Un avvenimento storico di 40 anni fa che onora la classe operaia e la gioventù
italiana
VIVA LA RIVOLTA
ANTIFASCISTA E ANTICAPITALISTA DEL LUGLIO '60 E I GIOVANI DALLE MAGLIETTE A STRISCE
Gloria eterna ai martiri di Reggio Emilia, Licata, Palermo e Catania
RECUPERARE QUELLA COSCIENZA, QUELLO SPIRITO E QUELLA COMBATTIVITA' NELLA LOTTA
CONTRO LA SECONDA REPUBBLICA CAPITALISTA, NEOFASCISTA, PRESIDENZIALISTA E FEDERALISTA, PER
L'ITALIA UNITA, ROSSA E SOCIALISTA
"Nessuno potrà mai scordare
l'eroismo dimostrato dal nostro popolo nel '60 di fronte al governo fascista Tambroni''.
Così il compagno Giovanni Scuderi, Segretario generale del PMLI, presentando il Rapporto
politico al Congresso di fondazione del Partito il 9 Aprile 1977, rendeva onore e
assicurava imperitura memoria ai martiri e agli eroici protagonisti che quarant'anni fa,
nel Luglio 1960, scrissero una delle più belle pagine della lotta di classe antifascista
e anticapitalista del nostro Paese.
Fedeli a quell'impegno i marxisti-leninisti italiani sono oggi a ricordare attraverso
queste pagine de "Il Bolscevico'' quell'avvenimento storico, che onora la classe
operaia e la gioventù italiana, per farlo conoscere, capire e apprezzare alle nuove
generazioni, per imparare da quella breve e pur ricca e intensa esperienza che anticipò e
preparò la Grande Rivolta giovanile e operaia del Sessantotto e del Sessantanove.
La Rivolta del Luglio '60 esplose improvvisa e sostanzialmente spontanea. Negli anni
precedenti vi erano stati segnali di fermento e ribellione operaia nelle grandi fabbriche
del Nord, a Brescia, Milano, Modena, e nel Sud con le lotte brac-ciantili e l'occupazione
delle terre. Nessuno poteva però immaginare che da lì a poco potesse esplodere un
movimento così esteso, potente e dal chiaro carattere antifascista, che ben presto
assunse anche un carattere fortemente anticapitalista, rivoluzionario, di classe.
Un'intera nuova generazione di giovani, i ragazzi dalle "magliette a strisce'',
secondo la moda di allora, prevalentemente di estrazione operaia e popolare, fece per la
prima volta irruzione sulla scena politica del dopoguerra. Una gioventù che non aveva
fatto la Resistenza, ma che cosciente del tentativo di restaurazione fascista in atto non
esitò a scavalcare l'ignavo e opportunista atteggiamento dei vertici revisionisti del PCI
e della Cgil per gettarsi anima e corpo nella lotta contro il governo Tambroni. Essa si
trovò così nella lotta a travalicare i limiti angusti della Costituzione e della
legalità borghesi e a maturare una forte carica rivoluzionaria contro la società, i
padroni, la Chiesa, le "forze dell'ordine'', insomma contro l'ordine capitalistico
precostituito.
Furono i giovani operai, braccianti, disoccupati, a cui si unirono per la prima volta le
prime avanguardie studentesche, a trascinare nella lotta anche la vecchia generazione
della classe operaia, quella cioè che aveva fatto la Resistenza, che era insorta dopo
l'attentato a Togliatti e si era battuta contro la repressione di Scelba agli inizi degli
anni '50, ma che al momento risultava più condizionata e frenata dalla direzione
revisionista e riformista del PCI e del PSI.
IL GOVERNO CLERICO-FASCISTA TAMBRONI
La premessa della Rivolta fu la costituzione, nell'aprile '60, del governo
clerico-fascista di Fernando Tambroni con i voti del MSI di Michelini, quale tentativo
della destra della classe dominante borghese, democristiana e fascista, del Vaticano e
degli Usa di impedire l'integrazione governativa del PSI, che allora veniva ancora
considerato il "cavallo di Troia'' del PCI. Dopo l'entrata in crisi dei governi
centristi a guida democristiana degli anni '50, importanti settori della DC che facevano
capo alla corrente "iniziativa democratica'' capeggiata da Fanfani, si erano infatti
orientati verso un'apertura al PSI di Nenni nell'intento di salvaguardare l'egemonia del
partito borghese di maggioranza e contenere la spinta delle masse lavoratrici e popolari.
