Con la celebrazione del 50° anniversario del ritorno di Trieste all'Italia
Ciampi appoggia il nazionalismo fascista
Com'era largamente prevedibile il cinquantenario del ritorno di Trieste all'Italia, celebrato il 4 novembre nel capoluogo giuliano, si è trasformato in un'orgia di nazionalismo patriottardo, di sciovinismo e razzismo, gestita direttamente dai fascisti con in testa il loro caporione Fini, ma con la complicità e il contributo significativi di Vittorio Emanuele Ciampi.
Il capo dello Stato, infatti, aveva abbondantemente arato il terreno in precedenza, con la scandalosa decisione di assegnare la medaglia d'oro al valor civile alla memoria dei sei triestini morti negli scontri di piazza del novembre 1953 contro la polizia dell'amministrazione provvisoria alleata; scontri che - è stato storicamente appurato - furono provocati dai fascisti dell'allora MSI per suscitare un'ondata di sdegno patriottico in tutto il Paese a sostegno della campagna sciovinista e anticomunista contro la Jugoslavia e per l'assegnazione di Trieste all'Italia. Inoltre il giorno avanti, 3 novembre, Ciampi aveva fatto un giro nella zona del Piave, nei cosiddetti "luoghi della memoria della grande guerra", per esaltare sempre in chiave nazionalista e patriottarda quella infame carneficina di milioni di operai e contadini che fu la prima guerra mondiale imperialista; che poi, nel suo discorso triestino, ha avuto la spudoratezza di definirla una guerra che "pur con le sue atrocità, era stata vissuta dal popolo italiano come l'ultima guerra d'indipendenza, che aveva portato a compimento la riunificazione d'Italia. Non era stata, e non aveva voluto essere, una guerra di conquista, una guerra figlia dell'odio, ma una guerra di liberazione, combattuta per riunire all'Italia Trento e Trieste".
Per essere esatti è più di un anno che Trieste è al centro di una quotidiana e asfissiante campagna nazionalista e fascista, a cominciare da quella sulle foibe, passando per i cosiddetti "esuli" istriano-dalmati, fino alla riesumazione in chiave patriottica dei moti di piazza del '53 aizzati dal MSI. Una campagna orchestrata naturalmente dalla destra neofascista, Forza Italia in testa con il sindaco Di Piazza, spalleggiata da Lega e AN. Ma va detto che la "sinistra" del regime gli ha dato una robusta mano: prima sposando le tesi false, antistoriche e anticomuniste della destra sulle foibe; poi votando insieme ad essa l'istituzione del "giorno della memoria" in ricordo dell'"esodo" dall'Istria e dalla Dalmazia; e infine con il "pellegrinaggio" a Trieste per riconoscere i "crimini" del comunismo.
Tutto questo lavorìo nazionalista e fascista è culminato appunto nella celebrazione del 50° del ritorno di Trieste all'Italia, con una manifestazione faraonica senza precedenti per una città italiana diversa dalla capitale: Ciampi è arrivato in piazza Unità in automobile tra due ali di folla, scortato dai corazzieri a cavallo e salutato da 21 salve di cannone della nave scuola "Amerigo Vespucci", presente in rada assieme alla portaelicotteri "Garibaldi", al cacciatorpediniere "Audace" e alla nave d'assalto "San Giusto". Nel cielo si sono levati in volo 27 tra aerei ed elicotteri, compresa la pattuglia acrobatica che ha disegnato con le scie un immenso tricolore. Alla parata militare hanno partecipato 3.000 soldati, con reparti dell'esercito, della marina, dell'aeronautica, dei carabinieri, guardia di finanza e polizia, con tanto di lanci di paracadutisti e bersaglieri a passo di corsa. Insomma, una vera e propria orgia militarista e patriottarda degna delle parate del ventennio mussoliniano.
La manifestazione è stata presa subito in mano dai fascisti di AN, che orchestravano secondo un ben studiato copione la claque e i fischi della folla. La claque per il loro caporione Fini, che arrogandosi il compito di parlare "a nome di tutti gli italiani", ha preso la parola addirittura prima di Ciampi, per un discorso sembra nemmeno concordato con l'inquilino del Quirinale, dal contenuto sciovinista e razzista che è stato salutato da ben sette ovazioni della piazza manovrata dai suoi seguaci; in particolare quando ha definito Trieste "la più italiana delle nostre cento città", e quando ha citato i sei morti dei moti del '53 a cui Ciampi ha concesso la medaglia d'oro. I fischi sono andati invece al governatore regionale, l'ulivista Illy, quando nel suo discorso conciliatorio ha tentato di definire le minoranze non italiane che vivono a Trieste "un'autentica ricchezza da valorizzare".
Pur contrariato dall'essersi visto rubare la scena dal caporione fascista, anche Ciampi ha soffiato a tutta forza nella tromba del nazionalismo patriottardo e sciovinista, cominciando col definire Trieste "città martire, terra di rifugio di moltitudini di profughi istriani e dalmati", e liquidando ipocritamente gli oltre 20 anni di occupazione e oppressione fascista dell'Istria e della Dalmazia e le atrocità nazifasciste in Jugoslavia - le vere cause che stanno alla base del problema di Trieste - come semplicemente il frutto di una "guerra sbagliata (sic!) e perduta", che "era costata all'Italia il distacco di territori parte della nostra storia".
Non solo, ma ha anche arringato la folla - che non ne aveva certo bisogno - a "non dimenticare quel passato". Anche se poi, per stemperare il suo sciovinismo nella melassa europeistica, ha aggiunto che "i popoli europei lo ricordano, affinché quelle tragedie non si ripetano". Ma poi ha anche sottolineato significativamente che "il nostro europeismo non nega, anzi presuppone, l'amor di patria".
Un'ultima notazione va fatta sulla presenza, accanto al capo dello Stato, al ministro della guerra Martino e ai fascisti Fini e Alemanno, della triste e spettrale figura del rinnegato Fassino, a reggere il sacco a Vittorio Emanuele Ciampi e alla destra neofascista in questa loro odiosa manifestazione nazionalista e patriottarda degna del regime mussoliniano.

10 novembre 2004