Un'esperienza fondamentale del movimento operaio internazionale
Sulla storia del socialismo in URSS
il grande capolavoro di Lenin e Stalin distrutto dai revisionisti
La lotta per il socialismo in Italia vive nel PMLI L'unica alternativa al capitalismo e all'imperialismo è rappresentata dal socialismo.
L'odierna situazione, così come la storia trascorsa dall'avvento della rivoluzione borghese ad oggi, dimostra che questa è una verità incontrovertibile. E, per conquistare e costruire il socialismo non c'è altra strada che quella del marxismo-leninismo-pensiero di Mao, quella teorizzata, praticata e sviluppata dai cinque grandi maestri del proletariato internazionale: Marx, Engels, Lenin, Stalin e Mao. Al di fuori di essa, per la classe operaia e per i popoli oppressi non c'è che la sconfitta e la subalternità al capitalismo e all'imperialismo.
Nella lotta tra proletariato e borghesia, tra capitalismo e socialismo, tanto la classe operaia e le masse oppresse dei singoli paesi, quanto le avanguardie rivoluzionarie da esse espresse hanno sempre dovuto lottare sia contro il nemico palese rappresentato dall'ideologia e dai partiti borghesi, sia contro un nemico più subdolo e nascosto che proviene dall'interno delle loro stesse file, ma che non ne condivide né interessi, né ideali: il revisionismo.
Il revisionismo è stato la causa dell'indebolimento della lotta di classe in molti paesi, la causa del tradimento del socialismo in altri paesi, lo strumento attraverso cui la borghesia ha riconquistato il potere in paesi capisaldi della costruzione del socialismo, quali l'Urss di Lenin e Stalin e la Cina di Mao.
Il revisionismo, dunque, non costituisce nulla di buono per la classe operaia e le masse popolari. Negli Stati borghesi è un freno alla lotta di classe, una palla al piede per il proletariato. Negli Stati socialisti è il "cavallo di Troia'' della borghesia, il suo avamposto nella lotta per la restaurazione capitalistica. Oggi più che mai, dunque, nessun partito e nessuna organizzazione autenticamente marxisti-leninisti possono prescindere dalla lotta a fondo contro il revisionismo. In Italia il PMLI è l'unico Partito che, da sempre, ha indicato con chiarezza alla classe operaia la necessità di questa lotta. La nascita stessa del PMLI è, del resto, il frutto concreto della lotta tra il marxismo-leninismo-pensiero di Mao ed il revisionismo moderno; è il frutto, nel nostro Paese, dell'esperienza storica del movimento operaio internazionale e della costruzione del socialismo.
Il compagno Giovanni Scuderi nel Rapporto dell'Ufficio politico al IV Congresso nazionale del PMLI, ha affermato: "Quando nell'89 crollò il muro di Berlino, gli imperialisti, i borghesi e i fascisti gridarono ai quattro venti che era `caduto il comunismo'. In realtà esso segnava la fine dei regimi revisionisti. Ciò costituisce un bene e non un male perché è stata tolta di mezzo un'ambiguità politica e statale che arrecava confusione, che non aiutava a distinguere il socialismo dal capitalismo e che deturpava l'immagine del socialismo''(1). è questo un aspetto molto importante, che può e deve rappresentare un impulso favorevole alla ripresa della lotta di classe e della lotta per il socialismo.
Il revisionismo moderno nasce con il colpo di Stato controrivoluzionario, attuato dal rinnegato Krusciov al XX Congresso del Pcus, svoltosi nel febbraio 1956. Da lì, ha origine il processo di restaurazione capitalistica in Urss, la nascita del socialimperialismo e la dissoluzione dell'unità politica e ideologica dei partiti comunisti storici e del movimento comunista internazionale. Il nefando attacco alla figura e all'opera di Stalin, fu la condizione necessaria alla banda revisionista di Krusciov per attuare il piano di usurpazione del potere. Da allora l'Urss non è stata più quella costruita da Lenin e Stalin: fu rovesciata la dittatura del proletariato e la borghesia sovietica instaurò la propria dittatura fascista, iniziando a smantellare pezzo per pezzo il socialismo.

LA COSTRUZIONE DEL SOCIALISMO IN URSS E IL RUOLO DI STALIN 
Il 5 marzo 1953 moriva a Mosca Josif V. Stalin. Due giorni prima della scomparsa un comunicato ufficiale aveva informato l'Urss e il mondo sulle gravi condizioni di salute del Segretario generale del Pcus e del Presidente del Consiglio dei ministri sovietico, colpito il 1° marzo da una apoplessia che non lasciava speranze. Per gli operai, i contadini colcosiani, le masse popolari dell'Unione sovietica quelli furono giorni di sentito e profondo dolore, così come lo furono per gli sfruttati e gli oppressi del mondo intero. Le manifestazioni di sincero cordoglio riunirono milioni di proletari nell'affetto e nella stima per Stalin. Per tre giorni una fila sterminata di persone si recò, incurante del freddo intenso dell'inverno russo, a rendere omaggio alla salma del grande dirigente e maestro del proletariato internazionale, esposta nella Sala delle colonne del Palazzo dei Sindacati. Questo ultimo e partecipato saluto, fu l'espressione spontanea e sincera della fiducia e dell'autorevolezza di cui Stalin godeva. Sentimenti questi, che egli aveva saputo conquistarsi e infondere nel proletariato mondiale attraverso il corso di una vita interamente dedicata al suo popolo, alla costruzione e al consolidamento del socialismo in Urss, all'affermazione del marxismo-leninismo e del socialismo in tutto il mondo.
La sua vita è stata un esempio concreto e incancellabile di dedizione alla causa della classe operaia e della rivoluzione. Una vita in cui egli ha sempre anteposto l'interesse del popolo a quello personale, spesso sacrificando se stesso e i suoi affetti familiari più cari, vivendo in maniera semplice e lavorando prima, durante e dopo la Rivoluzione d'Ottobre senza mai risparmiarsi. Come non ricordare ad esempio, le sofferenze patite nei periodi di prigionia in Siberia che lo minarono nel fisico, ma non certo nei suoi propositi e nei suoi ideali; la sua fermezza nel rimanere al Cremlino, mentre il governo si trasferiva in un luogo più sicuro allorché le armate degli invasori nazisti giungevano alle porte di Mosca; o ancora la tragedia che lo accomunò a migliaia di genitori di soldati sovietici per la morte del figlio Jakov, catturato e poi ucciso dai tedeschi e per il quale egli rifiutò ogni trattativa col nemico nazista per
la sua liberazione. Questa sua vita, questo esempio forte e luminoso che egli ha rappresentato, niente e nessuno potrà mai riuscire a scalfire. Stalin è stato senza alcun dubbio un grande marxista-leninista e un grande maestro del proletariato internazionale, un combattente proletario rivoluzionario che ha profuso tutte le sue
intense energie e le sue capacità nella lotta per l'affermazione del socialismo e la sua concreta realizzazione.
I fatti della storia, l'azione degli uomini in essa, le forze e gli interessi che vi sono coinvolti, gli sviluppi e i nuovi scenari che essa propone vanno analizzati, capiti e giudicati in modo corretto per poter essere d'insegnamento e spingere verso un nuovo e superiore progresso. E il solo modo corretto di analisi è quello dialettico, l'unico che permette di non impantanarsi e cadere nell'astrazione, nell'apriorismo e nell'idealismo.
Per i marxisti-leninisti l'opera di Stalin è stata un'opera titanica che travalica i confini dell'Urss, per espandersi in Europa e nel resto del mondo. Un'opera realizzata in prima persona dalla classe operaia e dal proletariato e che ha permesso nel corso di numerose e diverse battaglie che a vincere fossero sempre il popolo, il socialismo ed il progresso.
Questa sua opera ha tra i suoi capisaldi:
- la costruzione del socialismo in Urss, primo Stato al mondo a vedere concretamente realizzato il progetto per cui avevano lottato Marx, Engels e Lenin;
- l'unità e lo sviluppo dei Partiti comunisti di diversi continenti nella III Internazionale;
- la vittoria sul nazifascismo e l'annientamento degli eserciti invasori di Hitler e Mussolini;
- la nascita di nuovi Stati socialisti in Europa e in Asia.
Tutto ciò è stato realizzato in nemmeno trent'anni, uno spazio temporale assai breve e soprattutto in una situazione che non ha precedenti nella storia. Stalin ha infatti operato in condizioni assai complesse e difficili. Tali erano infatti le condizioni della Russia sovietica all'indomani della vittoria della Rivoluzione d'Ottobre. Un paese schiacciato dal peso della secolare autocrazia zarista, devastato dalla I guerra mondiale, aggredito congiuntamente dai più potenti eserciti imperialisti. Un paese appena uscito da una sanguinosa guerra civile scatenata dai nemici interni ed esterni del potere sovietico e che rimaneva solo, senza appoggi di altri Stati ed anzi assediato dal blocco politico-economico imperialista.
La Russia sovietica era il primo paese in cui aveva trionfato la rivoluzione socialista. Il suo cammino iniziava senza che vi fosse un'esperienza a cui poter fare riferimento ed in condizioni socioeconomiche veramente tremende. Un'economia prevalentemente agricola praticamente al collasso; un settore industriale marginale e per di più quasi completamente distrutto; la mancanza pressoché totale di elettricità, di una rete di trasporti e di attrezzature tecniche di sfruttamento delle materie prime.
Partire da queste condizioni e in un trentennio costruire, contando esclusivamente sulle proprie forze, uno Stato basato su un'economia e su rapporti sociali completamente nuovi e che è stato in grado di resistere e sbaragliare l'aggressione nazifascista basata su una possente forza militare, dà il segno concreto di quanto grande sia stata l'opera compiuta da Stalin, ma soprattutto di come questa grande opera si sia potuta realizzare.
Essa è stata il frutto concreto del duro lavoro basato sulla volontà, lo spirito di sacrificio, la piena consapevolezza degli obiettivi da raggiungere e dell'unità delle classi e dei ceti sociali andati al potere con la Rivoluzione d'Ottobre. Il frutto del lavoro del proletariato sovietico e della salda alleanza tra la classe operaia, i contadini poveri e medi che hanno dato vita al movimento colcosiano, la gioventù sovietica, i nuovi tecnici e ricercatori forgiati dal potere sovietico. L'avanguardia del proletariato sovietico, il Partito comunista di Lenin e di Stalin, fermamente ancorato al marxismo-leninismo, è stata la guida riconosciuta dal popolo sovietico in questa impresa straordinaria: la costruzione del primo Stato socialista nel mondo.
Vediamo i momenti più significativi, i punti cardine e gli obiettivi raggiunti in questa titanica impresa.

LA NASCITA DELL'URSS 
Un primo importante aspetto politico da prendere in considerazione è quello relativo ai popoli e alle nazionalità dell'ex impero zarista, alla loro lotta per liberarsi dal giogo oppressivo della "grande madre'' Russia, base secolare del dominio autocratico degli zar; e alla politica bolscevica tesa da un lato alla affermazione della dignità e libertà dei popoli e alla salvaguardia dei loro diritti nazionali e, dall'altro, a favorire l'affrancamento sociale e politico delle classi oppresse di queste nazioni.
Nell'ottobre del 1915 nel suo scritto "Il proletariato rivoluzionario e il diritto di Autodecisione delle Nazioni'' Lenin affermava: "L'imperialismo è l'oppressione sempre maggiore dei popoli del mondo da parte di un pugno di grandi potenze, è un periodo di guerre tra queste potenze per l'estensione e il consolidamento dell'oppressione delle nazioni, è un periodo di inganno delle masse popolari da parte dei socialpatrioti ipocriti, di coloro i quali - col pretesto della `libertà dei popoli', del `diritto delle nazioni all'autodecisione' e della `difesa della patria' - giustificano e difendono l'oppressione della maggioranza dei popoli del mondo da parte delle grandi potenze. Perciò, nel programma dei socialdemocratici, il punto centrale deve essere precisamente quella divisione delle nazioni in dominanti e oppresse, che rappresenta l'essenza dell'imperialismo e alla quale sfuggono mentendo i socialsciovinisti e Kautzki. Questa divisione non è sostanziale dal punto di vista del pacifismo borghese o dell'utopia piccolo-borghese della concorrenza pacifica tra nazioni indipendenti in regime capitalista, ma essa è indiscutibilmente sostanziale dal punto di vista della lotta rivoluzionaria contro l'imperialismo. E da questa divisione deve scaturire la nostra definizione - coerentemente democratica, rivoluzionaria e corrispondente al compito generale della lotta immediata per il socialismo - del `diritto delle nazioni all'autodecisione'. In nome di questo diritto, lottando per il suo riconoscimento non ipocrita, i socialdemocratici delle nazioni dominanti debbono rivendicare la libertà di separazione per le nazioni oppresse, perché altrimenti il riconoscimento dell'uguaglianza di diritti delle nazioni e della solidarietà internazionale degli operai sarebbe in pratica soltanto una parola vuota, soltanto un'ipocrisia. E i socialdemocratici delle nazioni oppresse debbono considerare come fatto di primaria importanza l'unità e la fusione degli operai dei popoli oppressi con gli operai delle nazioni dominanti, poiché altrimenti questi socialdemocratici diverranno involontariamente degli alleati dell'una o dell'altra borghesia nazionale, che tradisce sempre gli interessi del popolo e della democrazia che è sempre pronta, a sua volta, ad annettere e ad opprimere altre nazioni. (...) Il proletariato della Russia non può fare a meno di marciare alla testa del popolo per la rivoluzione democratica vittoriosa (questo è il suo compito immediato) né può fare a meno di combattere assieme ai suoi fratelli, ai proletari d'Europa, per la rivoluzione socialista senza chiedere anche ora piena e incondizionata libertà di separazione dalla Russia per tutte le nazioni oppresse dallo zarismo. Noi rivendichiamo questo, non indipendentemente dalla nostra lotta per il socialismo, ma perché quest'ultima lotta resta una parola vuota se non è legata indissolubilmente all'impostazione rivoluzionaria di tutte le questioni democratiche, compresa quella nazionale. Noi esigiamo la libertà di autodecisione, cioè l'indipendenza, cioè la libertà di separazione delle nazioni oppresse, non perché sognamo il frazionamento economico o l'ideale dei piccoli Stati, ma, viceversa, perché desideriamo dei grandi Stati e l'avvicinamento, persino la fusione, tra le nazioni su una base veramente democratica, veramente internazionalista, inconcepibile senza la libertà di separazione''(2).