Questa linea fu però sconfitta nell'ottobre del '59, al 7 Congresso democristiano,
e da qui partì il tentativo della destra di sdoganare definitivamente i fascisti,
reintegrarli nel gioco governativo e attraverso una politica apertamente fascista e
golpista sbarrare la strada a quello che veniva definito il "pericolo comunista'',
ossia la rivoluzione socialista.
LA RIVOLTA DELLE MASSE
La scintilla che scatenò la reazione popolare fu la richiesta del MSI, accolta dal
governo Tambroni, di celebrare il suo VI Congresso nazionale a Genova, città medaglia
d'oro per la Resistenza, la prima città d'Italia a costringere le truppe naziste e i
fascisti alla resa. Era chiaro il valore simbolico e provocatorio dietro a questa scelta.
Il Congresso si doveva aprire il 2 luglio, ma già una settimana prima, il 25 giugno,
iniziano nel capoluogo ligure le proteste di massa e di piazza che sfoceranno il 30 giugno
in una grandiosa manifestazione cui presero parte 100 mila giovani, operai, ex partigiani,
antifascisti e che si concluse solo a tarda sera dopo violenti scontri con la polizia. La
quale infatti aggredisce selvaggiamente i manifestanti con i caroselli di camionette,
manganelli, idranti, fumogeni sullo stile scelbiano ormai consolidato. Ma i giovani e gli
operai non indietreggiano e coraggiosamente rispondono alle cariche con lanci di sassi e
barricate. è la miccia che dà fuoco alla prateria. Altre città si mobilitano in
solidarietà con gli antifascisti di Genova: comizi, manifestazioni, ordini del giorno
approvati nelle fabbriche giungono un po' da ovunque. Per il 2 luglio la Cgil indice uno
sciopero generale a Genova durante il quale giunge la notizia che il MSI è stato
costretto a revocare il proprio congresso. La rivolta popolare ha vinto, ma non si ferma.
Ormai la protesta si allarga, si estende, divampa in tutto il Paese mirando quantomeno
alla cacciata del governo Tambroni. Manifestazioni di piazza sempre più consistenti e
combattive contro il governo si tengono dal Nord al Sud del Paese: Roma, Milano, Livorno,
Napoli, Castellammare di Stabia, Bologna, Parma, Firenze, Pisa, Palermo, Catania, Licata,
e tante altre. Per la prima volta dopo la Liberazione si saldano nella lotta la classe
operaia del Nord e del Centro Italia e il proletariato industriale e agricolo del Sud.
Il governo Tambroni risponde ovunque con una preordinata e violenta repressione di massa:
cariche selvagge, caroselli, idranti, arresti, torture e maltrattamenti, fino a giungere a
dare l'ordine di sparare con i mitra ad altezza d'uomo. Il risultato di tanta ferocia sono
dieci morti e centinaia di feriti. Il primo a cadere è Vincenzo Napoli, un giovane
operaio di 25 anni, ucciso a Licata il 5 luglio durante uno sciopero di lavoratori e
braccianti. Poi il 7 luglio tocca a Reggio Emilia pagare il suo tributo di sangue con 5
operai uccisi con premeditazione dalla polizia: Lauro Farioli, 22 anni, Ovidio Franchi, 19
anni, Emilio Reverberi, 39 anni, Marino Serri, 41 anni, Afro Tondelli, 36 anni. Il giorno
dopo cadono a Palermo Andrea Gangitano, un operaio edile di 19 anni, Francesco Vella, 42
anni, e Rosa La Barbera, 54 anni.
