Il parlamento italiano si rimette l'elmetto
Tutti i partiti del regime compatti sul rifinanziamento della missione di guerra in Afghanistan
Rifondazione si spacca. Paolo Cacciari non vota e si dimette da deputato in nome della non violenza. Posizione opportunista di Russo (PRC) e dei Verdi Cento e Luana Zanella. Anche il trotzkista Ingrao invita a votare sì ai soldati in Afghanistan
Ritirare subito le truppe italiane da tutte le missioni estere
Il 19 luglio alla Camera, con 549 voti a favore e solo 4 contrari, il parlamento del regime neofascista ha dato praticamente all'unanimità il primo via libera al disegno di legge che rifinanzia a tempo indeterminato tutte le missioni militari italiane all'estero, con in testa la missione di guerra in Afghanistan. Anche la Casa del fascio ha quindi votato compattamente per il provvedimento del governo, accogliendo l'invito del rinnegato Fassino che in aula non si era vergognato di chiederlo "senza imbarazzi", per consentire alle nostre forze armate - aveva sottolineato battendo la grancassa nazionalista, patriottarda e interventista - "di assolvere alla loro missione forti del consenso della nazione intera". Ed era stato lo stesso Berlusconi ad annunciare il voto a favore dell'opposizione, dicendosi convinto che "in questo parlamento ci sarà sempre una maggioranza atlantica, occidentale, capace di far fronte alla guerra contro il terrorismo e capace di operare per l'ampliamento della democrazia nei paesi arabo-islamici che è poi la premessa, l'unica effettiva premessa, di una vera pace". Una convergenza "bipartisan", questa, che la dice lunga sull'assoluta continuità della politica atlantica, interventista e guerrafondaia del governo dell'Unione con quella del governo neofascista Berlusconi. Non a caso tanto il rinnegato Fassino quanto il neoduce di Arcore avevano aperto i loro rispettivi interventi, usando quasi le stesse parole, con la solidarietà ai nazisti di Tel Aviv esaltando "il diritto di Israele a difendersi".
Hanno votato contro il rifinanziamento delle missioni solo quattro deputati del PRC, tre della minoranza trotzkista del PRC, Salvatore Cannavò, Alberto Burgio e Gian Luigi Pegolo, e il disobbediente Francesco Caruso. Il deputato Franco Russo, sempre del PRC, ha opportunisticamente evitato di partecipare al voto, così come i Verdi Paolo Cento e Luana Zanella. Un altro deputato di Rifondazione, Paolo Cacciari, richiamandosi alla non violenza, non ha partecipato al voto dando le dimissioni da parlamentare.