La politica bolscevica sulle nazionalità, unitamente all'affermarsi della rivoluzione socialista in numerose regioni dell'ex impero zarista, ha determinato l'avvio dell'ampio processo di unificazione dei popoli su una base di libertà, di eguaglianza e di amicizia che ha portato alla nascita dell'Urss. Ma essa ha rappresentato anche un fattore decisivo della vittoria delle Repubbliche sovietiche nella lotta contro l'invasione straniera e la controrivoluzione "bianca'', sviluppatasi dopo la ratifica del trattato di Brest. Nella primavera del 1918 infatti, truppe militari americane, francesi, inglesi, italiane e giapponesi occuparono i territori sovietici da Murmansk a Arcangelo, a Vladivostock, fino alle regioni transcaucasiche e dell'Asia centrale, subito seguite dall'imperialismo tedesco che, in spregio agli accordi firmati, invase con il suo esercito l'Ucraina per spingersi, attraverso Rostov e Tangarog, in Crimea e Transcaucasia.
La lotta contro le truppe di invasione e le forze controrivoluzionarie determinò un primo accordo unitario sul fronte politico-militare delle Repubbliche sovietiche già esistenti. è del 1919 l'intesa raggiunta dalle repubbliche Russa, Ucraina, Bielorussa e del Baltico con la formazione dell'Armata Rossa baluardo militare a difesa comune di tutte le Repubbliche sovietiche. E questa lotta permise anche la vittoriosa affermazione dei movimenti di massa rivoluzionari in altre regioni del paese con la formazione di nuove Repubbliche sovietiche quali la RPS del Turkestan il 30 aprile 1918, la RPS di Khorezum il 1 febbraio 1920, la RS dell'Azerbaijan nell'aprile 1920, la RPS di Bukharà il 2 settembre 1920, la RSS di Armenia il 29 settembre 1920, la RS di Georgia il 25 febbraio 1921 ed infine il 14 novembre 1922 la riunificazione delle province russe dell'Estremo oriente alla RSFS Russa composta dalle repubbliche e regioni autonome dei Bashkiri, dei Tatari, dei Ciuvasci, dei Kasakhi, degli Udmurti, dei Calmucchi, dei Circassi, dei Ceceni, della Karelia, del Daghestan, di Crimea ed altri ancora.
Nel 1922 si avviò un processo di Unione federativa tra le Repubbliche sovietiche di Georgia, Armenia e Azerbaijan. Così come avevano già fatto il X Congresso dei Soviet della Russia, il VII Congresso dei Soviet dell'Ucraina e il IV Congresso dei Soviet della Bielorussia anche il I Congresso dei Soviet della neocostituita Federazione della Transcaucasia decise di dare il suo appoggio attivo all'ampio processo di unificazione delle federazioni sovietiche, pronunciandosi a favore della formazione dell'Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche.
A seguito di questa decisione presa dagli organi legislativi delle quattro Repubbliche sovietiche venne convocato il 30 dicembre 1922 il I Congresso dei Soviet dell'Urss. Lenin già gravemente ammalato, non poté partecipare a questa importante Assise. I 2.215 delegati lo elessero comunque Presidente Onorario del Congresso. Fu Stalin a presentare il Rapporto al Congresso dando lettura della Dichiarazione e del Trattato di formazione dell'Urss che nasceva giuridicamente come uno Stato federale basato sull'unione liberamente scelta dalle quattro repubbliche, sull'uguaglianza dei diritti e la fraternità dei rapporti fra esse; fissandone le modalità di adesione, le relative leggi e il diritto di uscire liberamente dall'Unione sulla base dei principi e dello spirito dell'internazionalismo proletario. Il I Congresso dei Soviet dell'Urss terminò con l'elezione del Comitato esecutivo centrale, massimo organo del potere statale nel periodo intercorrente fra i congressi.
L'Urss era formalmente nata, vi era ora la necessità di consolidare il nuovo Stato soprattutto affinché esso potesse rappresentare il punto di riferimento solido e credibile per le future repubbliche sovietiche. Proprio per questo la politica bolscevica sulla "questione nazionale'' non conobbe alcun allentamento. Nel "Rapporto sugli aspetti della questione nazionale nell'edificazione del partito e dello Stato'' presentato il 23 aprile del 1923 al XII Congresso del PCR(b), Stalin affermò tra l'altro: "O noi, nel quadro di quest'Unione risolveremo in modo giusto la questione nazionale nella sua applicazione pratica, instaureremo effettivamente, nel quadro di questa Unione, dei veri rapporti fraterni fra i popoli, una vera collaborazione, e allora tutto l'Oriente vedrà nella nostra Federazione la bandiera della sua liberazione, il reparto d'avanguardia di cui deve seguire le orme, e questo sarà l'inizio del crollo dell'imperialismo mondiale. Oppure qui sbaglieremo, mineremo la fiducia che i popoli precedentemente oppressi hanno nel proletariato della Russia, l'Unione delle repubbliche perderà quella forza di attrazione che essa esercita sull'Oriente, e allora l'imperialismo vincerà e noi perderemo la partita. Questa è l'importanza internazionale della questione nazionale''. E ancora: "Qual è il tratto caratteristico della soluzione della questione nazionale nel momento attuale, nel 1923? Quale forma hanno assunto nel 1923 i problemi che richiedono una soluzione sul terreno nazionale? Quella della collaborazione fra i popoli della nostra Federazione sul terreno economico, militare e politico. Mi riferisco ai rapporti fra le nazioni. La questione nazionale, che ha alla base il compito di instaurare giusti rapporti tra il proletariato della nazione un tempo dominante e i contadini delle altre nazionalità, nel momento attuale assume la forma particolare della instaurazione della collaborazione e della convivenza fraterna dei popoli che prima vivevano isolati e che ora si uniscono nel quadro di un unico Stato. Questa è l'essenza della questione nazionale nella forma che ha assunto nel 1923. La forma concreta di questa unione statale è rappresentata da quell'Unione delle Repubbliche, della quale parlavamo già alla fine dell'anno scorso al Congresso dei Soviet e che allora abbiamo deciso di costituire. Fondamento di quest'Unione è l'adesione volontaria e l'uguaglianza giuridica dei suoi membri. Adesione volontaria e uguaglianza, perché il punto di partenza del nostro programma nazionale è il diritto delle nazionalità a un'esistenza statale autonoma, ciò che prima veniva chiamato diritto di autodecisione. In quanto muoviamo da questo presupposto, dobbiamo affermare in modo preciso che nessuna unione, nessuna unificazione dei popoli in un solo Stato può essere stabile se non ha alla sua base la completa adesione volontaria, se i popoli stessi non vogliono unirsi. Il secondo fondamento è l'uguaglianza giuridica dei popoli che fanno parte dell'Unione. (...) Ma esistono anche dei fattori che ostacolano quest'Unione, che la frenano. (...) Bisogna comprendere che se una forza come lo sciovinismo grande-russo fiorirà rigogliosa e prenderà piede, i popoli un tempo oppressi non potranno avere nessuna fiducia e noi non potremo stabilire nessuna collaborazione in seno a un'unica unione e non avremo nessuna Unione delle repubbliche. Questo è il primo, il più pericoloso fattore che ostacola l'opera di raggruppamento dei popoli e delle repubbliche in un'unica unione. Il secondo fattore, compagni, che ostacola l'unione dei popoli un tempo oppressi attorno al proletariato russo, è quella effettiva disuguaglianza delle nazioni che abbiamo ereditato dal periodo dello zarismo. (...) è indispensabile che, oltre a quelle concernenti le scuole e la lingua, il proletariato della Russia prenda tutte le misure affinché nelle regioni periferiche, nelle repubbliche arretrate dal punto di vista culturale - ed esse sono rimaste indietro non per loro colpa, ma perché in precedenza venivano considerate solo come fonti di materie prime - siano create le basi dell'industria. (...) Ma c'è anche un terzo fattore che ostacola il raggruppamento delle repubbliche in un'unione: il nazionalismo delle singole repubbliche. (...) Certo, se non esistesse lo sciovinismo grande-russo, che è aggressivo perché è forte, perché era forte anche in precedenza e ha conservato l'abitudine di opprimere e soggiogare, se non esistesse lo sciovinismo grande-russo, anche lo sciovinismo locale, come risposta allo sciovinismo grande-russo, forse esisterebbe in misura minima, in miniatura, per così dire, perché in ultima analisi il nazionalismo antirusso è una forma difensiva, una forma degenere di difesa contro il nazionalismo grande-russo, contro lo sciovinismo grande-russo. (...) Ma disgrazia vuole che in alcune repubbliche questo nazionalismo difensivo si vada trasformando in nazionalismo aggressivo''(3).
Per superare questi tre fattori principali di ostacoli all'unificazione, Stalin indica tre mezzi: "Primo mezzo: prendere tutte le misure perché il potere sovietico nelle repubbliche diventi comprensibile e familiare, perché il potere sovietico sia, da noi, non solo russo ma anche inter-nazionale. A questo scopo è indispensabile che non solo le scuole, ma tutte le istituzioni, tutti gli organi, sia di partito che sovietici, `si nazionalizzino' passo passo, svolgano la loro attività nella lingua comprensibile alle masse, funzionino conformemente ai costumi di ogni singolo popolo. (...) Il secondo mezzo che ci può aiutare a superare senza urti dolorosi l'eredità lasciataci dallo zarismo e dalla borghesia, è di organizzare i Commissariati nell'Unione delle repubbliche in modo da rendere possibile, almeno alle nazionalità principali, di avere i loro rappresentanti negli organi di direzione collegiale di questi Commissariati e di creare condizioni tali per cui i bisogni e le esigenze delle singole repubbliche vengano assolutamente soddisfatti. Terzo mezzo: è indispensabile che fra i nostri organi centrali superiori ve ne sia uno che rifletta i bisogni e le esigenze di tutte le repubbliche e nazionalità, senza eccezione''(4).
Sulla base dei principi bolscevichi e dell'internazionalismo proletario che Lenin e Stalin in modo particolare, avevano sempre evidenziato come necessari a una giusta, democratica e avanzata soluzione del problema delle nazionalità, nel gennaio del 1924 si svolse il II Congresso dei Soviet dell'Urss che approvò la Costituzione del nuovo Stato unitario. I principi fondamentali che erano alla base di questa Costituzione, si possono riassumere essenzialmente così:
- adesione volontaria di ogni Repubblica al nuovo Stato, entità di popoli totalmente eguali e sovrani e per i quali vigeva eguaglianza di diritti e di doveri rispetto allo Stato unitario governato secondo il principio del centralismo democratico;
- libertà di accesso nell'Unione di tutte le Repubbliche socialiste esistenti e di quelle che si sarebbero eventualmente formate, così come libertà per ogni repubblica di uscire dall'Unione. Entrambi questi aspetti costituivano l'essenza del principio di adesione volontaria e soprattutto il secondo, quello relativo alla libertà di uscita dall'Unione, la cui attuazione era stata sempre sostenuta con forza da Lenin;
- competenza dell'Unione per tutte le tematiche inerenti la politica estera, il commercio estero, la difesa e l'organizzazione militare;
- organo principale del potere statale era il Comitato esecutivo centrale dell'Urss composto da due camere aventi eguali diritti: il Soviet dell'Unione eletto da tutti i delegati al Congresso e il Soviet delle Nazionalità eletto dai rappresentanti delle singole repubbliche a garanzia della partecipazione attiva di tutti i popoli e le entità nazionali alla vita e all'edificazione del paese.
L'Unione sovietica era dunque pronta a marciare compatta sulla strada della costruzione del socialismo che significherà per le singole entità nazionali il progressivo superamento dell'arretratezza e della disuguaglianza che fino ad allora avevano caratterizzato i vari aspetti della vita delle varie regioni del paese.
Abbiamo già accennato in precedenza alle condizioni socioeconomiche veramente critiche della Russia alla fine della I guerra mondiale. Dopo la definitiva sconfitta delle forze controrivoluzionarie nella guerra civile, il consolidamento del potere sovietico ed il ritorno alla pace, iniziò in tutto il paese lo sforzo di ricostruzione e di trasformazione politico, sociale ed economico.

LA NUOVA POLITICA ECONOMICA (Nep) 
Il 1921 è l'anno che segna una prima importante svolta politica: il passaggio dal "comunismo di guerra'' (basato sulla prestazione obbligatoria di lavoro, il prelevamento delle eccedenze di grano e il divieto di commercio), introdotto nel 1918 per fronteggiare l'attacco armato controrivoluzionario, alla "nuova politica economica'' (Nep) che doveva servire alla ricostruzione economica, al rilancio della produzione e allo sviluppo del settore industriale.
Costruita su una base sociale che puntava su una alleanza tra classe operaia e contadini, la Nep avviò una politica basata sullo scambio grano/prodotti industriali, reintrodusse il libero commercio delle eccedenze e fece leva, in maniera controllata, su tutti i ceti sociali nazionali. Nella società e nell'economia dell'Urss coesistevano ed operavano dunque forme di proprietà e forme di economia diverse, che entravano in competizione tra loro.
Da un lato forme privatistiche di produzione mercantile e l'esistenza di un libero commercio che inevitabilmente mantenevano in vita elementi capitalistici nell'economia nazionale; dall'altro i cardini dell'economia: grande industria, trasporti, energia, sistema bancario, in mano allo Stato sovietico, con la conseguente concorrenza a livello commerciale tra capitale privato e aziende statali. In questa fase il compito principale del potere sovietico, della dittatura del proletariato, fu, come disse Lenin, quello di "essere capace di tenere ben ferme le redini al collo dei signori capitalisti'', e di organizzare e sviluppare nel settore agricolo, la creazione di cooperative e aziende statali facendo leva sui contadini poveri e medi, controllando e isolando i kulak (contadini ricchi).
