Un combattivo corteo femminista, antifascista e antirazzista 150 mila donne in piazza contro la violenza dell'uomo sulla donna Denunciato il familismo e il "pacchetto sicurezza". Contestate ministre e cacciate due deputate di Forza Italia. Occupato il palco abusivo de "La7" Le radici delle violenze maschili sulle donne stanno nella cultura borghese e nella mancanza di diritti per le donne 150 mila ragazze e donne giunte da tutta Italia hanno sfilato a Roma il 24 novembre contro la violenza dell'uomo sulla donna. Non succedeva da molti anni. Forse da oltre vent'anni, fatta salva la grande manifestazione in difesa dell'aborto che si è tenuta a Milano il 14 gennaio dell'anno scorso. È stata promossa e organizzata via Internet da centinaia di associazioni e gruppi femministi e femminili, centri anti-violenza, collettivi studenteschi, centri sociali, sigle sindacali come la Fiom-Cgil e lo Spi-Cgil. Il percorso è quello classico delle manifestazioni nazionali delle donne a Roma, da Piazza Repubblica a Piazza Navona. Si parte sotto la pioggia nel primo pomeriggio, si arriva col buio a tarda sera. Aprono il corteo le danze delle ragazzine Rom del campo di Cesare Lombroso, periferia nord di Roma. Le loro madri portano un cartello "Noi siamo con Emilia, la donna che ha denunciato l'assassino di Giovanna Reggiani". Numerosa e significativa la presenza di donne immigrate. Ci sono donne di ogni età dietro gli striscioni delle metalmeccaniche e delle pensionate, delle insegnanti, delle precarie e delle disoccupate, dei collettivi e gruppi femministi e lesbici. Ma ci sono soprattutto ragazze, giovanissime, appartenenti ai collettivi universitari e ai centri sociali. A loro si deve soprattutto la forte carica antigovernativa del corteo. Un corteo femminista, antifascista e antirazzista estremamente combattivo. Pur nella gioiosità dei canti, degli slogan e dei colori, la tensione politica e la combattività è stata tenuta alta. Sotto accusa il familismo imperante grazie alle campagne reazionarie e oscurantiste del papa nero Ratzinger e della Cei di Ruini e Bagnasco e assecondato e fatto proprio dai governi di "centro-destra", prima, e di "centro-sinistra", poi. Un familismo mussoliniano che reputa la famiglia come un luogo sacro e inviolabile anche se al suo interno si compiono ogni tipo di violenza da quella sessuale, a quella psicologica e fisica che nel nostro Paese arriva a condannare a morte decine e decine di donne ogni anno: 134 nel 2006, già 62 nei primi mesi del 2007. "La famiglia la vogliamo? No, perché è il simbolo di violenza. Il parapiglia lo facciamo? Sì, perché è contro il patriarcato", cantano le manifestanti. Ma il corteo mette sotto accusa e respinge anche il "pacchetto sicurezza" varato dal governo prendendo a pretesto la tutela delle donne. Non vogliono essere strumentalizzate per dar fiato a una campagna razzista e xenofoba contro gli immigrati. "Se la violenza è sotto il tetto che ci faccio co' 'sto pacchetto?", gridano le donne romane, sottolineando che la violenza sulle donne viene perpetrata soprattutto in famiglia, da parte di mariti, padri, fidanzati o ex partner. E ancora hanno scritto su una selva di cartelli: "Nessuna espulsione nel mio nome". E la contestazione arriva anche per Veltroni, neosegretario del PD e sindaco di Roma, bollato come "razzista" perché è stato uno dei massimi sostenitori del decreto sulle espulsioni. È fermo il carattere antifascista e antirazzista della manifestazione. Per questo vengono cacciate al grido di "Fuori i fascisti dal corteo", le deputate di Forza Italia Stefania Prestigiacomo e Mara garfagna, la cui presenza è stata considerata una provocazione. Mentre "vendute" sarà il grido che dovranno incassare più tardi le ministre Livia Turco, Barbara Pollastrini e Giovanna Melandri ritenute responsabili di aver firmato