Il Senato approva il ddl lavoro che nel marzo scorso Napolitano aveva rinviato alle Camere
Varata la controriforma che deregolamenta il diritto del lavoro a favore dei padroni
Le modifiche apportate sono di facciata. La legge mina nelle fondamenta i diritti dei lavoratori e contiene profili anticostituzionali

Quando si tratta di colpire i diritti dei lavoratori la sbrindellata maggioranza governativa di "centro-destra" ritrova la compattezza. È il caso di primissima importanza dell'approvazione del disegno di legge (ddl) lavoro, avvenuta in Senato il 29 settembre in sesta lettura con 147 sì, finiani compresi, e 104 no. Che ora passa alla Camera per l'approvazione definitiva se al testo non saranno apportate nuove modifiche. Si tratta dello stesso ddl più conosciuto come "collegato lavoro" alla legge finanziaria 2009, riproposto anche nella Finanziaria 2010, cresciuto enormemente nel suo lungo iter, da 9 articoli e 39 comma a 50 articoli e 140 comma, che contiene temi molto diversi tra loro come risulta dal titolo del provvedimento che recita: Deleghe al governo in materia di lavori usuranti, di riorganizzazione di enti, di congedi, aspettative e permessi, di ammortizzatori sociali, di servizi per l'impiego, di incentivi all'occupazione, di apprendistato, di occupazione femminile, nonché misure contro il lavoro sommerso e disposizioni in tema di lavoro pubblico e di controversie di lavoro. È lo stesso ddl che, con riferimento alla normativa sull'arbitrato, centinaia di giuslavoristi democratici in un appello definirono una vera e propria controriforma del diritto del lavoro "che se fosse approvata comporterebbe un passo indietro di cento anni. Un ritorno ai probiviri, un modo per fare tabula rasa dei diritti e delle situazioni giuridiche soggettive di un secolo". Èlo stesso che, nel marzo scorso, il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, rinviò alle Camere ravvisando evidenti profili anticostituzionali, in particolare nelle questioni trattate negli articoli 30, 31, 32 e 50.

Annullate le modifiche introdotte alla Camera
Va detto in breve che prima di arrivare al Senato, il provvedimento contestato era passato alla Camera dove aveva subito alcuni cambiamenti tendenti ad attenuare, o per meglio dire aggirare, gli aspetti in contrasto con il dettato costituzionale, mantenendo però intatto l'impianto complessivo controriformatore improntato alla demolizione della certezza del diritto per i lavoratori e all'introduzione norme di flessibili affidate alla "giustizia privata" sfacciatamente a favore dei padroni e delle imprese. Cambiamenti introdotti in parte a seguito di un emendamento presentato da Cesare Damiano (PD), e approvato approfittando dell'assenza di deputati della maggioranza, relativi all'accettazione della clausola compromissoria, ossia la "libera scelta" da parte del lavoratore di ricorrere all'arbitrato in alternativa al giudice del lavoro per affrontare un contenzioso, legata alla specifica controversia insorta e non come era prima in forma preventiva all'atto dell'assunzione; e all'esclusione nella clausola compromissoria delle controversie riguardanti i licenziamenti. Peccato che queste modifiche, ancorché molto parziali e insufficienti, in Senato, in buona sostanza, non sono state accolte, riportando il testo assai vicino all'originale.

La deregolamentazione del lavoro
Tornando al ddl approvato va detto in generale che pur avendo per tema il lavoro e contenendo quella miriade di deleghe sul lavoro non c'è nulla di concreto e adeguato per la salvaguardia dell'occupazione e meno che meno per la creazione di posti di lavoro, in un momento di grave crisi economica e industriale e di aumento massiccio della disoccupazione, capitoli vuoti, impegni rinviati a chissà quando.
Per dirne una, il governo si è preso due anni per "riformare" gli "ammortizzatori sociali". Tant'è che questo ddl andrebbe chiamato, in modo più opportuno, della deregolamentazione liberista del lavoro. In questo senso le misure ci sono eccome con al centro, come si è accennato sopra, la controriforma del diritto e del processo del lavoro. "Riforma" che amplia enormemente il ricorso dell'arbitrato nelle controversie, che deciderà non a termini di legge ma sulla base della cosiddetta "equità"; rende praticamente obbligatorio il ricorso all'arbitrato imponendo al lavoratore, di fatto, la firma della clausola compromissoria che prevede la rinuncia al ricorso alla magistratura e lo vincola all'arbitrato per eventuali futuri contenziosi; restringe in ogni caso in modo drastico i tempi massimi in cui il lavoratore può fare ricorso di contestazione del provvedimento aziendale che lo riguarda, oltre i quali c'è la decadenza del diritto; limita la funzione del giudice a quella di semplice "notaio" di decisioni assunte in sede di "certificazione" del contratto individuale contenente anche deroghe al Ccnl.

