Il nuovo Valletta vieta di lavorare agli operai di Melfi reintegrati dal giudice
La Fiom denuncia la Fiat "per inottemperanza della sentenza"
Marchionne: "Basta con i conflitti tra padroni e operai". Napolitano apprezza


Nessun dubbio. La sentenza emessa il 9 agosto dal Tribunale di Melfi era chiarissima e netta: la Fiat-Sata ha torto marcio, si è macchiata di comportamenti anti-sindacali, ha assunto dei provvedimenti disciplinari del tutto illegittimi, perciò deve reintegrare subito i tre operai (di cui due delegati Fiom della Rsu e il terzo iscritto allo stesso sindacato) ingiustamente licenziati nello stesso posto e nelle stesse mansioni. Nelle conclusioni di detta sentenza si legge infatti che: "Il tribunale di Melfi, in funzione del Giudice del Lavoro, nella persona del dott. Emilio Minio, pronunciando il ricorso ex art.28 L. n.300/70 (cd. Statuto dei Lavoratori) da FIOM-CGIL nei confronti di S.A.T.A - Società Automobilistica Tecnologie Avanzate - S.p.a., ogni contraria istanza ed eccezione disattesa così provvede: 1) Dichiara antisindacalità dei licenziamenti intimati da S.A.T.A S.p.a. in data 13/14.07.2010, ai lavoratori Lamorte Antonio, Barozzino Giovanni, Pignatelli Marco, e, per effetto, 2) Ordina a S.A.T.A. S.p.a. la immediata reintegra dei suddetti lavoratori nel proprio posti di lavoro. 3) Ordina la pubblicazione del presente dispositivo, entro 30 gg. dalla sua comunicazione, a cura e spese della società resistente, sui quotidiani "Il Corriere della Sera" e "La Repubblica". 4) Compensa per intero le spese di lite".

Arroganza antioperaia
Di fronte a una sentenza di questo genere, con esiti inequivocabili, la quale esaminando in modo obiettivo i fatti giudicava infondata, cioè falsa, l'accusa di sabotaggio sostenuta dall'azienda ("impedivano il transito dei carrelli e di conseguenza bloccavano le linee di montaggio"), incomprensibile e discriminatoria con intenti persecutori antisindacali la scelta di punire i tre operai, considerando che lo sciopero era stato indetto da tutte le sigle sindacali e che nel corteo interno vi erano almeno altri cinquanta operai, giudica in ogni caso assolutamente sproporzionato il provvedimento assunto. Di fronte a ciò era dovere di Marchionne e dei dirigenti che da lui dipendono fare marcia indietro, dare seguito al dispositivo del Tribunale di Melfi e quindi reintegrare in fabbrica gli operai licenziati in violazione delle leggi vigenti. E in effetti gli avvocati della Fiat in un primo tempo avevano fatto sapere di una disponibilità dell'azienda in questo senso. Ma, un paio di giorni dopo, improvvisamente è senza spiegazioni, il vertice Fiat ha cambiato posizione: niente reintegro, stabilito per il 23 agosto, almeno fino al nuovo giudizio del giudice richiesto dall'azienda con ricorso di opposizione alla sentenza del Tribunale e previsto per il 6 ottobre prossimo. Proposito messo in atto inviando un telegramma agli operai licenziati Barozzino, Lamorte e Pignatelli che intimava loro di non recarsi in fabbrica e di rimanere nelle loro case sia pure retribuiti.
Immediata la reazione dei diretti interessati e della Fiom: c'è una sentenza che la Fiat ha il dovere ai applicare. La non ottemperanza di essa sarebbe un fatto gravissimo. "Ci presenteremo al lavoro - aveva dichiarato il delegato Fiom licenziato, Giovanni Barozzino -, lo hanno ordinato i giudici. Io alle 13,30 mi recherò allo stabilimento di Melfi insieme ai miei due compagni. Se per l'azienda un decreto è carta straccia se ne assumerà la responsabilità". "Ci auguriamo che la notte porti consiglio - aveva detto in proposito il segretario generale della Fiom, Maurizio Landini - ma se così non sarà abbiamo intenzione di mettere in campo qualsiasi azione di tipo legale e sindacale". "I tre operai - aveva aggiunto - si presenteranno regolarmente al lavoro per il turno delle ore 14. Lo faranno, ed è il caso di dirlo per l'ennesima volta, a seguito del reintegro avvenuto dopo il licenziamento assolutamente infondato ... Se non ci sarà consentito di entrare, ci rivolgeremo alle forze dell'ordine perché diano seguito al provvedimento del giudice che ha un valore esecutivo". "Se constateremo che in Italia un'azienda - faceva notare Landini - può decidere di non rispettare un decreto esecutivo della magistratura, ma che non è neanche possibile esigerne l'applicazione allora ci troveremo di fronte a un fatto che non riguarda più solo i lavoratori ma le istituzioni e le forze politiche di questo Paese".

