Grazie al capitalismo e al governo Monti Quasi 13 milioni di poveri Nel Mezzogiorno quasi una famiglia su quattro è povera Sicilia e Calabria le peggiori Il capitalismo sfruttatore e affamatore ricerca il massimo profitto in ogni modo e a ogni costo, provocando diseguaglianze abissali nella distribuzione della ricchezza tra la sempre più ristretta cerchia di superricchi e strati sempre più ampi di popolazione vittima di condizioni di vita miserabili. È ciò che sta avvenendo nel nostro Paese con il concorso diretto delle politiche liberiste e affamatrici del governo della grande finanza, della Ue e della macelleria sociale Monti di cui l'ultimo atto è rappresentato dalla stangata di 26 miliardi realizzata attraverso il cosiddetto spending review. A certificare questa situazione i recenti dati diffusi dall'OCSE (l'Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo cui fanno capo i 30 paesi più sviluppati) che raccontano della perdita, dal 2008 ad oggi, di milioni di posti di lavoro, di condanna per i giovani, in percentuale altissima, alla disoccupazione e al precariato, di una parte di giovani molto consistente che né studia né lavora, infine gli "scoraggiati" in aumento progressivo, che pur essendo in età lavorativa per sfiducia hanno smesso di cercare un lavoro. Sommando i disoccupati, gli "inattivi" e i sottoccupati in Italia si arriva a livelli raccapriccianti. A confermare e a rafforzare la realtà drammatica in cui sono costrette a vivere le masse lavoratrici e popolari è arrivato ora, fresco fresco, il rapporto Istat sulle povertà relativo al 2011. Dal quale si apprende che milioni di persone vivono al di sotto della soglia dell'indigenza, ai quali si potrebbero aggiungere altri milioni appena sopra quella soglia, la povertà colpisce anche le famiglie operaie monoreddito, quelle composte da due anziani soli e quelle che hanno figli, inoltre raccontano del pauroso dislivello esistente, anche su questo terreno, tra regioni del Nord, del Centro e del Sud dell'Italia, ovviamente e sfavore di queste ultime. Il rapporto parla di stabilità dei livelli di povertà tra il 2010 e il 2011, ma si tratta di una media che va spiegata: infatti, a fronte di un aumento della povertà tra le famiglie operaie si riscontra una sua diminuzione tra i dirigenti e gli impiegati. Insomma, quelle che stavano peggio stanno ancora peggio e quelle che stavano meglio, secondo quanto afferma l'Istat, hanno migliorato un poco la loro condizione. I poveri accertati e quelli a rischio I poveri accertati nel 2011 sono risultati 8 milioni e 137 mila pari al 13,6% dell'intera popolazione e all'11,1% delle famiglie (2 milioni e 782 mila). Di questa, 3 milioni e 415 mila pari al 5,7% dell'intera popolazione, vivono in condizioni di povertà assoluta (1 milione e 297 mila famiglie). Una famiglia composta da due persone è considerata "relativamente" povera se ha una spesa mensile inferiore o pari a 1.011 euro. Questa è la soglia individuata per verificare la condizione di povertà, delle persone, delle famiglie. Non si capisce con quali criteri economici e matematici visto che con essa si dovrebbero soddisfare i bisogni alimentari, di alloggio, di salute e vestiario. Agli oltre 8 milioni di poveri suddetti ne vanno aggiunti circa altri 4,5 milioni di persone a rischio povertà. L'Istat parla di un 7,6% di famiglie che si trovano poco sopra della linea convenzionale di povertà e che, con una spesa imprevista potrebbero scivolare al di sotto. Più della metà di questi, cioè il 3,7% detiene una spesa superiore alla linea di povertà di appena il 10%. Sul persistere della crisi e con gli effetti delle manovre economiche del governo Monti questo rischio diventa quasi certo. Considerando le famiglie povere (6% appena povere e 5,1% sicuramente povere) e quelle a rischio, una famiglia su cinque (18,7%) risulta indigente o quasi indigente. Peggiorano le condizioni degli operai Questa è una delle novità più amare del rapporto, su cui dovrebbero riflettere i vertici sindacali confederali, CGIL compresa. Il 15,4% (erano il 15,1% nel 2010) dei nuclei familiari in cui vi sono operai è "relativamente" povero. Il 7,5% (+ 1,1% rispetto al 2010) è assolutamente povero. Sono molti i fattori che pesano sull'incremento dell'indigenza operaia: i salari fermi da ben 20 anni (dal 1993 il potere