Vergognoso inciucio sul Csm
PD, PDL e UDC si accordano per l'elezione dei nuovi membri "laici" al CSM
Vietti, già al servizio di Berlusconi, eletto vice presidente col beneplacito di Napolitano

È Michele Vietti, capogruppo UDC alla Camera, già sottosegretario alla giustizia del 2° governo Berlusconi e autore di "capolavori" giudiziari come la depenalizzazione del falso in bilancio e il "legittimo impedimento", il nuovo vicepresidente del Consiglio superiore della magistratura (CSM) in sostituzione dell'ex DC Nicola Mancino.
A eleggerlo, con 24 voti su 26, è stato il nuovo CSM insediatosi il 1° agosto, subito dopo che il parlamento in seduta comune aveva eletto gli 8 consiglieri "laici" che mancavano per affiancare i 16 membri togati già espressi dalla magistratura ancor prima della scadenza del precedente Consiglio, fissata improrogabilmente al 31 luglio.
L'elezione degli 8 consiglieri di nomina politica è avvenuta perciò all'ultimo tuffo e dopo una lunga seduta ad oltranza del parlamento, a testimonianza dei veti incrociati e delle estenuanti trattative sottobanco che hanno impegnato, stavolta forse più che in passato, i partiti del regime neofascista e le loro rispettive correnti interne. A testimonianza altresì dell'importanza che ha assunto il CSM in tempi di presidenzialismo dilagante segnati dal tentativo del potere politico, e in primis del neoduce Berlusconi, di sottomettere quello giudiziario ai suoi interessi e voleri.
Il CSM presieduto da Napolitano, infatti, è il parlamento dei giudici, designato dalla Costituzione alle assunzioni, assegnazioni, trasferimenti, promozioni e provvedimenti disciplinari nei confronti dei magistrati (art. 105). Una funzione molto delicata perché se mal indirizzata potrebbe essere usata per insabbiare inchieste e pilotare sentenze, tant'è vero che si sono infittiti i casi di infiltrazioni e pressioni politiche, mafiose e massoniche nel CSM, come dimostrano i recenti casi dell'inchiesta di Trani e quella sulla cosiddetta P3. Ma il CSM è anche preposto a tutelare e garantire le prerogative e l'indipendenza dei magistrati, come dimostrano i ripetuti interventi che ha dovuto fare il precedente Consiglio per arginare i continui e sempre più arroganti attacchi del nuovo Mussolini, del suo mastino Alfano e degli altri gerarchi neofascisti per mettere loro la mordacchia. L'occasione del rinnovo delle cariche, in attesa della controriforma Alfano che prevede lo smembramento in due del CSM, di cui uno di solo nomina politica, era quindi un'occasione troppo ghiotta per il neoduce e i suoi accoliti per non cercare di ribaltare i rapporti di forza a loro vantaggio e mettere il CSM sotto il loro controllo.

Un CSM più berlusconiano
Cosicché prima hanno ribaltato la maggioranza nella componente togata a favore delle correnti più conservatrici (Unità per la Costituzione e Magistratura indipendente), a scapito di quelle più progressiste di Magistratura democratica (MD) e Movimento per la giustizia (MG) scese a 6 consiglieri su 16. Poi hanno messo una forte ipoteca anche sulla componente "laica". Fatto fuori l'unico candidato finiano, il siciliano Nino Lo Presti, l'asse Berlusconi-Bossi è riuscita ad imporre ben 5 suoi fidatissimi candidati su 8: il leghista Matteo Brigandì, avvocato di Bossi già condannato in primo grado a due anni per una truffa ai danni della Regione Piemonte (poi assolto in appello e in Cassazione), firmatario del "legittimo impedimento" e attivo sostenitore della legge-bavaglio; Nicolò Zanon, ordinario di diritto costituzionale all'Università di Milano, collaboratore di Libero, Il Giornale e Il Sole 24 Ore; Bartolomeo Romano, professore all'Università di Palermo e collaboratore del ministro Alfano; Filiberto Palumbo, avvocato difensore di Berlusconi insieme a Niccolò Ghedini; Annibale Marini, presidente emerito della Corte costituzionale, amico stretto del fascista Maurizio Gasparri.
Infine il governo ha tentato il colpo gobbo cercando di imporre lo stesso Marini per la carica di vice presidente, colui il quale esercita di fatto la presidenza del CSM in assenza del capo dello Stato. Da parte sua il PD, vista la bocciatura preventiva del prof. Vittorio Grevi, perché gradita a MD e MG e perché espostosi in passato come firmatario di appelli contro le leggi ad personam, e scartata da sé la proposta troppo "forte" di candidare l'ex presidente della Consulta Valerio Onida, ancor più inviso ai berluscones, coglieva la scusa buona, agitando lo spauracchio dell'en plein a favore della maggioranza per ritornare ad attestarsi sul nome di Vietti, come del resto aveva già deciso fin dall'inizio. E su questo nome "di compromesso" hanno trovato alla fine l'inciucio i due capigruppo al Senato Gasparri (PDL) e Finocchiaro (PD). "Come si vede, anche questa volta abbiamo votato leggendo liberamente da un foglietto", ha commentato ironicamente un deputato del PD tra quelli che avevano protestato per l'imposizione di Vietti a scatola chiusa ancor prima del confronto parlamentare.