La provocazione Fiat è un'intimidazione rivolta a tutti gli operai
Nessun ripensamento, nella sostanza, da parte di Marchionne. Allorché i tre operai si sono presentati davanti alla fabbrica, accompagnati, da due dirigenti della Fiom, dagli avvocati e da un ufficiale giudiziario e accolti dai compagni di lavoro con un lungo applauso, per essere reintegrati e svolgere il turno di lavoro che spettava loro, appena hanno varcato i cancelli sono stati fermati dai vigilantes e dai dirigenti aziendali e si sono sentiti fare questa sconcia e offensiva proposta: possono entrare nello stabilimento ma solo per andare nella saletta sindacale, gli è vietato recarsi nei reparti e riprendere il loro posto di lavoro, gli sarà però garantita la retribuzione dello stipendio. Una provocazione questa, respinta con due iniziative prese nell'immediato. Una legale. L'avvocato di parte sindacale, Lina Grosso, ha fatto verbalizzare, dall'ufficiale giudiziario Francesco D'Arcangelo, il rifiuto dell'azienda di dare seguito correttamente al decreto giudiziario di reintegrazione degli operai licenziati. Su questa base, il segretario Fiom Basilicata, Emanuele De Nicola, ha presentato ai carabinieri una denuncia penale "per inottemperanza della sentenza del 9 agosto". L'altra sindacale. Sono state indette due ore di sciopero da effettuarsi in giornata al termine di ogni turno di lavoro. Una terza iniziativa si è concretizzata con un appello a Napolitano. "Lancio un appello al presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano - aveva detto Barozzino ai giornalisti uscendo dai cancelli - non ci faccia vergognare di essere italiani. Vogliamo solo il nostro lavoro, come ha deciso il giudice. Non vogliamo essere confinati in una saletta sindacale. Per rivendicare i nostri diritti siamo disposti a venire in fabbrica ogni giorno". Appello che poi è stato formalizzato in una lettera sottoscritta da tutti e tre gli operai.
La replica dell'azienda è contenuta in una nota che conferma le accuse agli operai colpiti da licenziamento e la "correttezza" dei provvedimenti assunti, nonostante che siano stati sonoramente bocciati dal Tribunale di Melfi. Con motivazioni che, di fatto, ledono il diritto di sciopero e le libertà sindacali. "I comportamenti contestati ai tre scioperanti - si legge - sono stati di estrema gravità, in quanto, determinando il blocco della produzione, hanno leso la libertà d'impresa , causato danno economico e condizionato il diritto al lavoro della maggioranza degli altri dipendenti che non avevano aderito alo sciopero". Al di là delle esagerazioni strumentali, secondo questa tesi della Fiat ogni sciopero dovrebbe essere dichiarato illegittimo e ogni scioperante da licenziare, in quanto ogni agitazione sindacale interrompe la produzione e perciò limiterebbe "la libertà dell'impresa". Se questo non è fascismo, poco ci manca!
Nella stessa nota, la Fiat sostiene con una faccia tosta senza pari, "di aver eseguito correttamente il provvedimento" del Tribunale. E aggiunge che la decisione di non avvalersi della prestazione lavorativa dei tre operai è "prassi consolidata" nelle cause di lavoro "al fine di evitare ulteriori occasioni di lite tra le parti in causa". Ma non è affatto vero che questa sia una prassi consolidata, specie nei casi di licenziamenti illegittimi antisindacali. Ad esempio, nel 2006 alla Fiat di Pomigliano furono licenziati ingiustamente 8 lavoratori iscritti allo Slai-Cobas. Il giudice condannò l'azienda per comportamento antisindacale, ordinò il reintegro dei suddetti lavoratori che fu attuato immediatamente. In argomento c'è tra l'altro una sentenza della Cassazione del 1989 secondo cui se un'azienda offre la retribuzione e non il reintegro è punibile con le sanzioni contenute nell'art. 650 del codice penale che punisce la mancata osservanza di un provvedimento giudiziario.

