotzki. Per quel che riguarda il primo punto, cioè l'aumento del numero dei membri del CC, penso che ciò sia necessario e per elevare l'autorità del CC, e per lavorare seriamente al miglioramento del nostro apparato, e per evitare che conflitti di piccoli gruppi del CC possano avere un'importanza troppo sproporzionata per le sorti di tutto il partito. Io penso che il nostro partito abbia il diritto di esigere dalla classe operaia 50-100 membri del CC e che possa ottenerli senza un eccessivo sforzo da parte di essa. Una tale riforma aumenterebbe notevolmente la solidità del nostro partito e faciliterebbe la lotta che esso deve condurre in mezzo a Stati nemici e che, a mio parere, potrà e dovrà acuirsi fortemente nei prossimi anni. Io penso che la stabilità del nostro partito guadagnerebbe enormemente da un tale provvedimento".
"24-XII-22. Per stabilità del Comitato centrale, di cui ho parlato sopra, intendo provvedimenti contro la scissione, nella misura in cui tali provvedimenti possano in generale essere presi... Il nostro partito si fonda su due classi, e sarebbe perciò possibile la sua instabilità, e inevitabile il suo crollo, se tra queste due classi non potesse sussistere un'intesa. In questo caso sarebbe inutile prendere questi o quei provvedimenti e in generale discutere sulla stabilità del nostro CC. Non ci sono provvedimenti, in questo caso, capaci di evitare la scissione. Ma spero che questo sia un avvenimento di un futuro troppo lontano e troppo inverosimile perché se ne debba parlare. Intendo stabilità come garanzia contro la scissione nel prossimo avvenire, e ho l'intenzione di esporre qui una serie di considerazioni di natura puramente personale. Io penso che, da questo punto di vista, fondamentali per la questione della stabilità siano certi membri del CC come Stalin e Trotzki. I rapporti tra loro, secondo me, rappresentano una buona metà del pericolo di quella scissione, che potrebbe essere evitata e ad evitare la quale, a mio parere, dovrebbe servire, tra l'altro, l'aumento del numero dei membri del CC a 50 o a 100 persone. Il compagno Stalin, divenuto segretario generale, ha concentrato nelle sue mani un immenso potere, e io non sono sicuro che egli sappia servirsene sempre con sufficiente prudenza. D'altro canto, il compagno Trotzki come ha già dimostrato la sua lotta contro il CC nella questione del commissariato del popolo per i trasporti, si distingue non solo per le sue eminenti capacità. Personalmente egli è forse il più capace tra i membri dell'attuale CC, ma ha anche una eccessiva sicurezza di sé e una tendenza eccessiva a considerare il lato puramente amministrativo dei problemi. Queste due qualità dei due capi più eminenti dell'attuale CC possono eventualmente portare alla scissione, e se il nostro partito non prenderà misure per impedirlo, la scissione può avvenire improvvisamente. Non continuerò a caratterizzare gli altri membri del CC secondo le loro qualità personali. Ricordo soltanto che l'episodio di cui sono stati protagonisti nell'ottobre Zinoviev e Kamenev non fu certamente casuale, ma che d'altra parte non glielo si può ascrivere personalmente a colpa, così come il non bolscevismo a Trotzki. Dei giovani membri del CC, voglio dire qualche parola su Bukharin e Piatakov. Sono queste, secondo me, le forze più eminenti (tra quelle più giovani), e riguardo a loro bisogna tener presente quanto segue: Bukharin non è soltanto un validissimo e importantissimo teorico del partito, ma è considerato anche, giustamente, il prediletto di tutto il partito, ma le sue concezioni teoriche solo con grandissima perplessità possono essere considerate pienamente marxiste, poiché in lui vi è qualcosa di scolastico (egli non ha mai appreso e, penso, mai compreso pienamente la dialettica)".
"25-XII-22. Ed ora Piatakov: è un uomo indubbiamente di grandissima volontà e di grandissime capacità, ma troppo attratto dal metodo amministrativo e dall'aspetto amministrativo dei problemi perché si possa contare su di lui per una seria questione politica. Naturalmente, sia questa che quella osservazione sono fatte solo per il momento, nel presupposto che ambedue questi eminenti e devoti militanti trovino l'occasione di completare le proprie conoscenze e di eliminare la propria unilateralità".
