Ferrara
Vogliamo la verità sulla morte del giovane Aldrovandi
La mamma accusa la polizia della morte del figlio
Un testimone: "sentii il ragazzo gridare basta"
"Quel che non mi dà pace è il pensiero del terrore e del dolore che ha vissuto Federico nei suoi ultimi minuti di vita. Non ha mai fatto male a nessuno. Credeva nell'amicizia che dava a piene mani. Era un semplice ragazzo come tanti. Come tutti i ragazzi di quell'età si credeva grande ma dentro non lo era ancora. Aveva tutte le possibilità di una vita davanti, e una gran voglia di viverla...". Con queste dolenti parole si conclude la lettera che la mamma di Federico Aldrovandi, 18 anni appena compiuti, morto in circostanze oscure durante un fermo di polizia la notte del 25 settembre scorso a Ferrara, ha affidato ad un blog su Internet che in pochi giorni ha destato una risonanza enorme, contribuendo a far riaprire un caso altrimenti destinato ad essere sepolto sotto un fitto strato di omertà e silenzio calati dall'alto.
A distanza di quasi quattro mesi dal fatto, sono ancora tutte da chiarire infatti le circostanze in cui è avvenuto il decesso del giovane, morto dopo essere stato fermato e ammanettato dagli agenti di una volante alle cinque del mattino davanti all'ippodromo di Ferrara, mentre tornava da solo a casa dopo aver assistito a un concerto in un centro sociale a Bologna.
La prima frettolosa versione fornita dalla questura e rilanciata passivamente dai giornali e dalle televisioni liquidava il caso parlando di morte per collasso del giovane, che sarebbe stato in preda a una crisi da assunzione di droghe, al punto da "sbattere la testa contro i muri" e costringere gli agenti intervenuti in seguito a segnalazione di alcuni abitanti ad ammanettarlo per impedirgli di farsi del male da solo. E questo è ciò che è stato detto anche ai genitori del ragazzo, Patrizia Moretti, impiegata comunale e Lino Aldrovandi, ispettore dei vigili urbani ad Argenta, avvisati solo a distanza di cinque ore della morte del figlio, ai quali però sono apparse subito vistose incongruenze che rendevano non credibile questa versione dei fatti.
Gli esami tossicologici del sangue, infatti, parlavano di lievi tracce di oppiacei e chetamina, ma non in quantità tali da giustificare un decesso e nemmeno uno stato di aggressività quale quello riferito dalla questura. Inoltre il corpo del ragazzo, come riferito dai medici ai genitori, recava evidenti segni di percosse in tutto il corpo, tra cui lo schiacciamento dello scroto (tipico dei calci o manganellate sferrati nel basso ventre) e una ferita lacero contusa alla testa. Nel blog la madre riferisce anche che gli abiti del figlio gli furono restituiti completamente imbevuti di sangue.

Una ricostruzione che non sta in piedi
Un'altra circostanza inquietante è che di fronte a questi primi interrogativi, che avevano trovato una certa eco anche su una testata locale, il procuratore capo di Ferrara, Severino Messina, anticipando i risultati degli esami autoptici a tutt'oggi non ancora resi noti, si precipitava ad affermare che Federico "non è morto a causa delle percosse". Con ciò ammettendo implicitamente che il ragazzo era stato percosso. Perché? Che bisogno ce n'era se stava male e gli agenti erano intervenuti per "aiutarlo" e impedirgli di farsi del male "da solo"?
Nei giorni successivi emergevano nuove circostanze che aumentavano, anziché chiarire, i dubbi della famiglia e dei suoi legali sulla versione della questura avvalorata dalla procura. Secondo tale versione le manette sarebbero state mantenute ai polsi del ragazzo anche su richiesta del personale del 118 intervenuto per assisterlo. I due infermieri hanno invece raccontato ai legali della famiglia che quando arrivarono videro il ragazzo ammanettato dietro la schiena e faccia a terra, tanto che chiesero ai poliziotti di levargli le manette per poterlo girare. Ma il ragazzo era già fuori conoscenza, e inutili furono i tentativi di rianimarlo da parte di due medici accorsi.
I legali riferiscono anche di testimoni, anche se per ora non diretti, che cominciano a farsi avanti superando il muro di paura e omertà eretto intorno alla vicenda, i quali avrebbero udito gridare "basta! Vi prego, smettetela...". Qualcuno avrebbe descritto anche una scena che vedeva Federico ammanettato faccia a terra, con un agente che gli premeva un ginocchio sulla schiena, gli tirava i capelli e gli serrava la gola con un manganello. Il ragazzo si lamentava che non riusciva a respirare. Se ciò risultasse confermato allora il giovane potrebbe essere morto in quel momento, per asfissia. Ad avvalorare l'ipotesi, il testimone avrebbe udito una poliziotta dire ad un collega: "Ma che cosa hai fatto... ma quando arrivano i colleghi"?
Anche la ricostruzione dei fatti fornita dal ministro Giovanardi, rispondendo a un'interrogazione della deputata del PRC Titti De Simone durante il question time del 19 gennaio, alimenta senza volerlo i sospetti che Federico sia morto a seguito di un pestaggio indiscriminato. Secondo il ministro la polizia intervenne su segnalazione di una cittadina che riferiva di "uno che sta andando in escandescenze, sta urlando come un matto e sbatte dappertutto", il quale avrebbe poi aggredito con furia gli agenti, al punto che, dice testualmente Giovanardi: "All'arrivo della volante, il giovane saliva sul cofano della vettura stessa e tentava di colpire con un calcio il capo equipaggio, che stava in piedi accanto alla portiera aperta. Nel fare tale movimento, scivolava sulla portiera stessa e, quindi, cadeva a terra. Alcune delle lesioni riscontrate sul corpo si sarebbero prodotte in tale frangente (?). Sono stati rilevati danni sul cofano e sulla portiera della vettura. L'impossibilità di controllare il giovane, tra l'altro di corporatura robusta (??), ha reso necessario l'intervento di una seconda volante e, quindi, di una pattuglia dei carabinieri. Solo l'intervento dei rinforzi ha consentito l'immobilizzazione del giovane, al quale venivano applicate le manette. Durante la colluttazione gli agenti hanno dovuto usare gli sfollagente, sia per parare i calci che il giovane continuava a tirare, sia per sbilanciarlo (???). Due sfollagente si sono rotti in corrispondenza dell'impugnatura. Il giovane veniva, infine, bloccato a terra ed il personale sanitario, nel frattempo sopraggiunto, preferiva, in un primo momento, mantenere le manette, perché era ancora in vita. La morte del giovane è stata constatata alle 6,35".

