Sacconi ha inviato a Confindustria e sindacati la bozza del decreto legislativo
Lo Statuto dei lavori cancella lo Statuto dei lavoratori, art.18 compreso
La deregolamentazione e la bilateralità i principi guida. Meno diritti e con deroga

La crisi del governo Berlusconi si aggrava e le elezioni anticipate appaiono ormai inevitabili. La CGIL sta organizzando una grande manifestazione di protesta per il 27 novembre a Roma. Il ministro del Welfare, Maurizio Sacconi, facendo finta di niente, ha buttato sul tavolo il tassello più grande e più grave del disegno di distruzione dei diritti sindacali e contrattuali delle lavoratrici e dei lavoratori portato avanti dal governo in combutta con la Confindustria e i sindacati complici, CISL, UIL, UGL, FISMIC. Un disegno già ampiamente realizzato a partire dalla legge 30 che ha precarizzato tutti i contratti di lavoro, e a seguire la controriforma del modello contrattuale, la "riforma" Brunetta per il pubblico impiego, l'accordo separato alla Fiat di Pomigliano, l'accordo separato per le deroghe nei contratti nazionali, la controriforma del diritto e del processo del lavoro fondata sull'arbitrato e la bilateralità, la riduzione di un anno dell'obbligo scolastico per l'introduzione, anzitempo, dei giovani nelle aziende con contratti di apprendistato.
Di cosa si tratta? Della cancellazione della legge 300, più conosciuta come Statuto dei lavoratori, istituita il 20 maggio 1970 a seguito di grandi lotte degli operai e dei lavoratori, da sostituire con un cosiddetto Statuto dei lavori che "snellisce" e "semplifica" le norme vigenti, ossia le riduce della metà, le restanti saranno differenziate e variabili da tanti condizionamenti, attraverso le deroghe e che si fonda su una feroce deregulation neoliberista e sul neocorporativismo neofascista. A questo proposito, il ministro Sacconi il 12 novembre scorso ha inviato a governo, associazioni padronali e sindacati la bozza della legge delega "per la predisposizione di uno Statuto dei lavori" composto da due soli articoli, accompagnata da una relazione illustrativa e da una lettera con la quale chiede alle "parti sociali" un avviso comune contenente osservazioni e proposte, da sottoscrivere entro e non oltre i prossimi 12 mesi.

Un vecchio obiettivo dei padroni
Sono anni che i governi del neoduce Berlusconi, con un ruolo di punta sempre dell'ex craxiano e poi berlusconiano Sacconi, per venire incontro alle esose pretese della Confindustria tenta di smantellare direttamente lo Statuto dei lavoratori. Il caso più eclatante fu quello del 2002 quando il governo provò a cancellare l'art.18 che contiene le tutele contro i licenziamenti illegittimi, ossia senza "giusta causa"; offensiva respinta dalla straordinaria mobilitazione delle masse lavoratrici e popolari, promossa dalla CGIL, mentre CISL e UIL anche in quella circostanza si schierarono con governo e Confindustria. Hanno fatto seguito altri tentativi, come nel caso della legge sull'arbitrato anch'essa volta a favorire, tra le altre cose, i licenziamenti facili, poi approvata con piccole "modifiche" per evidenti profili anticostituzionali presenti nel primo testo. E siamo all'oggi, al tentativo di cambiare radicalmente l'intero Statuto dei lavoratori e non di modificarne qualche parte. Un'idea questa già presente nel "Libro bianco" del giuslavorista Marco Biagi (consulente al soldo di Confindustria e governo), passato alla storia per aver ispirato la legge 30 sul "mercato del lavoro", ripresa e fatta sua e riproposta da Sacconi.
Sacconi, con affermazioni infondate e strumentali, tenta di dimostrare che lo Statuto dei lavoratori è un ferrovecchio superato dai tempi e, quindi da buttare. "L'attuale centralismo regolatore di matrice pubblicista e statualista - afferma infatti - riflette assetti di produzione propri della vecchia economia". "I mutamenti del mondo implicano l'insorgere di esigenze che spiazzano un sistema ingessato". Si riferisce a "uno Statuto rigido, ancorato ai modelli e alle logiche di un passato che - a suo dire - non c'è più". Perciò, conclude su questo punto, "il superamento delle molte criticità del lavoro... non può essere affidato a una concezione formalistica e statualista dei rapporti di lavoro che alimenta un imponente contenzioso e un sistema antagonista e conflittuale di relazioni industriali".
Lo scopo dello Statuto dei lavori, indicato subito nell'art.1: è "incoraggiare una maggiore propensione ad assumere un migliore adattamento tra esigenze del lavoro e dell'impresa". "È questa l'unica strada praticabile - ribadisce con ossessione Sacconi - per superare una concezione sterilmente conflittuale e antagonista dei rapporti di lavoro". Accanto ai diritti dei lavoratori il ministro mette anche quelli dell'impresa che di fatto diventano primari e prioritari. Il cambiamento, in negativo, è radicale. La legge 300 che non per caso prese il nome di "Statuto dei lavoratori", aveva lo scopo di garantire nei luoghi di lavoro un pacchetto di diritti e di libertà sindacali fondamentali ai lavoratori, universali ed esigibili con la forza della legge, in quanto parte più debole nel rapporto con i datori di lavoro.
"Razionalizzare" e "semplificare" sono le paroline magiche usate nella bozza di delega intanto "per ridurre almeno del 50 per cento la normativa vigente anche mediante abrogazione delle normative risalenti nel tempo". Questo significa sfoltire di brutto le normative che tutelano i diritti dei lavoratori. Significa un cambiamento radicale, in negativo, nel modo di intendere e far valere i diritti dei lavoratori. Come? La delega prevede, bontà sua, ma non poteva essere altrimenti, un nucleo di diritti universali e indisponibili da identificare, di rilevanza costituzionale e coerenti con la carta dei diritti fondamentali della Unione Europea". Ovvero, il diritto di associazione sindacale, di sciopero, sicurezza sul lavoro, ecc. Anche se va detto che sono intoccabili solo sulla carta giacché già oggi essi vengono disciplinati da leggi che finiscono per limitarne il beneficio.

