Il principio di "sussidiarietà"

La "sussidiarietà'', il principio secondo cui lo Stato deve intervenire solo dove e quando la famiglia e il mercato non riescono assolutamente a provvedere, è ormai entrato a pieno titolo nel diritto e va affermandosi in tutta la politica sociale della seconda repubblica: dalla previdenza alla sanità, dalla scuola all'assistenza sociale. Fra breve esso diverrà anche un principio costituzionale in base alla "riforma'' federalista della seconda parte della Costituzione in attesa solo dell'ultimo voto definitivo della Camera.
Ormai destra e "sinistra'' del regime neofascista convergono su questo principio e fanno a gara per attribuirsi il merito di averla adottata e introdotta nella politica costituzionale, istituzionale e sociale. Ma a ben ragione la Chiesa cattolica rivendica la primogenitura della sussidiarietà come proprio insegnamento in campo sociale. A dare sistemazione scientifica a questo principio è stato infatti Pietro Pavan, professore all'Università lateranense, premiato da papa Wojtyla col titolo di cardinale, quando ormai era in tarda età.
Pavan è autore o coautore di almeno tre encicliche: Pacem in terris, Mater et magistra, Popularum progressio. Fra i testi principali di Pavan c'è quello scritto nel 1950, "Il principio di sussidiarietà. Elemento caratterizzante la visione cristiana dei rapporti sociali''. Vi si sostiene che "le società devono consentire ai singoli di muoversi liberamente per il conseguimento dei fini che sono in grado di raggiungere con le loro proprie forze, mentre le società a più ampio raggio non devono intralciare le società inferiori nel proseguimento dei fini propri: occorre invece che siano loro di aiuto''.
Al principio di "sussidiarietà'' come un principio cardine della dottrina sociale si richiamano sovente il papa e le alte gerarchie ecclesiastiche quando rivendicano la piena autonomia della famiglia e la piena libertà delle istituzioni private (specie cattoliche) a operare nei campi che costituzionalmente sarebbero prerogativa dell'intervento pubblico come l'istruzione, la sanità, l'assistenza. Per esempio la parificazione e il finanziamento diretto e indiretto da parte dello Stato delle scuole private cattoliche si ispira al principio della "libera scelta'' educativa delle famiglie e al dovere dello Stato di assecondare e sostenere tale scelta.
Nella sua "Lettera alle famiglie'', che Wojtyla ha scritto nel 1994, in occasione dell'Anno della famiglia, si legge che la famiglia è "legata allo Stato in forza del principio di sussidiarietà. La famiglia, infatti, è realtà sociale che non dispone di ogni mezzo necessario per realizzare i propri fini, anche nel campo dell'istruzione e dell'educazione. Lo Stato è chiamato allora ad intervenire secondo il menzionato principio: là dove è autosufficiente, la famiglia va lasciata operare autonomamente; una eccessiva invadenza dello Stato risulterebbe dannosa, oltre che irrispettosa, costituendo una palese violazione dei diritti della famiglia; soltanto là dove essa non basta realmente a se stessa, lo Stato ha facoltà e dovere di intervenire''.
E' comprensibile come la classe dominante borghese abbia sposato ben volentieri questa concezione sociale. Non solo quella italiana ma anche quella europea visto che le regole della sussidiarietà sono state ufficialmente adottate anche dall'Ue. Essa infatti risponde pienamente al bisogno di supportare sul piano ideologico la cancellazione dello "Stato sociale'' a favore della restaurazione di una politica sociale fondata sulla centralità della famiglia e del mercato privato.
In questa concezione anche l'assistenza sociale torna ad essere concepita in senso individualistico e caritatevole. I servizi sociali pubblici vengono surrogati dalla famiglia e dal mercato privato, mentre lo Stato interviene a mo' di beneficenza solo nei casi estremi, occasionalmente e in via temporanea e per una fascia assai ristretta di poveri subordinando comunque il tutto alle "compatibilità'' di bilancio e finanziarie.