Lenin ha spiegato con puntualità e chiarezza il significato e i rischi insiti nella Nep. Nel Rapporto sull'attività politica del CC presentato al X Congresso del PCR(b), svoltosi nel marzo del 1921, Lenin evidenziava che: "Nei rapporti tra il proletariato e i piccoli coltivatori esistono dei problemi ben difficili, dei problemi che non abbiamo ancora risolto. Parlo dei rapporti tra il proletariato vittorioso e i piccoli proprietari quando la rivoluzione proletaria si sviluppa in un paese dove il proletariato è in minoranza, dove la maggioranza è composta da elementi piccolo-borghesi. La funzione del proletariato in tale paese consiste nel dirigere il passaggio di questi piccoli proprietari al lavoro socializzato, collettivo, comune. è teoricamente indiscutibile. Abbiamo trattato questo argomento in tutta una serie di atti legislativi, ma sappiamo che non si tratta solo di legiferare, bensì di tradurre le leggi nella pratica, e sappiamo che ciò si ottiene quando si dispone di una grande industria molto forte, capace di offrire al piccolo produttore benefici tali da fargli vedere in pratica la superiorità della grande economia''. Ed ancora: "Finché non avremo cambiato i contadini, finché la grande produzione meccanizzata non li avrà trasformati, bisogna garantire loro la possibilità di fare liberamente i loro affari. La situazione in cui ci troviamo è fluida, la nostra rivoluzione è accerchiata da paesi capitalistici. E finché ci troviamo in questa situazione, dobbiamo cercare forme di rapporti molto complesse''(5). - Il 17 ottobre 1921 nel Rapporto al II Congresso dei Centri di educazione politica di tutta la Russia, Lenin afferma ancora "Il problema fondamentale consiste, dal punto di vista strategico, nel vedere chi saprà approfittare prima di questa nuova situazione. Tutto il problema sta nel vedere chi seguiranno i contadini, se seguiranno il proletariato che si sforza di costruire una società socialista, oppure il capitalismo che dice: `Torniamo indietro, è più sicuro, altrimenti, con questa trovata del socialismo, chissà dove si va a finire!'''(6).
La Nep fu, in campo economico, la linea direttrice elaborata dal Partito comunista e da Lenin su cui si svilupperà la politica del potere sovietico negli anni Venti. Nell'aprile del 1922 a conclusione dell'XI Congresso del PCR(b) il nuovo Comitato centrale istituì la carica di Segretario del CC, alla quale fu eletto, su proposta di Lenin, Stalin che si impegnò senza risparmio di energie nella direzione del Partito. Un lavoro, questo, di grande responsabilità, divenuto ancora più difficile dopo la morte di Lenin, che rappresentò una perdita incommensurabile per la Russia sovietica e tutto il movimento comunista mondiale.

L'INDUSTRIALIZZAZIONE 
Il PCR(b) con la guida di Stalin si mantenne saldo sulla strada del marxismo-leninismo, continuando con fermezza la politica intrapresa da Lenin per lo sviluppo del socialismo in Urss. Proseguendo sulla strada della politica economica tracciata con la Nep, riprese vigore la produzione, si incrementò il tessuto industriale del paese, crebbe di conseguenza il numero di occupati nell'industria e il peso della classe operaia e del proletariato industriale ebbe un notevole impulso introducendo così gli elementi per un cambiamento irreversibile e continuativo del tessuto sociale. Alla fine del 1927 la classe operaia contava circa 10 milioni e 350 mila lavoratori, dei quali circa 2 milioni e 340 mila impiegati nella grande industria.
Il suo tenore di vita era notevolmente migliorato, grazie anche all'introduzione dei servizi sociali e delle nuove norme sul lavoro quali il fondo di assicurazione sociale, i servizi comunali e quelli culturali, l'indennità di malattia. Il salario reale dei lavoratori della grande industria statale raggiunse i 32,14 rubli mensili. Nel suo complesso il livello salariale medio degli operai era cresciuto di oltre il 128% rispetto a quello prebellico. Inoltre era in continua ascesa la spesa per la costruzione di case operaie. Furono anche gli anni in cui si gettarono le basi concrete per iniziare a formare i nuovi quadri tecnici provenienti, nella stragrande maggioranza, dalle file della classe operaia, e, prese il via il nuovo sistema scolastico e formativo sovietico. In quel periodo, inoltre, proseguì all'interno del paese il confronto basato essenzialmente su due linee generali d'azione.
- La prima puntava a mantenere l'Urss ancora per un lungo periodo un paese prevalentemente agricolo che esportasse prodotti agricoli per importare attrezzature industriali.
- La seconda, invece, spingeva per un impegno a fondo nella costruzione di un paese indipendente sul piano economico, basato sul mercato interno, in grado di essere un punto di riferimento anche per quei paesi che eventualmente fossero riusciti ad imboccare vittoriosamente la strada della rivoluzione socialista e dell'abbattimento del capitalismo.
Era quest'ultima la linea di Stalin. Egli la indicò come la via più consona al consolidamento del socialismo nell'Urss accerchiata dai paesi capitalisti, puntando sullo sviluppo dell'industria sulla base delle risorse esistenti, evitando così di portare il paese a essere un'appendice del sistema capitalistico.
Nel suo Rapporto politico al XIV Congresso del Partito, svolto il 18 dicembre 1925, Stalin evidenziò due principi generali a fondamento del lavoro di edificazione socialista: "Primo principio. Noi lavoriamo ed edifichiamo nelle condizioni dell'accerchiamento capitalistico. Ciò significa che la nostra economia e la nostra edificazione si svilupperanno attraverso contraddizioni, attraverso conflitti tra il nostro sistema economico e il sistema economico capitalistico. Noi non possiamo sfuggire in nessun modo a questa contraddizione. (...) Ciò significa inoltre che si deve costruire la nostra economia non solo in contrasto con l'economia capitalistica all'esterno, ma anche attraverso il contrasto tra i diversi elementi esistenti all'interno del nostro paese, attraverso il contrasto tra gli elementi socialisti e quelli capitalistici. Di qui la conclusione: noi dobbiamo edificare la nostra economia in modo che il nostro paese non si trasformi in un'appendice del sistema capitalistico mondiale, ...ma come un'unità economica indipendente che si appoggia, principalmente, sul mercato interno, sulla collaborazione tra la nostra industria e l'economia contadina del nostro paese.
(...) Il secondo principio che, come il primo, ci deve guidare nella nostra edificazione, è che dobbiamo tener sempre conto del fatto che la nostra economia nazionale deve essere diretta in modo particolare, differente dal modo in cui è diretta l'economia dei paesi capitalistici. Là, nei paesi capitalistici, regna il capitale privato; gli errori commessi dai singoli trust e cartelli capitalistici, da questi o quei gruppi di capitalisti, sono corretti dalla forza naturale del mercato... Là noi vediamo crisi economiche, commerciali, finanziarie che colpiscono singoli gruppi capitalistici. Da noi le cose vanno diversamente. Ogni seria difficoltà nel commercio, nella produzione, ogni serio errore di calcolo nella nostra economia non si risolve con una singola crisi in questo o quel campo, ma colpisce tutta l'economia nazionale... Perciò noi, qui, dobbiamo dirigere l'economia in forma pianificata''(7).

LA PIANIFICAZIONE DELL'ECONOMIA 
Questo dello sviluppo pianificato dell'economia è un punto molto importante introdotto da Stalin. Esso si concretizzerà appieno con il varo del Primo piano quinquennale approvato dal XV Congresso del Partito, svoltosi nel dicembre del 1927. Ha inizio la seconda grande svolta: quella della pianificazione che porterà l'Urss a diventare un paese industriale ed alla piena affermazione dei rapporti di produzione socialisti. Lo sviluppo del paese procedeva con successo. Erano in forte aumento la produzione di tutta l'economia nazionale, il giro d'affari nel commercio interno, il sistema creditizio, il commercio estero, il sistema dei trasporti ferroviari sia per quanto riguardava il volume dei trasporti che l'incremento della rete ferroviaria. In questo quadro un ruolo rilevante assumeva l'industrializzazione. L'Urss stava diventando un paese industriale. E, all'interno del settore industriale, si rimarcava la crescita delle forme socialiste e la contrazione di quelle capitalistiche. Raffrontando la situazione del 1924 a quella del 1927 tra il settore socializzato e quello non socializzato dell'industria, si hanno questi rapporti:
- produzione lorda del settore socializzato dall'81% all'86%
- produzione lorda del settore non socializzato dal 19% al 14%
- investimenti nel settore socializzato dal 43,8% al 65,3%
- investimenti nel settore non socializzato da 56,2% a 34,7%
Un'analoga situazione di incremento del settore socializzato si ha anche nel commercio, con una costante eliminazione del capitale privato sia per quanto riguarda il commercio all'ingrosso, che per quello al minuto. Le maggiori difficoltà si riscontrarono in agricoltura. In questo settore lo sviluppo e l'incremento produttivo furono molto più lenti.
Stalin affronta questa questione sottoponendola all'attenzione del XV Congresso del Partito. Presentando il Rapporto politico del CC, egli affermava: "Come spiegare il ritmo di sviluppo relativamente lento dell'agricoltura rispetto a quello della nostra industria nazionalizzata? Si spiega con l'eccezionale arretratezza della nostra tecnica agricola e il troppo basso livello culturale delle campagne, e, in particolare, col fatto che la nostra produzione agricola frazionata non presenta i vantaggi che ha la nostra grande industria unita e nazionalizzata. La produzione agricola, innanzi tutto, non è nazionalizzata e non è unita, ma è frazionata, spezzettata. Non è condotta secondo un piano, e per ora è in grandissima parte ancora in balia dell'anarchia della piccola produzione. Non è stata unita e organizzata in base al principio della collettivizzazione, e per questo è ancora un comodo campo di sfruttamento per gli elementi kulak. Queste circostanze privano l'agricoltura frazionata degli enormi vantaggi della grande produzione unita e pianificata di cui gode la nostra industria nazionalizzata.(...) Qual è dunque la via d'uscita? La via d'uscita è la seguente: passaggio dalle aziende contadine piccole e frazionate alle grandi aziende unite sulla base della coltivazione collettiva della terra; passaggio alla coltivazione collettiva della terra sulla base di una tecnica nuova, più elevata. Unione graduale, ma continua, non mediante pressioni, ma mediante l'esempio e la convinzione, delle aziende contadine piccole e piccolissime in aziende grandi, sulla base della lavorazione comune, cooperativistica, collettiva della terra, con l'impiego di macchine agricole e di trattori, e dei metodi scientifici di una agricoltura intensiva. Altre vie d'uscita non ce ne sono. (...) Tutte le nostre misure per limitare gli elementi capitalistici nell'agricoltura, per sviluppare gli elementi socialisti nelle campagne, per attirare le aziende contadine nell'alveo dello sviluppo cooperativistico, per inserire nel settore socialista, mediante un'azione pianificata dello stato nelle campagne, l'economia contadina per quanto riguarda sia i rifornimenti e lo smercio che la produzione, tutte queste misure sono, è vero, decisive, ma sono pur sempre misure preparatorie per gettare le basi della collettivizzazione agricola''(8).
L'avanzamento sulla strada della costruzione del socialismo non fu né facile, né indolore. Condizioni oggettive la rendevano irta di difficoltà. Essa si affermava essenzialmente facendo leva sulla lotta di classe nella società che si ripercuoteva inevitabilmente anche all'interno del Partito. Il XV Congresso del PCR(b) fu il congresso che sancì la vittoria della linea marxista-leninista contro il trotzkismo e il cosiddetto "Blocco unificato dell'opposizione'' i cui esponenti già dal 1921 agivano contro la linea del Partito di costruzione del socialismo in Urss, di alleanza con i ceti medio-poveri dei contadini e su altre importanti questioni di politica interna e internazionale, agendo in spregio totale al centralismo democratico e sviluppando una sempre crescente attività frazionistica rimasta, peraltro, assai marginale e senza sbocchi a livello di massa.

LA COLLETTIVIZZAZIONE DELL'AGRICOLTURA
Altro momento fondamentale sulla strada dell'edificazione socialista in Urss fu quello rappresentato dal movimento per la collettivizzazione dell'agricoltura avviatosi nel 1929. La storiografia borghese e revisionista, ha definito questo imponente processo di cambiamento come imposto e attuato in modo dirigistico. è questa una visione falsa e denigratoria, che non corrisponde alla realtà storica di questo processo. In realtà si è trattato di un movimento preparato e sviluppatosi nel tempo attraverso l'acuirsi dello scontro di classe tra i ceti medio-poveri dei contadini, che hanno sviluppato forme socializzate nel settore agricolo, e i kulak espressione diretta del capitalismo nelle campagne. Il processo di costruzione di forme socializzate nel settore agricolo si è sviluppato attraverso forme non coercitive con la piena partecipazione dei contadini poveri e medi che gradualmente e, in maniera massiccia nel triennio 1927-1929, sono passati da forme privatistiche di proprietà e di lavorazione della terra, a forme di tipo cooperativistico e collettivizzato dell'agricoltura, segnarono l'isolamento e il declino dei kulak nelle campagne. Inoltre, una legge del febbraio 1929 tolse ai kulak la possibilità di agire per quanto riguardava l'assunzione di lavoratori salariati, senza rispettare le precise norme a tutela del lavoro. Questa legge, in sostanza, equiparava il lavoratore salariato agricolo all'operaio della fabbrica statale. Il kulak pertanto doveva trattare i propri salariati, sulla base delle norme del Codice del lavoro. In questa legge era affermato il principio che: "I kulak praticano una industria e devono, pertanto, rispondere del contadino al quale chiedono il lavoro, come lo Stato sovietico risponde degli operai delle Industrie di Stato''.
Ciò concretamente significa che al lavoratore salariato agricolo il kulak doveva corrispondere lo stesso trattamento in termini di salario, orario di lavoro, assicurazioni sociali, ferie e indennità di cui godeva l'operaio dell'industria statale.