d'acquisto è rimasto invariato, e piuttosto è diminuito); l'esosa pressione fiscale che si mangia una parte consistente della busta paga; la riduzione delle possibilità di svolgere lavoro straordinario per aumentare il reddito percepito; la messa in cassa integrazione o in mobilità; la perdita del posto di lavoro di un componente della famiglia, in genere la moglie o la figlia (le donne sono le prime ad essere licenziate); il figlio disoccupato o precario e non per ultimo l'aumento del costo della vita. Insieme alle famiglie operaie peggiorano anche le condizioni dei nuclei senza occupati né ritirati dal lavoro che passano dall'8,3% al 9,6%. L'incidenza della povertà assoluta cresce in prevalenza tra le famiglie con a capo una persona con profilo professionale e/o titolo di studio basso: quelli con licenza elementare salgono dal 6,3% al 9,4% e quelli con scuola media inferiore, dal 5,1% al 6,2%. Cresce la povertà tra coppie con un figlio Costa molto caro fare figli in Italia, dove il sostegno alla maternità e alla prole è poca cosa rispetto agli altri paesi del centro-nord Europa, e i pochi servizi sociali vengono tagliati senza pietà. Il che non riguarda solo le famiglie numerose. Secondo i dati Istat infatti, è "relativamente" indigente il 10,4% (di cui il 4% in povertà assoluta) delle coppie con un figlio. Percentuale che aumenta se il figlio è minore: 13,5% (5,2% in povertà assoluta). Considerando la crisi e mancando o quasi il sostegno pubblico, se la famiglia è più numerosa l'incidenza della povertà si impenna: il 28,5% delle famiglie con cinque o più componenti risulta povera, al Sud questa incidenza schizza al 45,2%. Al Sud, livelli odiosi e intollerabili Il rapporto rimarca una volta di più gli enormi squilibri territoriali esistenti nel nostro Paese ai danni del Mezzogiorno rimasti tali e mai avviati nemmeno a soluzione. Questa la fotografia che emerge: quasi una famiglia su quattro al Sud è povera. Tra queste l'8% vive in condizioni di povertà assoluta. Aumenta in un anno la povertà "relativa" (quando la spesa mensile equivalente delle famiglie povere si colloca al di sotto della linea di povertà), cioè i poveri sono diventati ancora più poveri. La percentuale è passata dal 21,5% al 22,3%: In questa triste classifica si trovano in testa la Sicilia e la Calabria con un'incidenza di povertà rispettivamente pari al 27,3% e al 26,2%. Abissali le differenze col Nord d'Italia che segnano valori assai più bassi di povertà: 3,4% nella provincia di Trento, 4,2% in Lombardia, 4,3% in Valle d'Aosta e Veneto. Si può assistere inermi a uno scempio sociale di questo genere, ben oltre la linea di guardia? Devastazione che potrebbe ulteriormente peggiorare (la Grecia e la Spagna insegnano). Tutti coloro, partiti, istituzioni, forze sociali e sindacali che possono intervenire, lo debbono fare richiedendo e promuovendo provvedimenti urgenti e adeguati per imprimere una decisa e tempestiva inversione di tendenza. Certo la crisi del capitalismo è la causa prima di quanto descritto: e allora si deve avere il coraggio di stigmatizzarlo come sistema fallimentare da rovesciare col socialismo. Ma la povertà di massa esistente nel nostro Paese, che si somma alla disoccupazione e alla precarietà di massa e alla mancanza di futuro per i giovani è anche un atto di accusa forte e diretto al governo Monti e al suo operato. Alle sue controriforme, quella pensionistica e del lavoro in primis, e alle sue manovre economiche e finanziarie di lacrime e sangue che in modo cinico e vigliacco hanno scaricato tutto il peso della crisi sulle masse lavoratrici e popolari, senza toccare i ricchi e i possessori di grandi patrimoni e di rendite finanziarie, oltretutto con effetti depressivi e recessivi sull'economia. Altro che ripresa della crescita e della situazione occupazionale!. Occorre fermare il governo Monti che sta preparando nuove stangate forse per agosto, ossia quando il grosso dei lavoratori saranno in ferie. Non bastano gli annunci generici della Camusso circa un ipotetico sciopero, forse a settembre, se la manovra non cambierà. Occorre dare certezza alla mobilitazione, decidendo data, piattaforma e modalità dello sciopero generale che deve essere di tutte le categorie, di 8 ore con manifestazione nazionale a Roma. Monti se ne deve andare! 25 luglio 2012 |