"4-I-23. (Aggiunta alla lettera del 24 dicembre 1922) Stalin è troppo grossolano, e questo difetto, del tutto tollerabile nell'ambiente e nei rapporti tra noi comunisti, diventa intollerabile nella funzione di segretario generale. Perciò propongo ai compagni di pensare alla maniera di togliere Stalin da questo incarico e di designare a questo posto un altro uomo che, a parte tutti gli altri aspetti, si distingua dal compagno Stalin solo per una migliore qualità, quella cioè di essere più tollerante, più leale, più cortese e più riguardoso verso i compagni, meno capriccioso, ecc. Questa circostanza può apparire una piccolezza insignificante. Ma io penso che, dal punto di vista dell'impedimento di una scissione e di quanto ho scritto sopra sui rapporti tra Stalin e Trotzki, non è una piccolezza, ovvero è una piccolezza che può avere un'importanza decisiva".
"26-XII-22. L'aumento del numero dei membri del CC a 50 o anche a 100 persone deve servire, secondo me, a un duplice, o, anzi, a un triplice scopo: quanto più saranno i membri del CC, tanto più saranno quelli che impareranno a lavorare nel CC e tanto minore sarà il pericolo di una scissione derivante da una qualsiasi imprudenza. La partecipazione di molti operai al CC aiuterà gli operai a migliorare il nostro apparato, che è piuttosto cattivo. Esso, in sostanza, c'è stato tramandato dal vecchio regime, poiché trasformarlo in così breve tempo, soprattutto con la guerra, la fame, ecc., era assolutamente impossibile. Perciò a quei 'critici' che, con un sorrisetto o con cattiveria, ci fanno notare i difetti del nostro apparato, si può tranquillamente rispondere che essi assolutamente non comprendono le condizioni della rivoluzione contemporanea. Non si può assolutamente trasformare a sufficienza un apparato in cinque anni, soprattutto nelle condizioni in cui è avvenuta da noi la rivoluzione. È già abbastanza che in cinque anni abbiamo creato un nuovo tipo di Stato in cui gli operai marciano alla testa dei contadini contro la borghesia; e ciò, con una situazione internazionale avversa, rappresenta di per sé un fatto enorme. Ma la coscienza di questo non ci deve assolutamente far chiudere gli occhi sul fatto che noi abbiamo ereditato, in sostanza, il vecchio apparato dello zar e della borghesia, e che ora, sopravvenuta la pace e assicurato il minimo necessario contro la fame, tutto il lavoro dev'essere diretto al suo miglioramento"
101.
Bene! I trotzkisti, i traditori e i nemici del comunismo indicano questo scritto come la "demolizione politica" operata da Lenin nei confronti di Stalin. Niente è più falso! C'è in queste righe una sottolineatura di un aspetto negativo del carattere di Stalin; ma non c'è in realtà in esso, nessun appunto di natura politica rivolto a Stalin, cosa ben presente, invece, nei confronti degli altri dirigenti citati.
Ciò che invece va assolutamente sottolineato è che il partito, già nel suo XII Congresso, affrontò - con la lealtà e il rispetto dovuti al suo grande dirigente, Lenin, e al proletariato sovietico - e con grande impegno, i problemi politici posti da Lenin, iniziando a dare pratica attuazione alla loro soluzione; decidendo, in particolare, l'aumento dei membri del CC e promuovendo le iniziative e i comportamenti necessari al miglioramento dell'apparato, della sua organizzazione e del suo lavoro pratico.
La "Lettera al Congresso" venne discussa anche dopo la morte di Lenin in alcune sessioni del CC che precedettero e seguirono il XIII Congresso del partito e nel Congresso stesso, svoltosi dal 23 al 31 maggio 1924. In due diverse sessioni del CC Stalin si sentì in dovere di presentare le sue dimissioni da Segretario generale. In entrambi i casi egli fu riconfermato, all'unanimità, nel suo incarico.
Lenin conosceva bene il suo partito, la sua vita, il dibattito che lo animava, lo scontro che inevitabilmente in esso si ripercuoteva frutto della realtà sociale del paese, dello scontro di classe, dell'accesa lotta tra socialismo e capitalismo che la Nep aveva portato in primo piano. Se egli volle espressamente che i suoi appunti, la "Lettera al Congresso", non fosse pubblicata, fu, evidentemente, anche per cercare di evitare qualsiasi "strumentalizzazione" di essa.