Fare piena luce sulla vicenda
Ora, a parte che questa versione non corrisponde, come già visto, a quella testimoniata dai sanitari, è evidente l'ammissione, che trapela dalla puerile ricostruzione del ministro, che Federico Aldrovandi è stato picchiato ripetutamente e violentemente, come dimostrano la rottura dei due manganelli e le numerose ferite riscontrate sul suo cadavere. Perché allora si è cercato subito di escludere a priori questa ipotesi insistendo invece sulla tesi peraltro inconsistente della morte per droga? Perché si sono aspettate 5 ore prima di informare la famiglia, e solo dopo aver già rimosso il corpo del ragazzo? Forse non si voleva che i genitori vedessero in che stato era ridotto? Perché gli esami medico-legali sul corpo, che non saranno forniti prima della fine di febbraio, hanno richiesto tutti questi mesi per essere eseguiti? E perché il procuratore capo ha già anticipato che da essi risulterebbe che Federico "non è morto a causa delle percosse"? E infine, perché il magistrato non ha rilevato alcun problema nell'affidare l'inchiesta al nucleo di polizia giudiziaria guidato da un funzionario che risulta sentimentalmente legato proprio con la poliziotta che quella notte partecipò al fermo e al pestaggio di Federico?
È per avere risposta a queste e altre domande che la mamma di Federico, dopo aver constatato anche la totale sordità dimostrata dalle autorità che insistono sulla tesi del ragazzo drogato, si è decisa a raccontare questa dolorosa e inquietante vicenda su Internet, ricevendo centinaia di messaggi di solidarietà e persino l'interessamento di Amnesty International, che ha chiesto anch'essa sia fatta luce sul caso. Un grande striscione con la scritta "Giustizia per Federico Aldrovandi" è stato esposto domenica 15 gennaio nello stadio comunale di Castel San Pietro dove giocava la Spal. La stessa richiesta è stata ripetuta con i cori durante la partita e anche al Palazzetto dello sport dove giocava la locale squadra di basket. La madre di Carlo Giuliani, Haidi, ha indirizzato una lettera alla mamma di Federico nella quale, partecipandole tutto il suo dolore, denuncia il clima di impunità che favorisce gli abusi delle "forze dell'ordine". Un sit-in con fiori e striscioni è stato organizzato domenica 15 e sabato 21 gennaio a Ferrara dagli amici di Federico, da studenti e semplici cittadini, che hanno costituito un "Comitato verità per Aldro", decisi a rompere il muro di gomma costruito attorno alla vicenda.
Anche noi chiediamo con forza la verità sulla morte del giovane Aldrovandi. La magistratura deve fare piena luce su quanto successe quella notte senza guardare in faccia a nessuno e senza assoluzioni "precostituite" dei soggetti coinvolti. L'immunità a priori dei poliziotti non può e non deve avere alcun valore nel quadro di un'inchiesta rigorosa che accerti fino in fondo eventuali responsabilità dirette o indirette nella morte di Federico.

25 gennaio 2006