Manovre in vista del voto al Senato
Mentre scriviamo il provvedimento sta per affrontare il più difficile passaggio al Senato, dove la maggioranza per il governo è molto ristretta, sulla carta di due soli voti, e dove ci sono gli otto senatori "dissidenti" (Malabarba, Turigliatto, Grassi e Giannini del PRC, Rossi del PdCI, De Petris, Silvestri e Bulgarelli dei Verdi), a cui si è aggiunto il diessino della corrente di Salvi, Massimo Villone, che nei giorni scorsi avevano annunciato voto contrario se non ci fosse stato un "segnale di svolta" da parte del governo. Questo "segnale" potrebbe essere il voto di fiducia, che consentirebbe ai "dissidenti" di evitare di pronunciarsi sul provvedimento e dare al loro sì solo il valore di un sostegno al governo. Ma anche un semplice "appello" ai dissidenti, che riconosca il loro "travaglio personale", espresso ufficialmente in aula da un rappresentante del governo, potrebbe bastare.
Il voto di fiducia è chiesto a gran voce da Diliberto e da Giordano, perché toglierebbe loro le castagne dal fuoco, anche se Diliberto ha assicurato che in nessun caso i parlamentari del PdCI voteranno contro Prodi, come infatti è già avvenuto alla Camera. Giordano è alle prese invece con una grave spaccatura in seno a Rifondazione trotzkista, e con la fiducia, chiesta anche da Bertinotti, metterebbe con le spalle al muro i dissidenti: se la votano accettano anche la missione di guerra in Afghanistan, se non la votano si mettono fuori dal partito e si apre la procedura per la loro espulsione.
Ma Prodi esita a usare il voto di fiducia: primo perché dopo l'esperienza del 1998 non si fida della sua stessa maggioranza e teme come allora di cadere per un pugno di voti; secondo perché non vuol dare un'impressione di debolezza e di essere ostaggio delle minoranze; terzo perché la fiducia impedirebbe la convergenza dei voti dell'opposizione sul provvedimento, cioè quell'"ampia maggioranza" sulla politica internazionale e militare (e non solo quella, ma anche sulle questioni istituzionali, per esempio) che Napolitano chiede sempre più insistentemente, anche ingerendosi pesantemente nel dibattito politico dei partiti.
È anche probabile che alla fine Prodi riesca ad evitare il voto di fiducia, e che i nove senatori "dissidenti" cedano semplicemente alle pressioni e alle minacce che gli piovono da tutte le parti, falsi comunisti e falsi pacifisti compresi. Ultimamente è sceso in campo perfino il capo storico del trotzkismo italiano, Pietro Ingrao, a proclamare che egli al posto loro voterebbe sì, e a incensare la "nuova" politica estera di Prodi e D'Alema.
Del resto non ci sarebbe da meravigliarsi se le cose andassero in questo modo. I quattro deputati del PRC che hanno votato contro il rifinanziamento, per esempio, lo hanno fatto esprimendo posizioni ambigue e opportuniste, mettendo soprattutto l'accento sul fatto di essere obbligati a votare contro tutto il provvedimento perché il governo non ha voluto scorporare l'Afghanistan dalle altre missioni (sulle quali avrebbero quindi votato sì), e sottolineando a più riprese che il loro no alla missione non metteva in discussione la loro lealtà verso il governo Prodi. Senza contare che in precedenza, del tutto incoerentemente, avevano votato a favore della mozione politica che accompagna il provvedimento.
Una mozione che ripropone e sancisce l'uso della forza come "ultimo strumento possibile di fronte agli atti di aggressione e minacce alla pace", che è la formula ormai regolarmente usata dagli interventisti, dai guerrafondai e dagli imperialisti; che sostiene ed esalta tutte le missioni militari italiane in corso come "missioni di pace"; e che sparge solo illusioni a buon mercato sulla possibilità di "promuovere" all'interno dell'Onu e della Nato, "riflessioni", "verifiche", "valutazioni" per un futuro disimpegno dall'Afghanistan e un "superamento" della missione di guerra Usa "Enduring Freedom" in cui siamo coinvolti: cioè, aria fritta e nient'altro.
Anche le clamorose dimissioni di Paolo Cacciari hanno avuto più un valore di testimonianza passiva di non violento, di autolesionismo rinunciatario e gratuito, che di protesta vera e propria: "Indebolire la mia amata parte politica (il PRC, ndr), mettere in difficoltà questo ottimo governo - ha spiegato infatti Cacciari - sarebbe l'ultimo degli effetti indesiderati generati dal clima di guerra in cui siamo tutti immessi. Per evitare queste conseguenze, colgo di buon grado l'invito a lasciare libero questo seggio al prossimo della lista".

Non dare tregua al governo sul ritiro da tutte le missioni di guerra
Non c'è da farsi quindi nessuna illusione: il parlamento nero approverà in un modo o nell'altro il disegno di legge che rifinanzia tutte le missioni militari all'estero. Un provvedimento ancor peggiore dei precedenti decreti del governo Berlusconi, perché invece della riconferma ogni sei mesi proroga le missioni a tempo indeterminato. Ed è falso, come sostengono i falsi comunisti, trotzkisti e falsi pacifisti per accreditarlo come una "novità", un "progresso" o quantomeno una "riduzione del danno", che esso preveda una riduzione o quantomeno un "congelamento" del nostro impegno militare in Afghanistan.
Primo perché il provvedimento non stabilisce alcun limite al numero di soldati da impiegare, che è stabilito dai comandi militari e dal governo a seconda delle esigenze di servizio. Secondo perché anche considerando la sola missione Isaf, quella sotto comando Nato, non c'è scritto da nessuna parte che i nostri soldati non saranno impiegati nel sud dell'Afghanistan per partecipare alle azioni di guerra contro i guerriglieri. La decisione spetta alla Nato, e quindi in ultima analisi agli Usa, sotto il cui comando centrale agiscono tutti i contingenti presenti nel paese. Tant'è vero che proprio nel giorno del voto alla Camera, il portavoce della missione Nato, attualmente sotto comando britannico, ha reso noto che dal 4 maggio scorso sono cambiate le regole di ingaggio "per tutti i militari che partecipano", in previsione di un allargamento delle operazioni al sud. Le regole di ingaggio sono passate infatti allo stato "combat", ossia - ha spiegato il portavoce Nato - prevedono risposte "più dure", compreso rispondere al fuoco in maniera "più pesante" e "fare irruzione in un'abitazione dal cui interno abbiano sentito partire colpi di arma da fuoco".
C'è un solo modo, allora, per avere la garanzia che truppe italiane non partecipino ad azioni di guerra fuori dal territorio nazionale, come stabilisce chiaramente l'art. 11 della Costituzione: ritirare subito i contingenti militari italiani da tutte le missioni all'estero. Non un soldo né un soldato per le guerre di Bush, Blair e degli aggressori sionisti, e per le mire espansioniste e neocolonialiste dell'imperialismo nostrano. Non dare tregua al governo della "sinistra" borghese sul ritiro dell'Italia da tutte le missioni di guerra.

26 luglio 2006