Iperliberismo e neofascismo del nuovo Valletta
Questa linea padronale, un misto di iperliberismo e neofascisno, Marchionne l'ha ribadita pari pari nel suo intervento di giovedì 26 agosto al meeting di Comunione e Liberazione di Rimini quando è tornato a sostenere la menzogna del "sabotaggio" da parte dei tre operai colpiti da licenziamento, quando ha rivendicato la legittimità dei provvedimenti disciplinari, quando ha sostenuto che l'azienda avrebbe rispettato l'ordine di reintegrazione del Tribunale di Melfi, anche se gli è vietato di riprendere il loro posto di lavoro. "Sistemati" gli operai Barozzino, Pignatelli e Lamorte, il nuovo Valletta è passato a bastonare la Fiom, colpevole di opporsi al suo piano di cancellazione dei diritti dei lavoratori e alle sue relazioni industriali di stampo neofascista da terza repubblica. Piano, visto "da alcuni (leggi Fiom, ndr) con la lente deformata del conflitto". Non si può, afferma, "gettare le basi del domani continuando a pensare che ci sia una lotta tra 'capitale' e 'lavoro', tra 'padroni' e 'operai'". Per lui si deve "abbandonare questo modello di pensiero", si deve contrarre un nuovo "patto sociale" per far fronte alla sfida "che ci vede di fronte al resto del mondo" per condividere "le responsabilità e i sacrifici per dare al Paese la possibilità di andare avanti". I contenuti di questo "patto sociale" sono già scritti in parte nell'accordo separato della Fiat di Pomigliano, nella disdetta del contratto nazionale, nelle violazioni dello Statuto dei lavoratori. Quanto al rapporto con i sindacati, nessuna trattativa, da loro si pretende solo un signorsì!

Il vasto fronte della solidarietà
Cresce intanto il fronte di solidarietà nei confronti dei lavoratori colpiti e della Fiom. Quella di Giorgio Cremaschi, esponente di primo piano de "La Cgil che vogliamo": "Nell'Italia che precipita verso la crisi, Marchionne che pratica slogan di Berlusconi - ha affermato - contro la Magistratura e i diritti, può avere certo successo. Ma intanto, in questi giorni, forti della solo loro dignità, hanno svelato la vera faccia dell'amministratore delegato della fiat. Per questo dobbiamo ringraziarli". Quella di Carla Cantone, leader dei pensionati Cgil, che ha detto: "Lo Spi rappresenta una generazione che ha conquistato diritti che la Fiat calpesta. Anche per questo siamo indignati a fianco della Fiom. Non si può accettare che Costituzione, Statuto dei lavoratori, diritti e dignità siamo così sfacciatamente calpestati".
Per il segretario della Cgil, Guglielmo Epifani, Marchionne ripropone "l'immagine della Vecchia Fiat che chiede di scambiare il lavoro con la negazione di alcuni diritti". Non "si può giocare con la vita delle persone, come sta avvenendo nella vicenda di Melfi". "Quando la FIOM - ha aggiunto - difende diritti indisponibili dei lavoratori, come è nel caso della Fiat, io sono d'accordo e troverà sempre la Cgil al suo fianco".
Napolitano, rispondendo alla lettera dei tre operai ha espresso il suo "rammarico per la tensione creatasi in relazione ai licenziamenti e alla mancata reintegrazione". Ma ha invitato implicitamente gli operai ad accettare "l'evoluzione delle relazioni industriali". Inoltre ha apprezzato il discorso di Marchionne tenuto al meeting di Rimini per lo sforzo che la Fiat sta facendo per fronteggiare "l'imperativo del cambiamento che nasce dalle radicali trasformazioni in atto sul piano globale". Su questo ha chiesto l'impegno di tutte "le istituzioni e le parti sociali, nessuna esclusa".
Anche la Cisl e la Uil di Bonanni e Angeletti, questa volta, hanno criticato Marchionne invitandolo a rispettare la sentenza; pur non rinunciando a polemizzare con la Fiom e ad attaccarla per il suo presunto "estremismo". E' intervenuta anche la Conferenza episcopale italiana (Cei) che per bocca di monsignor Bregantini ha criticato la Fiat che "nega la dignità del lavoro". "Deve obbedire alla sentenza - ha precisato - e questo implica non solo un aspetto formale ma etico. Il lavoro non esiste solo per essere pagati, ma per la dignità dell'uomo".
Noi stiamo con gli operai ingiustamente licenziati, sosteniamo la loro lotta e appoggiamo il loro sacrosanto diritto a rientrare in fabbrica. Anche perché ciò è parte di una battaglia fondamentale più ampia che va oltre la stessa vertenza in atto, per difendere il diritto di sciopero e più in generale i diritti sindacali, lo Statuto dei lavoratori, il contratto nazionale messi fortemente in discussione dall'autoritario e arrogante super manager della Fiat Marchionne sulla base della teoria padronale, oltretutto falsa nei sui effetti pratici che recita: più investimenti, più occupazione, meno diritti contrattuali e sindacali per i lavoratori.

27 agosto 2010