In "Questioni di politica agraria nell'Urss'' del dicembre 1929, Stalin affronta con estrema chiarezza gli spostamenti di classe e la svolta nella politica del Partito nelle campagne. In particolare, Stalin affermava: "Il tratto caratteristico del lavoro del nostro Partito, durante l'ultimo anno, è che, in quanto Partito, in quanto potere sovietico: a) abbiamo sviluppato l'offensiva su tutto il fronte contro gli elementi capitalistici della campagna, e b) quest'offensiva ha dato e continua a dare, com'è noto, dei risultati `positivi' molto tangibili. Che cosa significa questo? Questo significa che dalla politica di `limitazione' delle tendenze sfruttatrici dei kulak siamo passati alla politica di `liquidazione' dei kulak come classe. (...) Fino a poco tempo fa il partito si manteneva sulla posizione di limitare le tendenze sfruttatrici dei kulak. (...) Era giusta questa politica? Sì, allora era incontestabilmente giusta. (...) Perché non avevamo ancora nella campagna quei punti d'appoggio, rappresentati da una larga rete di sovcos e di colcos, sui quali poterci basare per sferrare l'offensiva decisiva contro i kulak. Perché allora non avevamo la possibilità di `sostituire' la produzione capitalista dei kulak con la produzione socialista dei colcos e dei sovcos. Nel 1926-27 l'opposizione zinovievista-trotzkista voleva a tutti i costi imporre al partito una politica di offensiva immediata contro i kulak. (...) L'offensiva contro i kulak è una cosa seria. (...) Sferrare l'offensiva contro i kulak significa spezzarli e liquidarli come classe. (...) Potevamo noi iniziare cinque o tre anni fa una simile offensiva e contare di avere successo? No, non potevamo. Infatti, nel 1927 il kulak produceva più di 600 milioni di `pud' di grano e di questa quantità ne metteva in commercio al di fuori del mercato rurale circa 130 milioni di `pud'. (...) E quanto producevano allora i nostri colcos e sovcos? Circa 80 milioni di `pud', di cui circa 35 milioni giungevano sul mercato (grano mercantile). Giudicate voi stessi se potevamo allora `sostituire' la produzione e il grano mercantile dei kulak con la produzione e col grano mercantile dei nostri colcos e sovcos. è certo che non potevamo. (...) E ora? Come stanno le cose ora? (...) Si sa che nel 1929 la produzione di grano nei colcos e nei sovcos non è stata inferiore a 400 milioni di `pud' (200 milioni di `pud' di meno della produzione globale dell'economia dei kulak nel 1927). (...) Si sa, infine, che nel 1930 la produzione globale di grano dei colcos e dei sovcos non sarà inferiore a 900 milioni di `pud' (superiore cioè, alla produzione globale di grano dei kulak nel 1927), e che essi non daranno meno di 400 milioni di 'pud' di grano mercantile (cioè incomparabilmente di più dei kulak nel 1927). (...) Ecco qual è lo spostamento verificatosi nell'economia del paese. (...) Ecco perché negli ultimi tempi siamo passati dalla politica di `limitazione' delle tendenze sfruttatrici dei kulak, alla politica di `liquidazione' dei kulak come classe''(9).
Quello della collettivizzazione dell'agricoltura fu, in ultima analisi, un grande movimento di massa che il Partito comunista seppe guidare facendo leva sull'entusiasmo, la partecipazione attiva e la consapevolezza di tutto il paese. Questo movimento vide coinvolti milioni di contadini, ma non solo. Ad esso parteciparono anche migliaia di proletari e giovani (circa venticinquemila) provenienti dalle fabbriche e dalle scuole di diverse città, molti dei quali militanti del Partito e del Komsomol (la gioventù comunista).
La socializzazione delle campagne ebbe incidenza anche nella composizione sociale del Partito comunista. Basti pensare che mentre prima della collettivizzazione il numero dei contadini iscritti al Partito era molto basso, nel 1932 il numero degli agricoltori collettivi raggiunse il 18% degli iscritti al Partito.

LA PIANIFICAZIONE ECONOMICA SOCIALISTA
La realizzazione del I piano quinquennale (1928-1932) rappresentò un indubbio successo che mutò radicalmente la natura economica e sociale dell'Urss. Proprio negli anni in cui il mondo capitalistico viveva una delle sue crisi più profonde, l'Urss diventava un paese industriale (per la prima volta infatti nel 1930 l'incidenza della produzione industriale che fu del 53% superò quella della produzione agricola) ma, soprattutto, il primo Stato socialista era diventato una concreta realtà tanto sul piano politico, quanto su quello sociale ed economico.
Vale la pena soffermarsi sugli obiettivi che vennero raggiunti con il I piano quinquennale. Il numero degli altiforni per la produzione di ferro e acciaio venne incrementato di un quarto, mentre l'aumento della loro capacità produttiva fu di due terzi. La metà delle macchine utensili della industria meccanica nel 1932 erano state installate nel corso del Piano. I nuovi impianti per la costruzione di trattori, macchine utensili e autoveicoli, costituivano l'80% del totale. Il 25% della produzione di carbone proveniva da nuovi impianti. Il numero dei pozzi di petrolio era aumentato di circa un quarto e il volume di estrazione di petrolio venne quasi raddoppiato; mentre erano nuovi per la quasi totalità tutti gli impianti di raffinazione. La produzione di energia elettrica era quasi triplicata. Erano inoltre sorti nuovi settori industriali mai prima d'allora presenti in Russia, quali quello chimico e quello della lavorazione dei generi alimentari. L'incremento generale della produzione della grande industria fu del 118%. Ma lo sviluppo non fu limitato alla sola industria pesante. L'industria dei beni di consumo vide un aumento della produzione dell'87%, con punte notevoli di progresso per quanto riguarda il settore calzaturiero e quello alimentare. Va inoltre sottolineato il notevole sforzo profuso e i brillanti successi raggiunti nel campo dell'istruzione secondaria ed universitaria e in quello della formazione professionale. Tra il 1928 e il 1931 circa 150 mila operai andarono a frequentare gli istituti superiori, mentre altri 140 mila operai assunsero responsabilità tecniche e amministrative ricevendo la specifica preparazione attraverso corsi formativi organizzati e svolti all'interno stesso delle aziende. Anche nelle campagne, dove prima della rivoluzione l'analfabetismo era pressoché totale, la battaglia per l'elevamento culturale si sviluppò con forza. Dapprima attraverso una capillare diffusione dell'alfabetizzazione, poi, in concomitanza con il piano quinquennale e la collettivizzazione, sviluppando qualità e specificità di studi. A partire dal 1930 vennero istituiti nelle campagne corsi formativi triennali. Ai contadini non appartenenti alla classe dei kulak, venne estesa come per gli operai, la priorità per l'ammissione agli istituti superiori e alle scuole secondarie per adulti. Questi stessi contadini costituiranno il nucleo dei nuovi tecnici agrari e dei responsabili ai vari livelli delle aziende agricole cooperative e di Stato.
Avanzare sul piano dell'allargamento delle conoscenze culturali e scientifiche per milioni di operai e di contadini, uomini e donne, e per i giovani figli di queste classi non era e non rappresentò solo un fatto circoscritto alla sola sfera dell'istruzione socialista. Il movimento che si sviluppò travalicò il semplice aspetto culturale per abbracciare anche la sfera politica e sociale. C'era bisogno di formare nuovi dirigenti, nuovi specialisti, di mettere la tecnica e la scienza al servizio della costruzione socialista, di recuperare al socialismo i vecchi quadri tecnici che volevano mettersi al suo servizio e isolare gli altri. Ma c'era altresì il bisogno di non limitarsi all'aspetto produttivo, funzionale dell'economia, per non creare nuove caste e per evitare di consolidare atteggiamenti e pratiche di burocratismo che inevitabilmente si formavano nella società e nel Partito.
Nel discorso tenuto il 16 maggio 1928 all'VIII Congresso dell'Unione della gioventù comunista, Stalin, riguardo a queste tematiche, si espresse in questi termini: "La classe operaia non può diventare il vero padrone del paese, se non è in grado di superare la sua arretratezza culturale, se non è in grado di formare una sua intellighentia, se non padroneggia la scienza e se non è capace di dirigere l'economia su base scientifica. (...) Quello di cui abbiamo bisogno adesso sono specialisti bolscevichi, per l'industria metallurgica, l'industria tessile, l'industria dei carburanti, per la chimica, l'agricoltura, i trasporti, il commercio, per la contabilità, ecc.''. E ancora: "Uno dei nemici peggiori della nostra avanzata è il burocratismo. (...) Di solito, parlando di burocrati, si punta il dito sui vecchi funzionari senza partito, che si usa disegnare con occhiali nelle caricature. Ma questo non è del tutto vero, compagni. Se si trattasse soltanto dei vecchi burocrati, la lotta contro il burocratismo sarebbe la cosa più facile di questo mondo. Il guaio è che non si tratta dei vecchi burocrati. Si tratta dei nuovi burocrati che simpatizzano col potere sovietico, ed infine di burocrati provenienti dalle file comuniste. Il tipo più pericoloso di burocrate è il burocrate comunista. Perché? Perché egli maschera il burocratismo con la sua appartenenza al Partito. E, purtroppo, da noi ci sono parecchi di questi burocrati comunisti. (...) Come si può combattere questo male? Sono del parere che non ci sono e non ci possono essere altri metodi al di fuori dell'organizzazione del controllo dal basso da parte dei membri di base del Partito, al di fuori dello sviluppo della democrazia interna del Partito. (...) Come si può farla finita col burocratismo in tutte le nostre organizzazioni? C'è una sola via per raggiungere questo obiettivo: l'organizzazione del controllo dal basso, l'organizzazione della critica delle masse di milioni di uomini della classe operaia contro il burocratismo nelle nostre istituzioni, contro i loro difetti e i loro limiti. (...) Sarebbe errato credere che solo i dirigenti dispongano di esperienze nella costruzione del socialismo. Non è vero, compagni. Le masse di milioni di operai che costruiscono la nostra industria accumulano giorno per giorno enormi esperienze, che non sono per noi meno preziose delle esperienze dei dirigenti. Abbiamo bisogno della critica di massa dal basso, del controllo dal basso, fra l'altro proprio perché non vadano perse queste esperienze delle masse di milioni di uomini, perché siano prese in considerazione e tradotte in pratica''(10).
Fu questo imponente movimento di massa basato sull'approfondimento delle conoscenze, sul lavoro concreto e sulla saldezza ideologica e politica a permettere la realizzazione di obiettivi che potevano sembrare impossibili da raggiungere e a creare una nuova leva di dirigenti e responsabili in campo economico, sociale, politico e militare proveniente essenzialmente dalle file operaie e contadine.

LA COSTITUZIONE DEL 1936
In meno di vent'anni dalla gloriosa Rivoluzione d'Ottobre il processo di costruzione del socialismo in Unione sovietica è, nei suoi tratti fondamentali, realizzato. L'adozione della nuova Costituzione, approvata il 5 dicembre 1936 dall'VIII Congresso straordinario dei Soviet, sancisce la vittoria del socialismo in Urss. La nuova Costituzione è l'espressione a livello legislativo di questa vittoria.
In essa si sancisce tra l'altro:
- la proprietà socialista della terra, delle fabbriche e dei mezzi di produzione;
- la soppressione dello sfruttamento;
- il diritto di ogni cittadino al lavoro, all'istruzione, all'assistenza necessaria;
- la direzione dello Stato da parte della classe operaia come classe d'avanguardia nella società;
- l'eguaglianza dei diritti economici, sociali, culturali e politici di tutte le nazioni e le razze;
- l'eguaglianza dei diritti dei cittadini indipendentemente dalla condizione, dall'origine, dal sesso, dal lavoro svolto, ecc.;
- la garanzia, sulla base del principio della democrazia socialista, non solo dei diritti dei cittadini ma anche dei mezzi necessari all'esercizio di questi diritti.

L'AGGRESSIONE NAZIFASCISTA E LA II GUERRA MONDIALE
Il socialismo e il potere sovietico furono alla base della salda unità dei popoli dell'Urss e costituirono il fattore decisivo per il superamento di tutti gli ostacoli e di tutti gli attacchi, interni ed esterni, alla dittatura del proletariato ed allo Stato sovietico e che culminarono nella criminale aggressione nazifascista.
La II guerra mondiale è costata al popolo sovietico immani sofferenze e un alto tributo di sangue. L'eroica resistenza all'esercito invasore tedesco e la successiva potente controffensiva terminata con la Bandiera Rossa issata sul palazzo del Reichstag sono la testimonianza incancellabile del valore, della forza e dell'unità che hanno legato in un saldo vincolo il proletariato sovietico, il popolo sovietico, lo Stato sovietico e il Partito comunista sovietico di Lenin e Stalin che ne è stato l'avanguardia e la guida riconosciuta.
L'Urss e il suo popolo hanno avuto un ruolo primario e decisivo per la vittoria nella II guerra mondiale e Stalin è stato il grande artefice sul piano politico, sul piano strategico e sul piano militare della vittoria sul nazismo e sul fascismo. Queste sono due verità incontrovertibili. Gli stessi imperialisti, i dirigenti stessi di Stati Uniti, Gran Bretagna, Francia alla fine della guerra hanno dovuto riconoscere questa realtà storica. Poi, con la ripresa della loro lotta contro il socialismo, uscito rafforzato e vittorioso dal II conflitto mondiale, con lo scatenamento della "guerra fredda'' e l'acuirsi dello scontro di classe a livello internazionale, hanno iniziato a sminuire, negare, cercare di cancellare dalla memoria storica delle masse popolari queste verità; successivamente imitati, soprattutto per quel che riguarda il ruolo di Stalin, dal loro agente Krusciov. Ma tutti i nemici politici e ideologici del socialismo non riusciranno a strappare dalla coscienza dei popoli la consapevolezza del ruolo primario, insostituibile e decisivo che ebbero Stalin, l'Urss e l'Armata Rossa nel salvare il mondo dal dominio e dalla schiavitù nazifascista.