Vietti il normalizzatore
Le due astensioni stesse sono frutto probabilmente del disagio con cui la componente più democratica del CSM ha dovuto ingoiare l'inciucio su Vietti, fortemente caldeggiato d'altronde da Napolitano. Vietti si presenta come un "garante" dell'indipendenza dei magistrati ma ha delle credenziali politiche tutt'altro che rassicuranti. Prima di diventare deputato dell'UDC, come avvocato era già stato consigliere del CSM per conto della Casa del fascio, e in quella veste si distinse per un provvedimento contro due pm milanesi che stavano indagando su Paolo Berlusconi. E' stato vice di Castelli nel 2° governo Berlusconi e insieme all'avvocato di Berlusconi, Gaetano Pecorella, ha firmato nel 2001 la famigerata legge sulla depenalizzazione del falso in bilancio che ha consentito al neoduce di scampare a due processi perché "il fatto non costituisce più reato".
Nel 2004 si oppose ad una revisione della legge perché ciò "farebbe sospettare che la precedente sia stata fatta per salvare dal processo qualche imputato in particolare"(sic). Nel dicembre dello stesso anno, nel giorno della condanna a Palermo di Dell'Utri a 9 anni per mafia invocò il ripristino dell'immunità parlamentare. E sempre lui è l'ideatore e l'artefice principale della legge sul "legittimo impedimento" che ha di nuovo allontanato da Berlusconi lo spettro dei processi, e di cui ha tentato di approfittare anche l'inquisito Brancher. E non si contano poi gli interventi e le dichiarazioni di questo azzeccagarbugli democristiano, spesso e volentieri in coro con Ghedini e Violante, contro l'"eccessivo potere dei pm", per la separazione delle carriere, contro l'obbligatorietà dell'azione penale, e così via. Le associazioni del mondo gay lo accusano di essere "il primo firmatario della pregiudiziale di costituzionalità che ha affossato la legge Concia contro l'omofobia". Per non parlare poi dei sospetti di affiliazione alla massoneria che aleggiano su di lui, e mai da lui smentiti, come gli ha chiesto di fare la deputata dell'IDV Sonia Alfano.
Con lui alla vicepresidenza il nuovo Mussolini non avrà forse fatto l'en plein, ma di sicuro può dormire sonni tranquilli. La sua missione è chiara: normalizzare il CSM, ponendo fine all' "invadenza" dei magistrati nella sfera politica, come ha chiesto perentoriamente Napolitano nel discorso di insediamento, quando ha rampognato ancora una volta i magistrati contro le "esposizioni e strumentalizzazioni a fini politici di parte o a scopo di autopromozione" e bacchettato l' "improprio vaglio di costituzionalità" di certi giudizi sui provvedimenti del parlamento, con chiaro riferimento al documento del precedente CSM contro la legge-bavaglio.
Lo stesso rigore censorio filo berlusconiano che Vietti si prepara ad usare per l'imminente legge sul "processo breve", come si evince chiaramente da questa sua dichiarazione di intenti a La Repubblica: "Se quel testo cambierà, il Consiglio non farà mancare un suo contributo aggiornato, nei limiti ricordati da Napolitano di non interferenza con l'attività legislativa e senza anticipare giudizi di costituzionalità". Il che è tutto dire, considerando che nella stessa intervista ha tenuto a ribadire che "la Consulta ha definito un valore il sereno svolgimento delle funzioni del premier", sicché si augura che "prevalga lo sforzo di trovare un punto di equilibrio tra ragionevole durata ed effettivo esercizio dell'azione penale".

8 settembre 2010