Il cuore della controriforma
Tutto il resto delle tutele, e qui sta il cuore della controriforma proposta da Sacconi, verrebbe affidata alla contrattazione collettiva "anche in deroga alle norme di legge, valorizzando il ruolo e le funzioni degli organismi bilaterali". Quindi non più diritti chiari, certi, universali, ma diritti differenziati e da contrattare (o modulare, come preferisce dire il ministro) per giunta subordinati, è specificato nella bozza di delega. all'andamento economico dell'impresa, del territorio o del settore di riferimento con particolare riguardo alla crisi aziendali e occupazionali, all'avvio di nuove attività, alla realizzazione di investimenti e ai più generali obiettivi di incremento di competitività. Cioè sempre. E alle caratteristiche e tipologia "del datore di lavoro anche in riferimento ai parametri dimensionali dell'impresa non legati al solo numero dei dipendenti". Fino ad ora le imprese con più di 15 dipendenti avevano diritto alla copertura dello Statuto dei lavoratori. Questo tetto, pare di capire, non sarà più sufficiente per beneficiare quei pochi diritti che saranno stabiliti nel futuro Statuto dei lavori. Insomma, totale deregulation.
Anche se non è detto esplicitamente nella bozza di delega, l'art.18 è una delle principali vittime della controriforma in gestazione. Su domanda Sacconi furbescamente ha risposto: "Non lo so, non decido io, dipende e dalle parti" che, nella definizione dell'"avviso comune", potrebbero intervenire su di esso, visto che "non è - ha specificato - tra i diritti fondamentali" non derogabili.
Non c'è bisogno di essere degli scienziati della politica per comprendere come la proposta del ministro sia impregnata di liberismo estremo. Ma insieme c'è, di fatto, un richiamo all'ideologia corporativa che in Italia ha radici nella dottrina sociale della Chiesa e un'applicazione sistematica nel ventennio mussoliniano. Ideologia che predica la consonanza degli interessi tra impresa e lavoratori e la conseguente opportunità di una gestione di essi "coordinata e armonica" per il "bene degli interessi supremi della nazione". Essa si concreta, nella proposta di Sacconi, nella possibilità data, di fatto, alle "parti sociali", imprenditori e sindacati, di "legiferare" sulle materie del lavoro e circa gli "ammortizzatori sociali", attraverso la contrattazione collettiva e la bilateralità, attraverso il potere di derogare rispetto alle leggi dello Stato. In pratica un ritorno alla "camera delle corporazioni".

Appoggi e dissensi
Le reazioni delle cosiddette "parti sociali" sono più o meno le stesse di quelle cui siamo stati abituati ad ascoltare negli ultimi due anni: da un lato Confindustria e CISL e UIL schiacciati sulle posizioni governative, dall'altro la CGIL in dissenso. Il primo ad esultare dovrebbe essere il nuovo Valletta, Sergio Marchionne, che punta ad azzerare le conquiste dei lavoratori e imporre un regime da caserma negli stabilimenti Fiat.
"Non è tempo di valutazioni dietrologiche - ha detto Bonanni - sulle intenzioni del ministro del lavoro, bensì, per quanto riguarda la CISL, è tempo di sottolineare l'importanza della concertazione autonoma, responsabile, esaustiva tra le parti sociali ai fini di una positiva realizzazione dell'avviso Comune su questi temi". "Lo Statuto dei lavori è una rivendicazione della nostra Organizzazione - ha detto addirittura Luigi Angeletti - per dare risposte efficaci alla rapida evoluzione del mercato del lavoro". Il segretario della UIL apprezza inoltre il metodo del coinvolgimento delle "parti sociali" nella forma "dell'avviso comune".
Per la Fiom la proposta è grave e inaccettabile e la nuova normativa un modo per ridurre diritti e tutele dei lavoratori, così come fatto con il disegno di legge sul lavoro appena approvato. Piuttosto, continua la Fiom, sarebbe necessario estendere quello esistente alle imprese con meno di 15 dipendenti. Il neosegretario della CGIL, Susanna Camusso, la quale giudica ingiusto che si voglia far pagare ai lavoratori i costi della crisi con la cancellazione dello Statuto e soprattutto con la cancellazione dell'art.18, quello che disciplina il licenziamento per "giusta causa e giustificato motivo". Nello Statuto - ha proseguito la Camusso - ci sono diritti di libertà del lavoro e sindacali e azzerarlo sarebbe ingiusto. "Questo governo, che mostra livelli di autoritarismo che mai avevamo raggiunto prima, dimostra così di avere un'idea di società insopportabile".
La controriforma di Sacconi dello Statuto dei lavoratori arricchisce di molto le ragioni per cui è giusto andare in piazza in massa operai, lavoratori, precari, disoccupati, pensionati, studenti, democratici e antifascisti in occasione della manifestazione nazionale della CGIL il 27 novembre a Roma, e per indire in tempi rapidi lo sciopero generale di 8 ore di tutte le categorie con manifestazione sotto Palazzo Chigi.

24 novembre 2010