I punti principali
Entriamo più nel dettaglio. Non c'è molta differenza se l'accettazione dell'arbitrato al lavoratore viene fatta firmare subito dopo la prova o, in assenza di essa, entro 30 giorni, anziché prima dell'assunzione, il potere di ricatto padronale rimane sempre molto forte. È vero che (per il momento) nella clausola compromissoria per l'accettazione dell'arbitrato sono state escluse le controversie sui licenziamenti, che però non vale per i contratti a termine e per i contratti atipici. Anzi per questi nel ddl è stabilito che, in caso di violazioni di norme contrattuali o di legge del padrone riconosciute in sede giudiziale, non è previsto il reintegro nel posto di lavoro e l'assunzione a tempo indeterminato ma un tutto sommato misero risarcimento economico che va da un minimo di 2,5 a un massimo di 12 mensilità. C'è poi il tempo a disposizione del dipendente per fare ricorso contro un torto subito dal datore di lavoro, ridotto a 60 giorni per il primo atto, più altri 9 mesi per "produrre nuovi documenti" limiti questi inaccettabili, specie per il lavoratore a tempo determinato che vedrebbe mortificata la possibilità del rinnovo del contratto, limiti che non esistono per nessuna altra causa. Anche i termini per risarcimento economico sono stati peggiorati non poco: al lavoratore infatti non sarà dato il corrispettivo dei mesi dovuti ma una cifra che non può superare un certo numero di mesi stabilito come tetto.
E si potrebbe continuare. Citiamo altri aspetti oltre il tema dell'arbitrato, allo stesso modo estremamente negativi: l'abbassamento dell'età dell'apprendistato a 15 anni che equivale alla riduzione di un anno della scuola dell'obbligo; la riduzione degli obblighi del datore di lavoro in materia di sicurezza e salute nei luoghi di lavoro; il rinvio, sia pure facoltativo, della pensione dei dirigenti del servizio sanitario, a 70 anni.
Giudizio positivo dei vertici dei sindacati complici, Cisl e Uil. Non c'era da dubitarne. Netta invece la critica della Cgil che definisce la legge "sbagliata e con gravi problemi di incostituzionalità che colpisce i diritti di tutti i lavoratori". Si usa "la crisi più grave degli ultimi anni per controriformare il diritto del lavoro italiano". "Si vuole così capovolgere - afferma Fulvio Fiammoni della segreteria nazionale - i fondamentali del diritto del lavoro, nato per tutelare il più debole, con una sproporzione evidente tra lavoratore e datore di lavoro. L'effetto deregolatorio e di pressione di queste nuove norme risulterà enorme". Per questo, aggiunge, la mobilitazione contro la "riforma" del diritto e del processo del lavoro proseguirà. Senza escludere il ricorso alla Corte costituzionale.
Per misurare tutta la gravità della controriforma del diritto e del processo del lavoro occorre comprendere che essa si collega ad altre controriforme in campo economico, del lavoro, sindacale, di stampo iperliberista e neocorporativo che governo e Confindustria hanno realizzato o stanno realizzando: la demolizione del contratto nazionale e delle contrattazione collettiva in generale, la cancellazione dello "Statuto dei lavoratori", la ulteriore limitazione del diritto di sciopero, la repressione e l'emarginazione dei sindacati dissidenti, anche quando questi hanno un'ampia, quando non maggioritaria, rappresentanza, l'instaurazione di relazioni sindacali di stampo corporativo. Occorre comprendere che essa fa parte di un piano generale per realizzare la terza repubblica capitalista, neofascista, presidenzialista, federalista, interventista, razzista e xenofoba.

13 ottobre 2010