Ma, dopo la morte di Lenin, quando l'opposizione inasprì e cercò di alzare il livello dello scontro che la opponeva al partito e alla sua linea leninista, gli appunti di Lenin furono a più riprese utilizzati strumentalmente dai trotzkisti, col preciso scopo di denigrare Stalin - e attraverso ciò attaccare il leninismo - nel vano tentativo di incrinarne la figura e l'opera rivoluzionaria.
Fu il giornalista americano Max Eastman a pubblicare la "Lettera al Congresso" presentandola come il "Testamento" di Lenin. Prima in un articolo sul "New York Herald", poi in un libro intitolato "Dopo la morte di Lenin". Era il 1925. Max Eastman era un convinto e fervente trotzkista, già iscritto al partito comunista americano, dal quale venne espulso.
Ancora nella sessione plenaria comune del CC e della CCC del PC(b) dell'URSS, svoltasi dal 21 al 23 ottobre 1927, con un'insolenza ed una falsità indegne, l'opposizione attaccò Stalin e il CC, lanciando, fra l'altro, l'accusa di aver tenuto nascosto il "testamento" di Lenin. Nel suo intervento alla sessione plenaria, Stalin rispose così a queste ignobili accuse: "Veniamo al 'testamento' di Lenin. Qui gli oppositori hanno gridato - li avete sentiti - che il Comitato centrale del partito ha 'nascosto' il 'testamento' di Lenin. La questione è stata discussa più volte nella sessione plenaria del Comitato centrale e della Commissione centrale di controllo, come voi ben sapete. È stato dimostrato e ridimostrato che nessuno nasconde nulla, che il 'testamento' di Lenin era indirizzato al XIII Congresso del partito, che questo documento è stato reso pubblico al congresso, che il congresso ha deciso all'unanimità di non pubblicarlo, tra l'altro perché lo stesso Lenin non voleva e non chiedeva che fosse pubblicato. Tutto ciò l'opposizione lo sa non meno di tutti noi. Ciò nonostante l'opposizione ha l'ardire di dichiarare che il CC 'nasconde' il 'testamento'. La questione del 'testamento' di Lenin risale - se non mi sbaglio - al 1924. Esiste un certo Eastman, un ex comunista americano, che in seguito è stato espulso dal partito. Questo signore dopo aver bazzicato a Mosca nell'ambiente dei trotzkisti e aver raccolto alcune voci e pettegolezzi circa il 'testamento' di Lenin, se n'è andato all'estero dove ha pubblicato un libro intitolato Dopo la morte di Lenin, in cui non si fa risparmio di colore per denigrare il partito, il Comitato centrale e il potere sovietico, e tutto è costruito sulla supposizione che il CC del nostro partito 'nasconda' il 'testamento' di Lenin. Poiché questo Eastman una volta aveva avuto rapporti con Trotzki, noi, membri dell'Ufficio politico, abbiamo proposto a Trotzki di scindere le sue responsabilità da Eastman il quale, aggrappandosi a Trotzki e citando l'opposizione, rendeva Trotzki responsabile delle calunnie lanciate contro il nostro partito circa il 'testamento'. Data l'evidenza della cosa, Trotzki effettivamente scisse le sue responsabilità da Eastman in una dichiarazione sulla stampa, pubblicata nel settembre del 1925 sul n. 16 del Bolscevik. Permettetemi di leggere il passo dell'articolo in cui Trotzki tratta la questione relativa al fatto se il partito e il suo CC nascondono o meno il 'testamento' di Lenin. Cito l'articolo di Trotzki: 'In alcuni passi del libercolo di Eastman si dice che il CC ha 'nascosto' al partito una serie di importantissimi documenti scritti da Lenin nell'ultimo periodo della sua vita (si tratta di lettere sulla questione nazionale, del cosiddetto 'testamento', ecc.); questa affermazione non si può chiamare altro che calunnia contro il CC del nostro partito. Dalle parole di Eastman si può dedurre che Vladimir Ilic avesse destinato alla stampa queste lettere, che avevano il carattere di consigli organizzativi interni. In realtà ciò è assolutamente falso. Vladimir Ilic fin da quando cadde ammalato inviò più volte proposte, lettere ecc. alle istanze del partito e al suo congresso. Va da sé che tutte queste