Non furono, come prospettano oggi gli storici borghesi, gli aiuti delle forze alleate a segnare le sorti della guerra. Le forniture militari degli alleati all'Urss furono, come vedremo, non rilevanti e ininfluenti sul corso della guerra. Soprattutto esse furono pressoché nulle nei primi due anni del conflitto, gli anni che rappresentarono il periodo più duro per l'Urss e il suo popolo. La realtà è ben diversa. La realtà è che Hitler, Mussolini, i circoli imperialistici nazifascisti, e non solo loro, basarono la loro analisi della situazione sul fatto che l'Urss e il sistema sovietico, avessero piedi d'argilla, che fossero fragili sul piano economico, su quello militare, su quello politico e diplomatico. Per questo predisposero l'"Operazio-ne Barbarossa'', il criminale piano di attacco e di invasione dell'Unione sovietica; convinti e sicuri del fatto che in poche settimane avrebbero potuto sbaragliare l'Armata Rossa e il potere sovietico. Questa, però, si dimostrò essere soltanto un'illusione. Stalin, a differenza dei suoi nemici e dei dirigenti politici e militari dei paesi capitalisti e imperialisti, conosceva assai bene tanto la loro realtà, quanto la situazione reale dell'Urss e la capacità reattiva della sua classe operaia, del suo popolo e del suo Esercito Rosso. Stalin ha ben evidenziato l'infondatezza dell'analisi di Hitler e il conseguente fallimento dell'"Operazione Barbarossa'' e della "guerra lampo''. Questa operazione è naufragata perché:
- è fallito il tentativo di isolare l'Unione sovietica che anzi è riuscita alla fine nel suo sforzo, iniziato peraltro fin dall'ascesa di Hitler al potere, di costruire un'alleanza con la Gran Bretagna e gli Stati Uniti creando un fronte unito contro il nazifascismo e le potenze dell'"Asse'';
- si sono sottovalutate le forze del sistema e dell'Esercito sovietici e sopravvalutate le forze degli aggressori che hanno visto svanire nel nulla le loro convinzioni circa la rotta dell'Armata Rossa, la ribellione delle masse e l'abbattimento del potere sovietico. L'esercito tedesco è sì riuscito, all'inizio, a penetrare con le sue truppe in profondità nel territorio sovietico ma, ne è rimasto poi prigioniero, isolato e accerchiato, con le retrovie costantemente attaccate dalle forze partigiane, fino ad esserne annientato dalla possente controffensiva dell'Armata Rossa.
Stalin seppe altresì valutare anche le cause degli insuccessi nel conflitto, indicando le giuste strategie per il loro superamento e per guidare quindi l'Urss alla vittoria finale. Nel suo Rapporto alla seduta solenne del Soviet dei deputati di Mosca per il XXIV anniversario della Grande Rivoluzione Socialista d'Ottobre, svolto il 6 novembre 1941, egli rimarcava che per l'Esercito Rosso: "Vi sono alcune condizioni sfavorevoli a causa delle quali il nostro Esercito subisce degli insuccessi temporanei, è costretto a indietreggiare, a lasciare al nemico una serie di regioni del nostro paese. Quali sono queste condizioni sfavorevoli? Quali sono le cause dei temporanei insuccessi dell'Esercito Rosso? Una delle cause dei temporanei insuccessi dell'Esercito Rosso consiste nella mancanza di un secondo fronte in Europa contro le truppe fasciste tedesche. (...) E questa circostanza fa sì che i tedeschi considerando assicurate le loro retrovie in Occidente, possono impegnare tutte le loro truppe e le truppe dei loro alleati europei contro il nostro paese. La situazione odierna è tale che il nostro paese conduce da solo, senza nessun aiuto militare la guerra di liberazione contro le forze coalizzate dei tedeschi, dei finlandesi, dei romeni, degli italiani e degli ungheresi. (...) Un'altra causa dei temporanei insuccessi del nostro Esercito consiste nell'insufficienza numerica di carri armati e, in parte, di aerei. Nella guerra d'oggi è molto difficile per la fanteria combattere senza carri armati e senza essere sufficientemente appoggiata dall'aria. (...) Questo è il segreto dei temporanei successi dell'esercito tedesco. (...) Esiste un solo mezzo per annientare la superiorità dei tedeschi in carri armati e migliorare così, radicalmente, la situazione del nostro Esercito. Questo mezzo consiste non solo nell'aumentare la produzione di carri armati nel nostro paese, ma anche nell'aumentare rapidamente la produzione di aeroplani anticarro, di fucili e cannoni anticarro, di bombe e di mortai anticarro, nel costruire un numero sempre maggiore di fosse anticarro e di ostacoli anticarro di ogni genere. Questo è oggi il nostro compito. Noi possiamo assolvere questo compito e lo dobbiamo assolvere ad ogni costo''(11).
Il compito indicato da Stalin fu assolto per intero. Negli anni 1943-45 l'industria bellica sovietica ebbe una produzione media annua di 40 mila aerei e 30 mila carri armati a fronte di una produzione tedesca, nello stesso periodo, di 26 mila aerei e 19 mila carri armati. Inoltre negli ultimi tre anni di guerra l'Urss produsse 360 mila cannoni e 582 milioni di proiettili d'artiglieria. Lo sforzo dei lavoratori sovietici delle retrovie fu poderoso e di inestimabile valore. Esso fornì da solo tutto l'armamento occorrente all'Armata Rossa per sbaragliare il nemico, garantendo anche la quantità e la funzionalità dei trasporti e l'approvvigionamento alimentare necessari a garantire i bisogni del fronte e dell'intero paese. Complessivamente nel corso della guerra, l'Urss produsse circa 137 mila aerei, 103 mila carri armati e 490 mila cannoni ricevendo da Stati Uniti e Gran Bretagna solo 18.753 aerei, 11.576 carri armati e 9.600 cannoni. Questa è la vera realtà determinatasi durante la II guerra mondiale, peraltro ammessa dallo stesso Roosevelt il 20 maggio 1944 quando dichiarò dinnanzi al Congresso americano che "l'Unione sovietica usa armamenti provenienti dalle proprie fabbriche''.

LO STATO SOCIALISTA E LA RICOSTRUZIONE POSTBELLICA, IL IV PIANO QUINQUENNALE
La seconda guerra mondiale costituì di fatto per l'Urss, per il suo governo e per il Partito comunista sovietico una sorta di banco di prova, certamente non cercato, ma imposto al paese, dal quale emersero comunque delle indicazioni importanti rispetto ad una organizzazione statale, ad una forma di governo, ad una economia e a rapporti di produzione completamente nuovi. Quello imposto dalla guerra fu un esame durissimo non solo per valutare la tenuta della struttura economica dell'Urss, ma anche per valutarne la solidità politica e quindi il grado di accettazione popolare del nuovo regime e il grado di coesione raggiunto da uno Stato composto da diverse etnie e nazionalità. Ebbene questa prova imposta all'Urss ha dimostrato la validità e la bontà del socialismo, la validità e la bontà della strada scelta per creare il nuovo sistema, la validità e la bontà di questo nuovo sistema sul piano economico, su quello relativo al rapporto tra masse popolari e potere, tra società e governo ed, infine, tra lo Stato centrale e le diverse Repubbliche socialiste costituenti l'Unione sovietica.
La ricostruzione impegnò ingenti risorse sia per quanto riguarda gli investimenti, che il lavoro. Del resto le distruzioni e i vandalismi attuati dalle truppe naziste in fuga avevano inferto terribili devastazioni al paese. Il bilancio delle perdite umane e materiali dell'Unione sovietica alla fine della II guerra mondiale non ha eguali nella storia dell'umanità. Tra militari e civili furono uccisi oltre 20 milioni di cittadini sovietici. I danni materiali vennero quantificati in 2.600 miliardi di rubli. Alla fine del 1945 i livelli di produzione erano diminuiti, rispetto all'anteguerra, del 10% per il carbone, del 38% per il petrolio, del 33% per l'acciaio, del 41% per la ghisa, del 59% per i tessuti. Nelle campagne vi era una riduzione delle aree coltivate pari a 37 milioni di ettari, mentre gli allevamenti avevano perso più di 7 milioni di capi di bestiame. In totale la produzione globale dell'agricoltura costituiva circa il 60% di quella d'anteguerra.
A questa grave situazione il Partito comunista, il governo e il popolo sovietico fecero fronte con decisione. E ciò avvenne ancor prima della fine della guerra. Già il 21 agosto 1943 infatti, vi fu un'importante risoluzione del CC del Partito comunista sulle misure urgenti da intraprendere per restaurare l'economia nelle zone liberate. Man mano che gli invasori nazisti venivano cacciati, iniziava, nei territori liberi, il lavoro di ricostruzione. Tutto il paese si mobilitò con slancio e abnegazione in questa nuova impresa. I lavoratori e le masse popolari sovietiche non si risparmiarono. Il loro lavoro si trasformò molto spesso in atti di vero e proprio eroismo. Citiamo ad esempio i minatori del Bacino del Donets che a rischio stesso della vita si calavano a lavorare nelle miniere invase dall'acqua, rimettendone in funzione oltre 1.000 in due anni; le donne di Stalingrado promotrici di un movimento di lavoro volontario per la ricostruzione della città; gli abitanti di Leningrado che nel 1944 effettuarono a titolo volontario 23 milioni di giornate di lavoro per la ricostruzione. E, di questi esempi, se ne potrebbero citare a migliaia. Questo impetuoso movimento, l'impegno lavorativo, l'alto livello di coscienza collettivo fecero sì che già prima della fine della guerra fossero attivi centri e impianti assai importanti per la vita e l'economia del paese quali la centrale idroelettrica del Dniepr; le centrali elettriche di Novomoskovsk, del Volkhov, di Zuerka, di Sterovka; le miniere del Bacino del Donets e numerosissimi altri ancora. Nel maggio del 1945 si concluse la II guerra mondiale.
Nel marzo del 1946 il Soviet Supremo varò il IV Piano quinquennale (1946-1950) per la ricostruzione e l'ulteriore sviluppo dell'economia nazionale. I compiti principali del Piano consistevano nel completamento dell'opera di ricostruzione, nel ristabilimento prima e nel superamento poi, delle condizioni d'anteguerra per quanto riguardava l'apparato produttivo e la capacità produttiva. Si doveva al più presto arrivare ad una normalizzazione della vita economica ed al rilancio dello sviluppo di pace. A questo scopo il Piano poneva come obiettivi una rapida riconversione dell'industria bellica; uno sviluppo equilibrato in tutto il paese della capacità produttiva e degli impianti produttivi, comprendendo in questo sviluppo anche le nuove Repubbliche sovietiche; un'attenzione particolare al problema abitativo attraverso l'ampliamento delle superfici abitabili e un forte incremento nella costruzione di nuove case. In agricoltura l'attenzione maggiore era rivolta all'aumento delle aree coltivabili, al forte incremento della meccanizzazione e, quindi, nella produzione di trattori e macchine agricole e ad un sensibile incremento dei capi di bestiame negli allevamenti. Lo sforzo di ricostruzione si giovò naturalmente dell'esperienza e delle capacità tecniche e umane acquisite negli anni precedenti la guerra; degli investimenti, davvero notevoli, ad esso destinati; e, fatto molto importante, dell'aiuto reciproco che i popoli e le diverse Repubbliche dell'Unione sovietica si sono dati tra loro in uno spirito di fratellanza e di amicizia marxista-leninista cementati dal comune impegno nella edificazione socialista. Il risultato di ciò fu che già nel 1947 la produzione industriale raggiunse i livelli di anteguerra. Nuove industrie sorsero in Transcaucasia, nell'Uzbekistan, in Azerbaijan e in Ucraina. Nella zona di Leningrado si sviluppò in modo particolare l'industria meccanica e delle costruzioni navali e particolare attenzione fu data anche alla produzione e alla distribuzione dell'energia. Fabbriche di alluminio vennero attivate in Armenia e nella zona degli Urali, un impianto per la lavorazione dei minerali sorse in Kazakhstan. Nuove centrali elettriche furono costruite tra l'altro in Georgia, in Armenia, in Azerbaijan, in Uzbekistan. Va sottolineato il ruolo svolto in questo settore, dai giovani comunisti. Nel 1947 il cantiere sorto a Ust-Kamenogorsk in Kazakhstan venne dichiarato cantiere della gioventù. Alla costruzione di questa nuova centrale idroelettrica lavorarono oltre 4.000 giovani del Komsomol, l'80% di tutti gli operai.
Per quanto riguarda l'agricoltura, lo sforzo di ricostruzione e di sviluppo fu reso più difficile dalla presenza soprattutto di due specifiche problematiche. La prima era una diretta conseguenza della guerra. Sebbene tutto il paese avesse subito notevoli danni, la distruzione subita dalle zone agricole richiedeva di fatto tempi più lunghi per il ripristino di condizioni normali. Bisognava innanzitutto bonificare milioni di ettari di terreno, rimetterlo a coltura e questo contando su minori risorse sia in termini di materiali che, purtroppo, di uomini. Le perdite umane nelle campagne erano state molto pesanti, soprattutto per quel che riguardava le vittime civili. In particolare il numero dei lavoratori agricoli abili al lavoro nel 1946 si era ridotto di oltre un terzo rispetto a prima della guerra. La seconda problematica fu causata dalle condizioni climatiche verificatesi nel 1946, che portarono ad una siccità superiore anche a quella che colpì il paese nel 1921 e che interessò in particolare le zone del Caucaso, del Basso Volga, delle Terre Nere, della Moldavia e dell'Ucraina. Esperti del settore, anche occidentali, hanno evidenziato che se l'agricoltura fosse stata ancora basata sulla forma capitalistica, sulla proprietà e la conduzione privata, gli effetti della siccità avrebbero distrutto milioni di aziende. Fu l'organizzazione socialista dell'agricoltura a consentire, pur tra le inevitabili difficoltà, il superamento di tutte le problematiche e gli aspetti negativi presenti in questo settore. Fu rafforzata in particolare la produzione di macchine agricole che di anno in anno affluivano in misura sempre maggiore ai vari colcos e sovcos, e la produzione di concimi. Questo allo scopo di ottenere una migliore produttività in termini quantitativi e qualitativi delle colture. Il Partito comunista dedicò notevole attenzione e grande impegno al settore agricolo e alla risoluzione dei problemi presenti in esso.