La repressione però non ferma la Rivolta. I giovani dalle magliette a strisce non
indietreggiano di fronte al sanguinario governo Tambroni, lasciando stupiti e terrorizzati
gli stessi responsabili delle forze dell'ordine. Essi scoprono e sperimentano l'uso della
violenza rivoluzionaria di massa: a migliaia, con l'appoggio delle masse che li aiutano,
li riparano e li sostengono, e utilizzando tutto ciò che hanno a portata di mano (sassi,
sampietrini, sedie, materiale edile prelevato dai cantieri) erigono barricate, incendiano
e ribaltano le camionette della celere, bloccano e disarmano i poliziotti, li costringono
a ritirarsi. A Milano una imponente manifestazione diretta a Piazzale Loreto senza il
permesso della questura e contravvenendo agli accordi presi dai dirigenti del PCI e del
sindacato, costringe le "forze di polizia'' a rientrare nelle caserme.
Tutto questo si protrae fino al 19 luglio quando Tambroni annuncia le sue dimissioni. La
classe dominante borghese preoccupata di non riuscire più a controllare la piazza, decide
di scaricare Tambroni e di inaugurare la fase dei governi di centro-sinistra che si
svilupperà negli anni '60, prima attraverso i governi delle "convergenze
parallele'', ossia l'appoggio esterno del PSI e del MSI, poi con l'integrazione organica
del PSI nel governo.
IL SABOTAGGIO DEL PCI REVISIONISTA
Il popolo italiano ha riportato una storica vittoria che avrebbe potuto precludere a nuove
e più grandi conquiste fino a trasformarsi in un'insurrezione generale per l'abbattimento
dello Stato borghese e l'instaurazione del socialismo, se al posto del PCI revisionista,
riformista e parlamentarista di Togliatti vi fosse stato alla testa delle masse un
autentico partito marxista-leninista in grado di organizzare, alimentare e guidare la
potente spinta rivoluzionaria esplosa in quei giorni.
Il vertice del PCI invece si accontentò di questo pur importante risultato parziale per
mettere fine allo sciopero generale e alle manifestazioni di piazza e per indurre gli
operai e i giovani a far ritorno alle loro case.
Il vertice del PCI e della Cgil, capeggiata da Agostino Novella, non aveva svolto alcun
ruolo determinante nell'esplosione di questo movimento, ma anzi era stato spiazzato e
scavalcato dalle masse in lotta. Solo quando apparvero chiare le sue potenzialità, i
dirigenti revisionisti tentarono di cavalcarlo per ricavarne vantaggi sul piano politico
ed elettorale e soprattutto per mettergli il morso e ricondurlo nell'ambito della
legalità costituzionale borghese. In più di un'occasione i dirigenti revisionisti del
PCI, assunti come interlocutori dai questori e dai prefetti, scesero a compromessi come
quello di tenere le manifestazioni al chiuso per impedire che si sviluppassero scontri di
piazza. Togliatti intervenne in prima persona per dichiarare che "Sentiamo che è
necessario sia abbandonata la strada dei conflitti a ripetizione, degli scontri, degli
eccidi''. E fu ben felice di accogliere l'appello del presidente del Senato Cesare
Merzagora (DC) che l'8 luglio chiese quindici giorni di tregua che prevedeva la consegna
delle forze di polizia nelle caserme e l'impegno dei partiti e delle organizzazioni
sindacali a sospendere gli scioperi e le manifestazioni.
Questa politica era lo sbocco inevitabile della fase, inaugurata da questo partito nel '56
all'8 Congresso, della "via italiana al socialismo'' che segnò
l'identificazione definitiva del PCI col sistema economico capitalistico, il rigetto della
lotta di classe rivoluzionaria per abbracciare le "riforme di struttura'', la
rinuncia allo Stato socialista a dittatura del proletariato per "una marcia verso il
socialismo nell'ambito di una legalità democratica''.
Alla luce di questa responsabilità storica che grava sul vertice revisionista del PCI,
appare ancor più grave quel pietoso balbettio che l'imbroglione trotzkista e
neorevisionista Fausto Bertinotti ha scritto in apertura dell'inserto di
"Liberazione'' del 2 luglio dedicato all'avvenimento e dove nella sostanza egli si
limita a coprire l'azione di sabotaggio del PCI e a dare un'interpretazione
democratico-borghese di quel movimento attraverso la tesi della cosiddetta
"Resistenza incompiuta''.