lettere e proposte arrivarono sempre a destinazione, furono portate a conoscenza dei delegati al XII e al XIII Congresso del partito, e sempre, s'intende, esercitarono la dovuta influenza sulle decisioni del partito; se tutte queste lettere non sono state pubblicate, è perché il loro autore non le aveva destinate alla stampa. Vladimir Ilic non ha lasciato nessun 'testamento', e lo stesso carattere dei suoi rapporti col partito, come il carattere del partito stesso, escludevano la possibilità di un tale 'testamento'. La stampa dell'emigrazione, la stampa estera borghese e quella menscevica di solito ricordano come 'testamento' una lettera di Vladimir Ilic (tanto alterata da essere irriconoscibile) contenente consigli di carattere organizzativo. Il XIII Congresso ha esaminato con grande attenzione anche questa lettera, come tutte le altre, e ne ha tratto le conclusioni conformi alle condizioni e alle circostanze del momento. Qualsiasi chiacchiera sull'occultamento o sulla violazione del 'testamento' è una maligna invenzione ed è interamente diretta contro l'effettiva volontà di Vladimir Ilic e gli interessi del partito da lui creato' (vedi l'articolo di Trotzki: A proposito del libro di Eastman 'Dopo la morte di Lenin', Bolscevik, n.16, 1° settembre 1925, pag. 68).
Chiaro, mi sembra. Questo lo scrive Trotzki, e non qualcun altro. Su che base ora Trotzki, Zinoviev e Kamenev blaterano che il partito e il suo CC 'nascondono' il 'testamento' di Lenin? Blaterare 'si può', ma occorre avere il senso della misura. Si dice che in questo 'testamento' il compagno Lenin proponesse al congresso che, data la 'rudezza' di Stalin, si dovesse pensare a sostituirlo con un altro compagno nella carica di segretario generale. È assolutamente vero; sì, io sono rude, compagni nei riguardi di coloro che in modo rude e perfido distruggono e scindono il partito. Questo non l'ho nascosto, né lo nascondo. Forse ci vorrebbe una certa dolcezza nei riguardi degli scissionisti, ma non da me la otterrete. Alla prima seduta dell'assemblea plenaria del CC dopo il XIII Congresso ho chiesto all'assemblea plenaria del CC di esimermi dalla carica di segretario generale. Il congresso stesso ha discusso la questione. Ogni delegazione l'ha discussa, e tutte le delegazioni, all'unanimità, compresi Trotzki, Kamenev e Zinoviev, hanno imposto al compagno Stalin di restare al suo posto. Che cosa potevo dunque fare? Fuggire dal mio posto? Non è nel mio carattere; non sono mai fuggito da nessun posto e non ho il diritto di farlo, poiché questa sarebbe una diserzione. Come ho già detto prima, non sono libero di disporre di me; quando il partito impone una cosa devo sottomettermi. Un anno dopo ho di nuovo chiesto all'assemblea plenaria di essere esonerato dalla carica, ma di nuovo mi è stato imposto di restare. Che cosa dunque potevo fare? Quanto alla pubblicazione del 'testamento', il congresso ha deciso di non pubblicarlo, perché era indirizzato al congresso e non era destinato alla stampa... L'opposizione punta tutte le sue carte sul 'testamento' di Lenin. Ma basta solo leggerlo questo 'testamento' per comprendere che le loro carte valgono nulla. Al contrario, il 'testamento' di Lenin è fatale per gli attuali capi dell'opposizione. È un fatto, invero, che Lenin nel suo 'testamento' accusa Trotzki di 'non bolscevismo', e degli errori di Kamenev e Zinoviev al tempo dell'Ottobre dice che non si tratta di errori 'casuali'. Che cosa significa ciò? Significa che politicamente non si può aver fiducia né in Trotzki, che è malato di 'non bolscevismo', né in Kamenev e Zinoviev, i cui errori non sono 'casuali' e possono ripetersi e si ripeteranno. È caratteristico il fatto che nel 'testamento' non vi sia né una parola, né un accenno agli errori di Stalin. Si parla solo della rudezza di Stalin. Ma la rudezza non è né può essere un difetto della linea o della posizione politica di Stalin"
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