Il Partito promosse e sviluppò la partecipazione dal basso al lavoro di ricostruzione dell'agricoltura. In particolare colpì con decisione, anche al suo interno, ogni violazione dei principi democratici nella gestione dei colcos, punendo le violazioni degli statuti cooperativi, i funzionari responsabili di furti, indebite appropriazioni, dell'impiego improprio del terreno sociale e in genere di ogni violazione alle leggi e alle norme che regolavano il settore.
I lavoratori agricoli socialisti realizzarono con impegno, responsabilità ed entusiasmo i loro obiettivi. L'emulazione socialista si generalizzò tra i contadini ed oltre 165 mila di essi meritarono riconoscimenti per il lavoro svolto. In particolare 5.500 lavoratori agricoli furono insigniti del titolo di Eroe del Lavoro Socialista. La collettivizzazione dell'agricoltura fu estesa anche alle nuove Repubbliche sovietiche. Qui, i kulak, i nazionalisti e altri elementi borghesi cercarono di arginare l'impetuoso movimento per la collettivizzazione anche attraverso criminali attentati terroristici contro i colcos, contro i contadini di avanguardia e contro i militanti comunisti, ma la loro resistenza venne stroncata con successo ed in breve tempo.
Lo slancio rivoluzionario con il quale si era affrontato il lavoro di ricostruzione fece sì che l'obiettivo del IV Piano quinquennale venne raggiunto e, in alcuni casi superato, qualche mese prima della sua scadenza naturale.
- Nel settore industriale entrarono in funzione 6.200 aziende, contando sia quelle ristrutturate che quelle di nuova costruzione. Tutte le Repubbliche dell'Unione sovietica superarono il volume di produzione del periodo antecedente la guerra. Nel 1950 venivano complessivamente prodotti in Urss oltre 19 milioni di tonnellate di acciaio, 36 milioni di tonnellate di ghisa, 261 milioni di tonnellate di carbone, 38 milioni di tonnellate di petrolio. La produzione di energia elettrica era di circa 91 miliardi di kilowattora. La produzione globale di tutta l'industria crebbe di ben il 73% rispetto all'anteguerra. Lo sviluppo tecnologico ebbe un impulso notevole e, in alcuni settori, l'industria sovietica poté vantare macchinari di altissima qualità e una tecnologia all'avanguardia nel mondo. Ciò contribuì in misura notevole al sensibile aumento della produttività del lavoro che crebbe del 37%. La classe operaia ebbe un ulteriore incremento numerico. Alla fine del 1950 l'industria occupava circa 38 milioni e 900 mila lavoratori tra operai ed impiegati, con un incremento di 7,7 milioni di occupati rispetto al 1940.
- Nel settore agricolo, stante la situazione precedentemente descritta, non si registrò un eguale successo per quanto riguarda l'incremento dello sviluppo. Tuttavia il IV Piano quinquennale raggiunse l'importante obiettivo della piena riorganizzazione del settore soprattutto grazie all'unificazione di vari colcos e alla ristrutturazione e rafforzamento dei sovcos. Nel 1950 i sovcos erano circa 5.000, 289 più del 1940. Complessivamente la produzione globale agricola raggiunse alla fine del piano il 99% del livello prebellico, ma con un incremento di produzione tra il 1946 e il 1950 del 70%. Grazie al grosso sforzo in fatto di meccanizzazione la produttività del settore crebbe comunque di circa l'8% rispetto al 1940. Buoni successi si registrarono in taluni ambiti quali quello della produzione di cotone e quello relativo ai prodotti dell'allevamento; mentre i problemi più seri si ebbero soprattutto relativamente alla produzione cerealicola ed alle aree seminate e, come si può notare, qui si riscontrarono maggiormente gli effetti negativi conseguenti alla guerra e alla siccità del 1946.
- Sul piano finanziario si ottenne un rafforzamento ed una stabilizzazione del sistema grazie alla riforma monetaria e alla abolizione del tesseramento annonario per i prodotti alimentari e industriali. Entrambi questi provvedimenti furono presi alla fine del 1947. L'effetto che produssero permise un aumento del potere d'acquisto del rublo ed un consistente abbassamento dei prezzi. Ciò fece sì che aumentassero il salario reale di operai e impiegati e le entrate degli agricoltori collettivi, con un miglioramento delle condizioni dei lavoratori e un incremento del reddito nazionale del 164% rispetto a quello del 1940.
- Sul piano sociale vennero stanziate forti risorse per far fronte ai problemi più urgenti e migliorare la qualità della vita dei lavoratori soddisfacendone maggiormente i bisogni soprattutto in relazione ai problemi dell'assistenza sanitaria e della casa. Nel settore sanitario venne portata a termine la ricostruzione degli ospedali, delle case di cura e di riposo distrutti durante la guerra e ne vennero costruiti di nuovi. Contestualmente crebbe il numero dei medici. Nel 1950 i sanitari che operavano nel paese erano all'incirca 265 mila, 110 mila in più rispetto al 1940. La mortalità era diminuita di tre volte rispetto al 1913. Nel settore dell'edilizia abitativa l'obiettivo del IV Piano venne superato di circa il 21%. In termini quantitativi vennero costruiti nelle città 102,8 milioni di mq di aree abitabili e oltre 2 milioni e 700 mila case nelle località di campagna.
Alla fine del IV Piano quinquennale l'Unione sovietica è uno Stato socialista con una solida base produttiva e una società in cui il permanere dell'alleanza tra la classe operaia, la classe degli agricoltori collettivi e socialisti e gli intellettuali, permetteva di continuare ad avanzare sulla strada dell'ulteriore consolidamento del socialismo. Queste classi e gruppi sociali rappresentavano la base sociale di questo grande processo di trasformazione e la classe operaia ne era il perno, la guida fondamentale e il nucleo direttivo a livello politico della società e del potere sovietici. Dall'affermazione della Rivoluzione d'Ottobre e dall'inizio del processo di costruzione del socialismo, la classe operaia è radicalmente cambiata. è cambiata sul piano delle conoscenze acquisite, delle capacità acquisite, di una più matura e salda coscienza ideologica e di classe acquisita. Il ruolo centrale in questa crescita e maturazione della classe operaia è stato svolto dalla sua avanguardia politica, il Partito comunista di Lenin e di Stalin. In quel momento storico il proletariato in Urss aveva preso coscienza del suo ruolo nella società, un ruolo cresciuto di pari passo allo sviluppo della lotta per il socialismo.
L'operaio, all'inizio del processo di costruzione del socialismo in Unione sovietica, era di estrazione contadina, con i retaggi tipici della mentalità e della ideologia contadina basate essenzialmente sull'individualismo. Anche nel periodo di sviluppo dell'industrializzazione e della pianificazione, sono state le campagne a fornire la manodopera industriale. E questo ha comportato problemi particolari e specifici, legati alla situazione concreta. I principali fra essi furono quelli legati alle modalità del reclutamento industriale ed alla stabilità di impiego. A questo proposito è bene fare un inciso che, sebbene in quest'ambito non può certo costituire un'analisi esauriente e dettagliata di questa problematica, si rende tuttavia necessario soprattutto per sgombrare il campo da grossolane e perverse falsificazioni storiche attuate dai nemici del socialismo.
Il reclutamento industriale avvenuto nel periodo di accelerazione del processo di industrializzazione e dello sviluppo pianificato, fu tutt'altra cosa rispetto a quella sorta di sradicamento e di esodo forzato della popolazione contadina descritto dalla borghesia e dai revisionisti.
Nel passaggio da un'economia agricola ad un'economia industriale, il problema della sovrappopolazione contadina è insito e connaturato a questo processo. Tutte le società dall'avvento della rivoluzione industriale in poi, hanno dovuto necessariamente affrontare questo problema. Nello specifico della realtà sovietica il forte impegno nell'industrializzazione del paese, da un lato, e la collettivizzazione e la meccanizzazione dell'agricoltura, dall'altro, hanno determinato la necessità per l'industria di avere un bisogno sempre maggiore di operai da immettere nel processo produttivo, mentre nelle campagne si registrava una crescita più accentuata della sovrappopolazione agricola. Stante questa situazione, il governo sovietico intervenne creando un sistema di "assunzione organizzata''. Questo sistema si basava sulla collaborazione estesa in forma capillare a tutto il paese, tra le direzioni delle singole industrie (composte dal direttore, dal segretario della struttura di fabbrica del Partito e dal presidente del Comitato di fabbrica, la struttura di base del sindacato nelle aziende) e le direzioni delle aziende agricole collettive.
Attraverso la stipula di accordi annuali tra le aziende dei due settori, le fabbriche assumevano la sovrappopolazione agricola delle campagne. Un aspetto molto importante dei contratti tra le aziende industriali e le aziende agricole collettive consisteva nel fatto che questi contratti dovevano essere attuati sulla base dell'adesione volontaria dei lavoratori.
Questo era il metodo di "assunzione organizzata''. Un metodo basato sul convincimento e non sulla coercizione. Attraverso questo metodo l'industria assunse, nei tre piani quinquennali attuati prima dello scoppio della guerra, circa un milione e mezzo di operai all'anno e tra il 1926 e il 1939 si trasferirono dalle campagne alle città, circa ventiquattro milioni di persone. Stalin e il Partito comunista sovietico prestarono molta attenzione alla risoluzione di questi problemi, senza mai perdere di vista l'importanza primaria della lotta e dell'educazione ideologica che superasse l'individualismo, l'ossessione egoistica del bene personale, per sostituirli con una radicata coscienza di classe basata sulla socialità, sull'interesse comune, sulla ricerca del benessere collettivo come espressione massima dell'impegno e dell'azione individuale. Accanto alla crescita culturale, accanto all'acquisizione di sempre più alte capacità tecniche e professionali, accanto alla diffusione capillare degli organismi di controllo e di gestione di ogni singola unità produttiva e alla partecipazione attiva ad essi accanto a tutto questo fu il lavoro politico ideologico l'elemento determinante in grado di formare un proletariato cosciente ed una classe operaia capace di dirigere economicamente e politicamente tutta la società, ai suoi vari livelli.
Dal 5 al 14 ottobre 1952 si svolse a Mosca il XIX Congresso del Pcus, questo il nuovo nome approvato dall'Assise congressuale, al quale parteciparono le delegazioni di partiti operai e comunisti di quarantaquattro paesi. Era il primo Congresso che si teneva dopo la guerra e in un contesto internazionale completamente nuovo e in rapida evoluzione. L'aspetto più importante della nuova situazione era rappresentato dal fatto che l'Urss non era più l'unico paese socialista nel mondo, in quanto molte altre nazioni, tra cui la Repubblica Popolare Cinese, procedevano ora sullo stesso cammino.
Il XIX Congresso del Pcus sottolineò come l'obiettivo primario della politica interna del Partito doveva essere quello dell'elevamento del livello di vita del popolo sovietico, del miglioramento del suo benessere materiale e culturale. Stalin nella sua ultima opera "Problemi economici del socialismo nell'Urss'', redatta nel corso del 1952, mise in evidenza questa necessità, soprattutto attraverso la definizione delle leggi economiche fondamentali che sono alla base dei diversi sistemi capitalistico e socialista. Così Stalin, sintetizzò queste leggi: "I tratti principali e le esigenze della legge economica fondamentale del capitalismo contemporaneo potrebbero formularsi all'incirca in questo modo: realizzazione del massimo profitto capitalistico mediante lo sfruttamento, la rovina e l'impoverimento della maggioranza della popolazione di un determinato paese, mediante l'asservimento e la spoliazione sistematica dei popoli degli altri paesi, particolarmente dei paesi arretrati e, infine, mediante le guerre e la militarizzazione dell'economia nazionale, utilizzate per realizzare i profitti massimi''.
E ancora: "I tratti essenziali e le esigenze della legge economica fondamentale del socialismo potrebbero formularsi all'incirca in questo modo: assicurazione del massimo soddisfacimento delle sempre crescenti esigenze materiali e culturali di tutta la società, mediante l'aumento ininterrotto e il perfezionamento della produzione socialista sulla base di una tecnica superiore''(12).
Le argomentazioni esposte nei "Problemi economici del socialismo nell'Urss'', ponevano altresì una serie di problematiche rilevanti non solo sul piano dell'analisi economica e Stalin e il Partito comunista vollero che a tutti i livelli della società si sviluppasse un ampio dibattito su queste tematiche di fondamentale importanza per il corretto sviluppo del processo di costruzione del socialismo. Confutando le interpretazioni dell'economista Iaroscenko alle sue tesi, Stalin sostiene che: "Scopo della produzione socialista non è il profitto, ma l'uomo con i suoi bisogni, cioè il soddisfacimento delle sue esigenze materiali e culturali. (...) Il compagno Iaroscenko ritiene che qui si tratti del `primato' del consumo sulla produzione. Questa, naturalmente, è una sciocchezza. In effetti si tratta qui non di un primato del consumo, ma della subordinazione della produzione socialista al suo fondamentale scopo di garantire il massimo soddisfacimento delle esigenze materiali e culturali, in costante aumento, di tutta la società. Quindi la garanzia del massimo soddisfacimento delle esigenze materiali e culturali, in costante aumento, di tutta la società, è lo scopo della produzione socialista; l'aumento ininterrotto e il perfezionamento della produzione sulla base di una tecnica superiore è il mezzo per raggiungere questo scopo. Questa è la legge economica fondamentale del socialismo. Volendo conservare il cosiddetto primato della produzione sul consumo, il compagno Iaroscenko afferma che `la legge economica fondamentale del socialismo' consiste `nell'aumento ininterrotto e nel perfezionamento della produzione delle condizioni materiali e culturali della società'. Questo non è affatto vero. (...) Per lui la produzione da mezzo si trasforma in scopo, e la garanzia del massimo soddisfacimento delle esigenze materiali e culturali, in costante aumento, della società, viene esclusa. (...) Non vi è dunque da stupirsi se insieme alla scomparsa dell'uomo, come scopo della produzione socialista, scompaiono dalla `concezione' del compagno Iaroscenko gli ultimi resti di marxismo. In questo modo si giunge nel compagno Iaroscenko non al `primato' della produzione sul consumo, ma ad una specie di `primato' dell'ideologia borghese sull'ideologia marxista''. Infine, sottolineiamo l'esposizione, da parte di Stalin, di una tesi assai importante circa l'esistenza delle contraddizioni nel socialismo: "Il compagno Iaroscenko sbaglia affermando che nel socialismo non esiste nessuna contraddizione tra i rapporti di produzione e le forze produttive della società. Naturalmente, i nostri attuali rapporti di produzione attraversano un periodo in cui, corrispondendo appieno alla crescita delle forze produttive, le fanno procedere in avanti a passi da gigante. Ma non sarebbe giusto accontentarsi di questo e ritenere che non esista nessuna contraddizione tra le nostre forze produttive e i rapporti di produzione. Contraddizioni esistono senz'altro ed esisteranno, in quanto lo sviluppo dei rapporti di produzione ritarda e ritarderà rispetto allo sviluppo delle forze produttive. Con una giusta politica degli organismi dirigenti queste contraddizioni non possono trasformarsi in contrasto, e non si può giungere a un conflitto tra i rapporti di produzione e le forze produttive della società. Ma non sarebbe così se facessimo una politica sbagliata, del genere di quella raccomandata dal compagno Iaroscenko. In tal caso il conflitto sarebbe inevitabile, e i nostri rapporti di produzione potrebbero trasformarsi in un freno molto serio dell'ulteriore sviluppo delle forze produttive''(13).