Purtroppo, le manovre controrivoluzionarie del vertice del PCI ebbero la meglio. Il
movimento del Luglio '60 infatti non aveva una coscienza antirevisionista. Ma è proprio
da allora che prese avvio il distacco dei giovani dal PCI e dalla Fgci che si
approfondirà e si allargherà nella Grande Rivolta del Sessantotto quando il movimento
giovanile e studentesco scavalcherà e travolgerà fra gli altri anche i revisionisti e le
loro organizzazioni universitarie e giovanili.
Non è un caso che proprio dall'indomani del Luglio '60 si può datare la nascita di una
serie di correnti pseudo-rivoluzionarie, anarco-sindacaliste, soprattutto ad opera della
sinistra trotzkista del PSI, che avranno il compito di raccogliere e controllare le forze
rivoluzionarie e le avanguardie proletarie che andavano sprigionandosi e impedire così il
loro incontro con il marxismo-leninismo-pensiero di Mao. Il Luglio '60 anticipò insomma,
in larga misura, i temi e lo spirito della Grande Rivolta del Sessantotto e ne costituisce
in pratica il vero antefatto.
RECUPERARE LA COSCIENZA RIVOLUZIONARIA
Oggi che la classe dominante borghese, e specificatamente quella corrente golpista che era
allora rappresentata dal governo Tambroni, è riuscita, a partire dalla metà degli anni
'70, dopo la lunga fase del golpismo, dello stragismo e del terrorismo, a imporre
gradualmente e surrettiziamente la restaurazione del nuovo fascismo attraverso la seconda
repubblica capitalista, neofascista, presidenzialista e federalista secondo il disegno
della P2, di Gelli, di Craxi e Berlusconi, è quanto mai necessario, utile e urgente
recuperare la coscienza, lo spirito e la combattività degli eroici protagonisti del
Luglio '60. Recuperare la coscienza della necessità della lotta di classe per contendere
il terreno al capitale, alla reazione e al fascismo; recuperare da parte della classe
operaia la coscienza di essere non solo classe in sé ma classe per sé, la coscienza
della sua centralità e del ruolo di forza motrice e dirigente di tutte le forze
anticapitaliste e rivoluzionarie; la coscienza che per battere la seconda repubblica
occorre colpire le sue radici che stanno nello Stato borghese e nel sistema capitalistico
e nel governo Amato che oggi li rappresenta; la coscienza, in altre parole, che occorre
battersi per l'Italia unita, rossa e socialista.
Occorre riscoprire e recuperare quello stesso spirito di unità e fratellanza di classe,
di determinazione e combattività nella lotta. Quello spirito e combattività che
portavano i giovani a sfidare con coraggio la repressione più brutale, a osare pensare,
osare parlare, osare agire andando anche oltre e contro la legalità borghese consapevoli
di mettere in gioco la propria stessa vita per una causa giusta. Avendo una corretta
concezione dell'uso della violenza, che è giusta e rivoluzionaria se è di massa e gode
dell'appoggio e del sostegno delle masse. Una violenza rivoluzionaria che non ha nulla a
che spartire con la violenza cieca, avventurista e spontaneista piccolo borghese insita
nei cosiddetti "gesti esemplari'', nelle azioni di piccolo gruppo, nelle
gambizzazioni, nel terrorismo, che al contrario è violenza controrivoluzionaria e fa il
gioco della reazione, del governo e del sistema capitalistico.
Se la classe operaia e le masse popolari, e in primo luogo le ragazze e i ragazzi
rivoluzionari, faranno tesoro dell'esperienza di quella eroica Rivolta del Luglio '60 e di
quelle che l'hanno preceduta e seguita; se a questo uniranno la coscienza che occorre
liberarsi una volta per tutte della zavorra riformista, revisionista e neorevisionista,
del parlamentarismo, dell'elettoralismo e del partecipazionismo borghesi; se capiranno la
necessità di impadronirsi della teoria rivoluzionaria del marxismo-leninismo-pensiero di
Mao e di contribuire a costruire un grande, forte e radicato PMLI allora la lotta di
classe in Italia conoscerà un nuovo risveglio e si trasformerà in lotta cosciente per il
socialismo. Intanto, bisogna battersi per rovesciare il governo Amato.
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