il "pacchetto sicurezza" e di voler "mettersi in vetrina" facendosi intervistare sul palco abusivamente allestito da La7 in piazza Navona, nonostante le organizzatrici avessero scelto che non ci sarebbe stato palco. E quando un gruppo di donne sale su quel palco occupandolo e costringendo La7 a interrompere la diretta, la piazza applaude. "Avevamo detto chiaramente che non volevamo qui in piazza coloro che hanno partecipato al Family Day e appoggiano determinate politiche della sicurezza", così spiegano le organizzatrici la legittima contestazione delle deputate di Forza Italia e delle ministre del governo Prodi. Ingiustificabili le reazioni delle interessate, a cominciare proprio dalle esponenti del "centro-sinistra" che hanno parlato di "ingiustificata prevaricazione" (Anna Finocchiaro, presidenti senatori Ulivo), di "oche" (Lidia Ravera) e addirittura di "cretine" (Giovanna Melandri). Le radici della violenza sulle donne Al corteo gli uomini non c'erano. O meglio, erano relegati in fondo al corteo, anche se qualcuno qua e là sfilava dietro soprattutto gli striscioni sindacali. Così avevano deciso, non senza un'accesa discussione e spaccature, le organizzatrici. Una scelta secondo noi sbagliata. Il separatismo femminista, una pratica peraltro già largamente utilizzata in passato senza successo, non può produrre alcun vantaggio alle masse femminili. Al contrario esso restringe gli alleati del movimento contro la violenza sulle donne; isola e quindi indebolisce la battaglia femminile da quella politica e sociale generale. E soprattutto essa svia gli obiettivi che il movimento deve colpire. Le radici delle violenze maschili sulle donne infatti non stanno nella "crisi del rapporto fra i sessi", o nel "potere maschile". Esse affondano piuttosto nella cultura borghese e nella mancanza di diritti per le donne che sono a fondamento del regime capitalista, neofascista, presidenzialista e federalista. L'attuale rapporto fra i sessi è solo il riflesso di una cultura dominante borghese che si fonda sulla subalternità, la discriminazione e l'oppressione economica, sociale, politica e familiare della donna. Una cultura, una morale e un'etica che concepiscono la donna solo come strumento per produrre profitti, figli e servizi sociali gratuiti e la famiglia come "società naturale" fondata sul matrimonio indissolubile la cui stabilità e unità prevarica qualsiasi diritto delle donne. Ne è una prova la legge sulla violenza sessuale, frutto di un accordo parlamentare trasversale, che neanche prevede la querela d'ufficio. Lo confermano la legge sulla fecondazione assistita, la cui soppressione l'attuale governo non ha messo nemmeno in programma, o la legge sul riconoscimento delle coppie di fatto che è ancora in alto mare. Se le donne nella stragrande maggioranza dei casi non denunciano le violenze subite in famiglia è perché sono anch'esse succubi di questa cultura borghese e cattolica e perché sono prive dei più elementari diritti come il lavoro, il reddito, la casa, servizi sociali adeguati che le possano rendere realmente indipendenti dalla famiglia e dai mariti. La battaglia contro la violenza degli uomini sulle donne è dunque parte integrante della battaglia contro la cultura borghese e cattolica e il suo modello di famiglia e per difendere i diritti femminili acquisiti e conquistarne dei nuovi a cominciare dal lavoro e dalla socializzazione del lavoro domestico. In questa battaglia le masse femminili sono le principali protagoniste. Ma il loro movimento sarà tanto più forte, incisivo e vincente quanto più riusciranno a trascinare in esso la componente maschile delle varie classi e gruppi sociali interessati a combattere la società capitalistica e la sua sovrastruttura e a conquistare una reale uguaglianza fra i sessi e una nuova società socialista. 28 novembre 2007 |