Stalin osserva inoltre che le argomentazioni sostenute da Iaroscenko non sono per nulla nuove, ma riconducono alle vecchie tesi già espresse da Bucharin e confutate da Lenin e dallo stesso Stalin.
La costruzione del socialismo in Urss, del resto, non fu certo un processo lineare e privo di conflitti. Tutt'altro. Fece emergere contraddizioni i cui effetti attraversarono la società, il governo e il Partito. La lotta di Stalin contro i vari Trotzki, Zinoviev, Kamenev, Bucharin, Rikov, Tomski, ecc., fu una vittoria contro la borghesia di cui questi revisionisti e controrivoluzionari, erano i rappresentanti. La loro sconfitta determinò la convinzione che fosse definitivamente scomparsa in Urss anche la borghesia. Questa fu una opinione errata e quanto affermato da Stalin nei "Problemi economici del socialismo nell'Urss'' costituisce anche un riconoscimento di questo errore. Stalin, come abbiamo visto, pone ora all'attenzione l'esistenza delle classi e delle contraddizioni di classe nel socialismo. Sarà poi Mao che, analizzando a fondo tutta l'esperienza storica del proletariato e le esperienze di costruzione del socialismo in Urss, in Cina e negli altri Stati socialisti, chiarirà dal punto di vista teorico che la vittoria della Rivoluzione e l'affermazione del socialismo non sono, di per sé, un fatto irreversibile, acquisito una volta per tutte; ma che in tutto il periodo di transizione al comunismo continuerà la lotta tra proletariato e borghesia e sarà lo sviluppo della lotta di classe a determinare la vittoria del socialismo e la permanenza al potere della classe operaia. La Grande rivoluzione culturale proletaria cinese ideata e diretta da Mao sarà, sul piano pratico e dell'azione concreta, la realizzazione della teoria della continuazione della rivoluzione sotto la dittatura del proletariato.

IL COLPO DI STATO CONTRORIVOLUZIONARIO DEL RINNEGATO REVISIONISTA KRUSCIOV
In Urss Krusciov e la sua banda revisionista sono stati gli alfieri della borghesia sovietica; gli iniziatori del programma di disgregazione del primo Stato socialista e del movimento comunista internazionale.
Con la morte di Stalin sono usciti allo scoperto, dando impulso alla loro lotta contro il proletariato, la rivoluzione e il socialismo; iniziando a ordire la loro trama golpista per assicurarsi il pieno controllo del Partito, dell'esercito e dello Stato sovietici; eliminando, mai attraverso lotte politiche che coinvolgessero le masse ma attraverso colpi di mano e intrighi di palazzo, tutti coloro che potevano essere di ostacolo ai loro piani di restaurazione. Eletto, nel settembre del 1953, primo segretario del CC del Pcus Krusciov inizia da subito una vasta campagna di riabilitazione di vecchi arnesi revisionisti, spalancando ad essi le porte del Partito, assicurandosi sostegno per la sua politica.
La trama golpista di Krusciov ha il suo punto di approdo al XX Congresso del Partito, svoltosi a Mosca nel febbraio 1956. Con un ultimo colpo di mano, a fine congresso, informando all'ultimo momento tanto il gruppo dirigente che i delegati, convoca una seduta notturna nella quale legge il suo famigerato "rapporto segreto''. Il documento intitolato "Sul culto della personalità e le sue conseguenze'' è stato un ignobile attacco alla figura e all'opera di Stalin. Un documento che ha vomitato le più infamanti ingiurie sulla memoria di Stalin, che lo calunniava malignamente, accusandolo falsamente di ogni sorta di crimini. Un documento criminale, come criminale era lo scopo a cui doveva servire. Creare disorientamento e scompiglio in Urss come negli altri paesi socialisti e nel movimento comunista internazionale, favorendo gli elementi revisionisti e dando un'arma in più al capitalismo, all'imperialismo e alla loro propaganda, nella lotta contro il socialismo. Per questo il lercio rapporto fu tenuto nascosto al Partito sovietico e ai partiti del movimento comunista internazionale fino a cose fatte e, per questo, fu subito fatto filtrare nelle mani degli imperialisti. Il Dipartimento di Stato degli Usa, infatti, ne entrò subito in possesso e decise di farlo pubblicare dal "New York Times'' il 5 luglio 1956.
Ridare spazio e potere alla borghesia sovietica era l'obiettivo principale del revisionismo kruscioviano. Per realizzare questo obiettivo era necessario mutare radicalmente la politica di costruzione del socialismo portata avanti da Stalin.
Krusciov si è quindi violentemente scagliato contro Stalin, ha tentato di contrapporre il suo pensiero e la sua azione al pensiero e all'azione di Marx, Engels e Lenin, per ingannare la classe operaia sovietica e internazionale e cercare di nascondere il vero scopo del revisionismo: distruggere alle radici la teoria rivoluzionaria marxista-leninista.
Il XX Congresso del Pcus è stato e resta la linea di demarcazione tra il revisionismo moderno ed il marxismo-leninismo. In questo congresso infatti, si sono gettate le basi per snaturare completamente:
- l'esercizio diretto del potere da parte della classe operaia, contrapponendo alla dittatura del proletariato il cosiddetto "Stato di tutto il popolo'', che attraverso la mistificazione del superamento delle classi consoliderà il potere della borghesia monopolistica e la sua dittatura fascista;
- la concezione marxista-leninista del partito come espressione organizzata dell'avanguardia cosciente della classe operaia, contrapponendo ad essa il "partito di tutto il popolo'';
- la necessità della rivoluzione proletaria quale via indispensabile ed insostituibile per la conquista del potere politico da parte della classe operaia, contrapponendo ad essa le "vie parlamentari'' gettando così alle ortiche l'analisi e la teoria marxista-leninista dello Stato e della sua natura di classe.
Sul piano politico ed economico Krusciov lancia la sua campagna per la "riforma del sistema'', che riporterà ben presto l'Urss nell'alveo del capitalismo, aggravando nel contempo la condizione materiale delle masse popolari e le condizioni di lavoro tanto nelle città che nelle campagne. In ogni settore dell'economia il profitto diviene lo scopo principale della produzione e il parametro di valutazione di ogni azienda. La prima conseguenza di ciò sarà la perdita di ogni potere in ogni luogo di produzione tanto dell'assemblea dei lavoratori, che degli organismi di controllo operaio e un radicale mutamento dell'organizzazione del lavoro.

LA SALITA DEL REVISIONISMO AL POTERE E' LA SALITA DELLA BORGHESIA AL POTERE
Tutte le funzioni di direzione nelle aziende passano ai direttori, dalla fissazione e attuazione dei piani di produzione alla gestione diretta dell'attività lavorativa. Nelle fabbriche vengono cambiati i regolamenti interni, agli operai viene imposta una rigida disciplina e, per elevare la produttività, viene introdotto in modo massiccio e generalizzato il sistema degli incentivi materiali. Anche il sistema di pianificazione economica viene snaturato.
Nel maggio 1957, attraverso una apposita legge, vennero istituiti i consigli economici regionali, ai quali venne demandato ogni potere di direzione tanto sull'economia che sulle industrie locali. Ciò comportò una crescita notevole di squilibri sia tra le diverse Repubbliche che, all'interno stesso di ogni singola zona, tra i diversi settori economici. Saltato completamente il sistema di pianificazione generale, questa nuova organizzazione fallì completamente anche rispetto al coordinamento fra i piani e sulla distribuzione dei fondi tra le diverse Repubbliche.
L'unico settore a rimanere sotto la gestione diretta dei ministeri centrali fu quello relativo all'industria degli armamenti. E ciò non a caso, dato che sul piano internazionale il revisionismo kruscioviano portava l'Urss ad assumere posizioni marcatamente sciovinistiche e a muoversi nell'arena mondiale come una grande potenza con precise ambizioni imperialistiche.
Nel settore dell'agricoltura l'impatto della "riforma'' kruscioviana ebbe conseguenze ancora più pesanti che negli altri settori economici. "Liberalizzazione'' è la parola d'ordine lanciata da Krusciov. L'obiettivo è smantellare il sistema collettivistico e restaurare il capitalismo nelle campagne. E infatti una parte consistente dei finanziamenti destinati all'agricoltura, viene utilizzata per fornire prestiti per l'affitto a privati di terreno coltivabile e per l'acquisto privato di bestiame e gli stessi lavoratori agricoli collettivi vengono incentivati più che a valorizzare e far progredire i colcos e i sovcos, a sfruttare al meglio gli appezzamenti individuali e gli allevamenti privati, i cui prodotti verranno venduti nel "mercato libero'' reintrodotto su larga scala in tutto il paese. Il risultato di questa politica sarà lo sgretolamento di fatto della gestione collettiva dell'economia agricola pianificata, il decremento costante della produttività di colcos e sovcos e della fornitura dei prodotti agricoli allo Stato che, per far fronte all'insufficiente approvvigionamento ed al mancato sviluppo della produzione agricola interna, dovrà ricorrere ad una sempre crescente importazione di cereali dall'occidente e dagli Stati Uniti in particolare.
Il tratto distintivo della politica di Krusciov in agricoltura è il lancio di obiettivi diversi senza alcuna base di analisi reale della situazione che avranno tutti, senza eccezione alcuna, un esito fallimentare lasciando però conseguenze assai pesanti sulle condizioni di vita della maggioranza della popolazione agricola. Fu così per i programmi delle "terre vergini''; per il "balzo in avanti dell'allevamento'' che avrebbe dovuto portare in cinque anni (1957-1962) al triplicamento della produzione di carne, di latte e derivati; per "la campagna del mais'' la cui coltura venne estesa anche a zone climaticamente non adatte provocando sia la perdita dei raccolti che il peggioramento, quando non addirittura la distruzione, della praticoltura e la conseguente perdita della fienagione. Di fatto gli unici "successi'' della politica agraria kruscioviana si concentrarono nello sviluppo della produttività del settore privato dell'agricoltura a scapito di quello collettivistico e socializzato. Le conseguenze di ciò emersero appieno nel 1963, anno di carestia. Di fronte al cattivo raccolto emerse la realtà della assoluta carenza delle riserve di grano accumulate dallo Stato, indispensabili proprio per far fronte a possibili calamità naturali. In tutto il paese mancò il pane e si dovette ricorrere al razionamento alimentare ed al massiccio acquisto di grano all'estero (oltre tredici milioni di tonnellate) con un pesante onere finanziario per lo Stato che dovette attingere perfino alle riserve auree.
Il bilancio della "riforma agricola'' di Krusciov, in sintesi, si concretizzò nella reintroduzione massiccia e generalizzata dell'attività e del commercio privati, con il risorgere degli elementi capitalisti nelle campagne; con un mancato sviluppo della produttività del settore collettivistico e socializzato e l'indebitamento crescente dei lavoratori agricoli dei colcos; con una sostanziale stagnazione della produzione e, per quanto riguarda alcuni settori, addirittura un arretramento; con una difficoltà sempre crescente di approvvigionamento alimentare per soddisfare le esigenze della popolazione dell'intero paese.
Sul piano più generale la nuova borghesia dell'Urss cercava con ogni mezzo di accelerare il processo di restaurazione capitalistico e di distruzione del socialismo. Numerose furono le leggi varate da Krusciov tese a rinsaldare il potere, gli interessi e i privilegi della borghesia, della casta burocratica del partito, dell'esercito e dello Stato a scapito della classe operaia, dei lavoratori e dei ceti popolari. Nella società sovietica tornava in tutta la sua asprezza a mostrarsi il divario fra le classi, la differenziazione di classe, la divisione tra lavoro manuale e lavoro intellettuale, il disprezzo per il lavoro operaio, tutte le manifestazioni, insomma, tipiche della società e dell'ideologia borghesi.
Tra queste leggi vanno segnalate la riforma del sistema scolastico, in base alla quale l'istruzione superiore e universitaria divenne appannaggio quasi esclusivo dei rampolli delle nuove classi dominanti e di difficile accesso per i figli delle famiglie operaie e contadine; l'introduzione attraverso atti legislativi di particolari privilegi per i membri degli apparati politico, ministeriale, della ricerca, per i militari e gli agenti dei Servizi di sicurezza dello Stato. Privilegi che andavano da un miglior trattamento pensionistico, alla riduzione per metà del costo degli affitti, all'uso gratuito dei trasporti pubblici, a soggiorni annuali gratuiti in luoghi di cura e nei centri di villeggiatura, ecc.
Tutto questo mentre, di pari passo, si aggravavano le condizioni di vita e di lavoro della classe operaia, dei lavoratori agricoli e delle masse popolari che dovevano far fronte ad un pesante attacco ai salari, a gravi problemi anche occupazionali, a difficoltà sempre crescenti inerenti la casa e l'approvvigionamento alimentare. Problemi questi che provocarono anche dure lotte in varie fabbriche e località del paese, sfociate anche in manifestazioni di piazza con scontri e sanguinose repressioni da parte di esercito e polizia.
