L'attentato del 1974 durante una manifestazione antifascista provocò 8 morti e 102 feriti
Vergognosa sentenza sulla strage fascista di Brescia
I pubblici ministeri avevano chiesto l'ergastolo per gli imputati Maggi, Zorzi, Tramonte e Delfino
Il giudice Salvini: "Dietro le stragi la mano dei servizi segreti"
Dopo Piazza Fontana (Milano 12 dicembre 1969, 16 morti e 88 feriti) anche la strage fascista di Piazza Della Loggia (Brescia 28 maggio 1974, 8 morti e 102 feriti in seguito all'esplosione di una bomba durante una manifestazione antifascista organizzata dai sindacati) è destinata a rimanere senza colpevoli né mandanti come del resto è accaduto per tutte le altre stragi fasciste che hanno insanguinato l'Italia dal 1969 al 1984.
Dopo trentasei anni di indagini, cinque istruttorie, otto fasi di giudizio e tre processi, il 16 novembre la Corte d'Assise di Brescia al primo grado di giudizio del terzo processo ha assolto per "insufficienza di prove" tutti e cinque gli imputati per i quali il Pubblico ministero (Pm) aveva chiesto l'ergastolo.
La vergognosa sentenza scagiona da ogni addebito i neofascisti Delfo Zorzi e Carlo Maria Maggi, considerati i responsabili materiali della strage; Maurizio Tramonte, nome in codice "Tritone" informatore e collaboratore dei servizi segreti insieme a Carlo Digilio, militante fascista di Ordine Nuovo che, come molti altri camerati, aveva forti legami con gli apparati militari e i servizi segreti, e infine manda assolto anche l'ex generale dei carabinieri Francesco Delfino, l'investigatore che più di tutti ha contribuito negli anni a depistare le indagini.
Il primo filone d'indagine (prima e seconda istruttoria) inizia nel 1974 e si conclude con la sentenza di Cassazione del settembre 1987; quasi subito le indagini vengono depistate su un gruppo di piccoli delinquenti e giovani estremisti di destra della Brescia-bene. Figura chiave del processo è Ermanno Buzzi, noto neofascista che traffica in opere d'arte nonché assiduo frequentatore dei covi di estrema destra. Condannato in primo grado, alla vigilia del processo d'Appello (aprile 1981) Buzzi fu trasferito nel carcere speciale di Novara, dove, nel giro di ventiquattr'ore, fu brutalmente assassinato dai terroristi neri Pierluigi Concutelli e Mario Tuti che lo strangolano coi lacci delle scarpe, gli schiacciano gli occhi e soprattutto gli tappano per sempre la bocca.
Il secondo filone d'indagine parte nel 1984, con la terza istruttoria, che viene avviata sulla base delle rivelazioni fatte in carcere da alcuni ex camerati "pentiti" fra cui Angelo Izzo. Gli imputati per strage (tutti assolti nell'89) sono Alessandro Stepanoff, Sergio Latini e Cesare Ferri: estremista di destra collegato al gruppo ordinovista milanese de "La Fenice" di Giancarlo Rognoni e alle S. A. M. (Squadre armate Mussolini) di Giancarlo Esposti. L'iter giudiziario si conclude nel 1993 con la sentenza-ordinanza della quarta istruttoria emessa dal Giudice istruttore (GI) Gianpaolo Zorzi che per la prima volta parla di un quarto livello di responsabilità, "non concentrico - scrive - ma intersecantesi con gli altri e quindi sempre presente, come un comune denominatore: quello dei sistematici, puntuali depistaggi", dal lavaggio della piazza dopo l'eccidio, alla misteriosa scomparsa di Ugo Bonati, figura chiave nel primo processo, all'omicidio che ha chiuso per sempre la bocca a Buzzi; depistaggi che sono arrivati persino a sabotare la rogatoria in Argentina per impedire l'interrogatorio di Gianni Guido, criminale legato all'estrema destra e latitante.
Nella quinta e ultima istruttoria le indagini ruotano intorno alla cellula mestrina dell'organizzazione eversiva neofascista Ordine Nuovo (la stessa di piazza Fontana), in collegamento al gruppo milanese de "La Fenice" di Rognoni. Il giudice Zorzi identificò nel giovane missino Maurizio Tramonte la fonte "Tritone" (che era l'informatore dietro una mole di documenti emersi dagli archivi del Sid a partire dalla fine degli anni Ottanta). Nel 1995, Tritone-Tramonte comincerà a collaborare con i ROS dei Carabinieri e le sue dichiarazioni insieme agli atti provenienti dall'istruttoria del GI Guido Salvini per la strage di piazza Fontana sono alla base del terzo processo appena concluso con l'assoluzione di tutti e cinque gli imputati.
Centrali anche nel processo di Brescia le dichiarazioni del pentito Carlo Digilio, alias "zio Otto", l'armiere di Ordine Nuovo, unico condannato nell'ultimo processo per la strage di piazza Fontana. A partire da "Tritone" e Digilio, l'imputazione per concorso in strage era stata infatti estesa anche ai vertici mestrini di Ordine Nuovo (Maggi e Zorzi), a Pino Rauti e al generale dei carabinieri Francesco Delfino, che fu incaricato delle indagini alla base della prima istruttoria.
Lapidario il commento di Salvini a margine della vergognosa sentenza di Brescia: "Dall'enorme mole di documenti raccolti dai vari magistrati che si sono occupati della Strategia della tensione, emerge chiaramente che su quelle stragi c'è la mano dei Servizi segreti".

1 dicembre 2010