Tutta l'azione svolta dalla cricca revisionista di Krusciov è stata diretta ad accrescere il potere politico ed economico dello strato privilegiato borghese dell'Urss. Da questo strato privilegiato è emersa una nuova borghesia, la borghesia monopolista burocratica che attraverso il controllo del potere statale ha trasformato la proprietà socialista in una sua proprietà e l'economia socialista in economia del capitalismo monopolistico di Stato.
La società che ne è emersa è una vera e propria società capitalistica imperniata sul dominio assoluto della borghesia monopolista burocratica e su un'economia il cui scopo è l'ottenimento del massimo profitto per la borghesia monopolista burocratica, attraverso l'intensificarsi dello sfruttamento della classe operaia e del popolo lavoratore sul piano interno e lo sviluppo di una politica di espansione e di aggressione sul piano internazionale. Mao, in riferimento alla cricca revisionista di Krusciov, è stato puntuale e perentorio nel giudizio: "La salita del revisionismo al potere significa la salita della borghesia al potere'' (da una Conversazione dell'agosto 1964); e ancora: "L'Unione Sovietica di oggi è sotto la dittatura della borghesia, una dittatura della grande borghesia, una dittatura di tipo fascista tedesco, una dittatura di tipo hitleriano'' (da una Conversazione dell'11 maggio 1964).

I REVISIONISTI TRASFORMANO L'URSS IN UN PAESE SOCIALIMPERIALISTA
Nell'ottobre del 1964 l'aggravarsi della situazione interna all'Urss, così come la situazione internazionale, spingono la borghesia monopolista burocratica dell'Urss ad accantonare Krusciov e a sostituirlo, tramite l'ennesimo intrigo di palazzo, con Breznev. In molti si mobilitano per accreditare la tesi che questo fatto rappresenti un cambiamento nella politica dell'Unione sovietica. Niente è più falso di questo. Breznev è stato fin dall'inizio un esponente di spicco della cricca revisionista kruscioviana e un alacre sostenitore e realizzatore della sua politica. La sua stessa "carriera'' nel Partito e nello Stato sovietici è stata favorita e protetta da Krusciov, sin da quando questi era segretario del Partito in Ucraina. Dopo la morte di Stalin, Breznev viene messo a capo della direzione politica della marina militare e successivamente nominato, dapprima segretario del Partito di Kazahstan, e quindi presidente del Soviet supremo dell'Urss. Breznev ha sviluppato il revisionismo kruscioviano, completando l'opera di restaurazione capitalistica culminata con la nascita e lo sviluppo del socialimperialismo. Breznev ha legalizzato in Urss il principio capitalistico del profitto, ha intensificato lo sfruttamento, ha sviluppato la militarizzazione dell'economia nazionale, la corsa al riarmo convenzionale e nucleare per sostenere le ambizioni espansionistiche ed egemoniche del socialimperialismo.
La cosiddetta "dottrina Breznev'' è l'espressione diretta della politica socialimperialista di aggressione ed espansione. Essa aveva come capisaldi le teorie "della sovranità limitata''; "della dittatura internazionale''; "della comunità socialista''; "della divisione internazionale del lavoro''; "degli interessi coinvolti''.
Altro che socialismo! La "dottrina Breznev'' esposta in queste teorie altro non è che l'espressione diretta di una nuova politica coloniale e dell'affermazione della propria egemonia sul mondo. Socialismo a parole, imperialismo nei fatti! I principi marxisti-leninisti sulle relazioni tra gli Stati socialisti e i principi dell'internazionalismo proletario si basano sull'assoluta uguaglianza e la completa parità nelle relazioni tra Stati; sull'appoggio e l'assistenza reciproci; sulla non ingerenza negli affari interni; sul rispetto dell'integrità territoriale, della sovranità e dell'indipendenza nazionale; sull'uguaglianza e il vantaggio reciproco negli scambi commerciali; sul mutuo aiuto sia tra gli Stati socialisti, che fra questi e i paesi dell'Asia, dell'Africa e dell'America Latina, per promuovere lo sviluppo armonico in tutti i paesi di una economia nazionale indipendente e autonoma. Cosa hanno a che spartire questi principi marxisti-leninisti e dell'internazionalismo proletario, con la "dottrina Breznev''? Assolutamente nulla! E cosa ha invece in comune la "dottrina Breznev'', con la politica neocolonialista e imperialista? Assolutamente tutto!
In competizione con l'imperialismo americano per imporre il proprio dominio economico, il socialimperialismo sovietico ha calpestato i legittimi diritti dei popoli e la sovranità delle nazioni; opprimendo i paesi assoggettati alla sua "sfera di influenza'', attuando una politica neocoloniale nei paesi del Terzo mondo per depredarli di ricchezze e di materie prime ed utilizzarne i territori per installare basi militari strategicamente utili dal punto di vista del controllo e dello sviluppo espansionistico, giungendo a occupare e invadere militarmente i paesi che minacciavano la stabilità e lo sviluppo aggressivo socialimperialista. La gloriosa Armata Rossa, che quando l'Urss era il paese socialista a cui guardava con fiducia e orgoglio il proletariato mondiale, è stato l'esercito che ha riportato libertà e speranza a tanti popoli e paesi, infliggendo un colpo mortale alla barbarie nazifascista, è stata trasformata e utilizzata dal socialimperialismo sovietico in uno strumento militare di aggressione e di oppressione. L'occupazione militare della Cecoslovacchia attuata il 21 agosto 1968, così come l'invasione dell'Afghanistan attuata tra il 24 e il 26 dicembre 1979 sono l'espressione diretta del tradimento revisionista e dello scempio fatto non solo degli ideali del socialismo, ma di tutti i principi teorici e pratici del marxismo-leninismo.
L'attuazione di questa politica inoltre ha avuto conseguenze drammatiche per i lavoratori e il popolo sovietico. La militarizzazione dell'economia sovietica, necessario supporto allo sviluppo del socialimperialismo, ha causato uno sviluppo del tutto insufficiente delle industrie e delle risorse economiche necessarie al soddisfacimento dei bisogni materiali e culturali del popolo e una forte dipendenza dell'Urss dal mercato estero per quanto riguarda l'approvvigionamento alimentare. Tutto ciò ha comportato un netto peggioramento delle condizioni di vita delle masse popolari sovietiche e una costante degenerazione, tipica delle società borghesi, dei rapporti sociali e della vita sociale. Questa politica e la società che ne è scaturita, non hanno nulla a che vedere con l'Urss socialista costruita da Lenin e Stalin.
Un lungo filo nero lega Krusciov, Breznev, Andropov, Cernienko e Gorbaciov. E questi ultimi a Eltsin e all'attuale caporione fascista, sciovinista e neozarista Putin. è il filo nero attraverso cui il moderno revisionismo, prima di essere a sua volta sconfitto nelle sue brame di potere e nelle sue mire egemoniche, ha disintegrato l'Urss riconsegnando le varie repubbliche dell'ex Unione Sovietica alle rispettive borghesie nazionali.
La realtà storica che ci sta di fronte ci ha ampiamente dimostrato che il revisionismo al potere ha trasformato l'Urss, il primo grande Stato socialista, in una potenza socialimperialista; ha trasformato tanti altri Stati socialisti nel mondo in paesi dipendenti e ridotti al rango di colonie (Cecoslovacchia, Cuba, ecc.). Il revisionismo in ogni paese in cui ha usurpato il potere ha causato gravi dissesti in campo economico e sociale, ha compromesso lo sviluppo dell'industria, dell'agricoltura, ha provocato inflazione, insufficienza nei rifornimenti e penuria di merci, immiserendo via via i lavoratori e le masse popolari. Questo è quanto hanno saputo "costruire'' i moderni revisionisti, gli artefici e gli epigoni del XX congresso. Spacciandosi per marxisti e per leninisti, questi traditori controrivoluzionari hanno distrutto gli Stati socialisti; spacciandosi per costruttori del socialismo hanno sfruttato e inferto sofferenze ai popoli dei loro paesi, hanno oppresso e soggiogato i popoli di altre nazioni; nel nome del socialismo hanno perpetrato i crimini più infami ledendo così l'immagine e la credibilità del socialismo stesso.

LA LOTTA PER IL SOCIALISMO IN ITALIA VIVE NEL PMLI
Nonostante tutto questo la classe operaia, il proletariato e i rivoluzionari di tutto il mondo sanno bene che il loro avvenire è solo nel socialismo. L'azione dei marxisti-leninisti e degli autentici rivoluzionari nei vari paesi, se saprà ispirarsi e rimanere saldamente ancorata al marxismo-leninismo-pensiero di Mao e all'esperienza e agli insegnamenti di Marx, Engels, Lenin, Stalin e Mao, saprà presto riportare in auge il socialismo.
In Italia è il PMLI a tenere alta e bene in vista la bandiera rossa del socialismo. Il IV Congresso nazionale del Partito lo ha evidenziato in maniera estremamente chiara e inequivocabile.
Il PMLI è impegnato sul piano sociale e politico non solo a difendere gli interessi della classe operaia e delle masse popolari, a migliorarne le condizioni materiali e di vita, ma a legare questi aspetti al pieno sviluppo della lotta di classe e della coscienza sulla necessità della conquista del socialismo. Ne è una prova il Nuovo Programma d'azione approvato dal Comitato centrale del Partito il 17 febbraio 2001.
Il PMLI è impegnato a difendere sul piano teorico e pratico l'integrità ideologica del socialismo dagli attacchi e dai tentativi di snaturamento messi in atto, oggi come nel passato, da vecchi e nuovi revisionisti, da falsi comunisti e trotzkisti come Bertinotti e Cossutta, da rinnegati del comunismo come D'Alema e Veltroni; è impegnato a difendere la validità e la necessità storica della sua realizzazione dalla mistificazione della borghesia che vorrebbe il socialismo morto e sepolto o, peggio, frutto e espressione di gruppi sociali e di azioni di tipo spontaneistico e avventuristico che mai sono appartenute al marxismo-leninismo-pensiero di Mao, ma, al contrario, appartengono da sempre al bagaglio ideologico anticomunista e da sempre vengono utilizzate dalle forze dominanti borghesi e reazionarie contro le masse popolari, contro la classe operaia, contro i marxisti-leninisti e gli autentici rivoluzionari.
"L'abbattimento dei primi paesi socialisti - ha affermato il compagno Giovanni Scuderi nel suo Rapporto al IV Congresso - non significa che il capitalismo sia stato riconosciuto come la società dei lavoratori, che siano scomparse come per incanto le contraddizioni tra il proletariato e la borghesia e che la lotta per il socialismo sia terminata definitivamente. Quantunque il proletariato sia stato sospinto dai falsi comunisti e dai rinnegati riciclati come socialisti verso strade errate alla fine esso ritroverà quella del socialismo. Capirà nella pratica che il socialismo e il comunismo non sono rifondabili perché è impossibile. Essi sono quelli che sono: prendere o lasciare. I loro principi sono quelli stabiliti dai maestri, la cui giustezza è stata comprovata dalla pratica, e si possono solo applicare dialetticamente secondo le condizioni specifiche dei vari paesi e della situazione internazionale. Chi li vuole rifondare è semplicemente un imbroglione che rimastica e rivomita vecchie teorie trotzkiste socialdemocratiche e riformiste (...) Dal marxismo-leninismo-pensiero di Mao e dalla storia - continua ancora Scuderi - noi abbiamo appreso che il socialismo non si conquista pacificamente, legalmente e per via parlamentare ma attraverso la rivoluzione proletaria. Questa rivoluzione non è né un colpo di Stato, né una serie di atti terroristici di piccoli gruppi, ma nemmeno del solo Partito marxista-leninista o di questo Partito alla testa di masse incoscienti. La rivoluzione proletaria è un'insurrezione di massa guidata dal proletariato con alla testa il suo Partito. Poiché si tratta di cambiare radicalmente e totalmente la società sarebbe assurdo e pazzesco lanciare la rivoluzione proletaria senza che il proletariato e i suoi alleati sociali e politici siano stati completamente coinvolti e resi coscienti dei compiti che li aspettano sia nel corso dell'insurrezione che nel socialismo. La rivoluzione proletaria non è quindi un atto spontaneo e avventuristico di un piccolo gruppo o di una minoranza di proletari, ma un'azione cosciente, scientificamente preparata e che scoppia nel momento in cui si hanno la forza e la coscienza di massa adeguate, la congiuntura nazionale e internazionale è favorevole si è sicuri della vittoria''.
Il PMLI è impegnato a svilupparsi come Partito concretamente e totalmente legato alla classe operaia e alle masse popolari e da esse riconosciuto come il Partito d'avanguardia del proletariato italiano.
"Noi - sottolinea ancora Scuderi nel Rapporto - dobbiamo costruire un grande, forte e anche radicato Partito. Sul piano politico - organizzativo, il radicamento è attualmente la questione principale che dobbiamo risolvere (...) Radicarsi significa essere una sola cosa con le masse, capirne i bisogni e interpretarne la volontà, difenderne gli interessi, ottenerne la fiducia e diventarne la guida''.
Il PMLI è impegnato a fondo e con tutte le sue forze nel compito, tanto gravoso quanto importante e necessario, di sviluppare e fare avanzare la lotta per il socialismo ed è consapevole e fiero di questo suo ruolo.
"Fra appena due anni - affermava Scuderi terminando il Rapporto - si conclude il XX secolo che ha visto la classe operaia conquistare il potere politico in un quarto del globo. Un secolo che è stato marcato profondamente e indelebilmente dall'opera di Lenin, Stalin e Mao grandi condottieri, educatori e maestri del proletariato internazionale. Un secolo in cui i popoli con alla testa i Partiti marxisti-leninisti hanno riportato grandi vittorie sull'imperialismo, il capitalismo, il colonialismo, il fascismo, il razzismo e l'apartheid. Che sarà nel prossimo secolo? Saranno ancora il proletariato e i popoli a marcarlo con le loro lotte e le loro conquiste. I marxisti-leninisti italiani faranno sicuramente la loro parte affinché nel XXI secolo trionfino la rivoluzione e il socialismo''.